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12/14 giorno - Da Tashkorgan a Gilgit

Attraversiamo l'altopiano del Pamir in uno spettacolo lunare, con un vento gelido che avvolge le montagne e ammucchia quantità inverosimili di sabbia in fondo alla vallata nella quale scorre il fiume Tashkorgan, dove incrociamo rari pastori e famiglie tagike che rigovernano gli yak fuori dalle yurte, le caratteristiche tende asiatiche. Ripartendo da Tashkorgan ci siamo ritrovati in auto un ragazzotto di 18 anni, pechinese, qui già da 11 mesi per svolgere il servizio militare; ce l'hanno caricato alla dogana della città per portarlo a dare il cambio ai suoi colleghi ai 4.700 metri del posto di frontiera del passo Kunjerab. Parla poco, Wang, ma non fatichiamo a capire che se ne tornerebbe a casa a gambe levate…

Tra un occhio di sole e una spruzzata di neve, arriviamo al passo accompagnati dalla fuga in ordine sparso delle marmotte dalla coda lunga (Marmota caudata), divise tra curiosità e diffidenza. Cina e Pakistan hanno istituito due parchi nazionali al di qua e al di là del confine, per proteggere una fauna che ha i suoi bei problemi di sopravvivenza, in particolare la pecora di Marco Polo o argali del Pamir (Ovis ammon polii), una specie di grosso stambecco ridotto ormai a poche unità, e il leopardo delle nevi (Uncia uncia).

Appena il tempo della foto di rito davanti al cippo che segna il confine e, già con il fiato grosso per l'altitudine, ci scaraventiamo sulla Kkh, la Karakorum Highway, per coprire i 60 chilometri che ci separano da Süst, dove le nostre guide cinesi ci consegneranno ai loro colleghi pakistani. Cinesi o pakistani che siano, gli autisti che percorrono questo tratto di strada si lanciano a velocità folle nella gola che separa Karakorum e Hindukush: più tempo ci si mette a percorrerla, più è probabile restare presi in mezzo tra le frane che continuamente flagellano la striscia di asfalto o, peggio, rimanerci sotto.

A Süst siamo già nella valle dell'Hunza, il piccolo paradiso dei musulmani ismailiti, i seguaci dell'Islam "progressista" di Karim Aga Khan. "Lui è stato qui per l'ultima volta nel 1996. Se guardi sui pendii delle montagne puoi ancora vedere le grandi scritte di ringraziamento che i fedeli hanno costruito con pietre bianche": si presenta così la nuova guida, Amir, un trentenne che porta con disinvoltura i suoi bei vestiti di foggia occidentale anche in questa zona del Paese dove tutti gli uomini sono avvolti nello shalwar qamiz, il caratteristico camicione lungo fino alle ginocchia.

Gli investimenti dell'Aga Khan hanno trasformato questa valle in una specie di prodigio dello sviluppo sostenibile: l'80 per cento della popolazione è stato avviato all'istruzione, l'agricoltura è fiorente su tutti i versanti delle montagne, dalle abitazioni spuntano antenne paraboliche che portano il mondo in queste case, rimaste isolate praticamente fino all'inaugurazione della Kkh. Persino le donne non portano il velo e partecipano alla vita sociale. Sopra Karimabad, la città intitolata proprio all'Aga Khan, troneggiano i castelli di Baltit a Altit, le residenze dei principi del Baltistan, il regno del Pakistan settentrionale che fino alla metà del secolo resistette a tutti gli assalti dell'esercito coloniale di Sua Maestà britannica.

Superata una modernissima scuola dall'illuminante insegna "Avicenna College for Computer Sciences", scendiamo verso Gilgit lungo quel tratto della Kkh che ricalca l'antica Via dei Ponti Sospesi, il troncone della Via della Seta che dal bacino del Tarim collegava la Cina all'India e, attraverso i passi dell'Afghanistan, alla Persia. Ed è come immergersi gradualmente in un Islam più cupo, meno sereno. Arrivare a Gilgit è scivolare nel Pakistan che spedisce interi reggimenti verso un Kashmir assediato senza tregua, nel Paese intollerante costantemente tenuto in stato di allerta dall'eterna tensione tra sciiti a sunniti; è avvicinarsi alle regioni oscure dell'Afghanistan, dove le scuole islamiche allevano i giovani integralisti Taliban, i giustizieri di Kabul.

È al bazar di Gilgit che per la prima volta vedo donne che indossano il burka, il velo che copre anche gli occhi con una fitta rete. È al campo da cricket che, per la prima volta, un ragazzino replica con un cortese "no, per favore, sono musulmano" al mio tentativo di fargli una foto.

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Karakorum
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Valle dell'Hunza
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Valle del Nagar
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Forte di Baltit
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Jeep
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Bambina di Karimabad
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