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SAGGI

Boccaccio e la Cina

di Monica Piccioni

Nel n. 73, marzo 1991, di «Mondo Cinese», venne pubblicato un saggio del prof. Giuliano Bertuccioli intitolato Dante e la Cina, diretto a far conoscere sia la fortuna di Dante in Cina che i riferimenti a quel paese anche se tenui, che si trovano nelle sue opere.

Siamo lieti di presentare questo saggio della dr.ssa Monica Piccioni, in cui vengono trattati gli stessi temi con riferimento all'altro nostro grande autore, Giovanni Boccaccio. È da sperare che a questi due primi articoli possano far seguito altri in modo da far conoscere la fortuna in Cina dei nostri maggiori scrittori.


Fra i grandi autori della nostra letteratura, Giovanni Boccaccio può essere considerato uno dei più letti ed apprezzati dagli studiosi e dal pubblico dei lettori cinesi. In realtà, la conoscenza che la Cina ha del «padre» della prosa d'arte italiana e della sua opera, del Decameron in particolare, è un episodio storicamente «recente»: un evento del XX secolo. Eppure in un arco di tempo relativamente breve, il Decameron è stato più volte tradotto, studiato e commentato in Cina e a Boccaccio sono stati dedicati studi critici e biografie.

Il principale veicolo attraverso il quale il Decameron è arrivato ai più, che certo non potevano leggerlo nella sua lingua originale, sono state le traduzioni. Le prime di cui si ha sicura conoscenza compaiono negli anni 1920-1930, un periodo della storia cinese in cui si cercavano, scoprivano e divulgavano le opere letterarie straniere. Si tratta, in questa fase iniziale, di novelle «isolate» tradotte e pubblicate in riviste letterarie come la seconda della nona giornata («Levasi una badessa in fretta e al buio per trovare una sua monaca...») e la sesta della settima giornata («Madonna Isabella, con Leonetto standosi, amata da un messer Lambertuccio è visitata e trona il marito di lei...») del Decameron, apparse nei numeri di settembre ed ottobre del 1928 del Wenxue zhoubao (Settimanale letterario) e intitolate dal traduttore Luo Ailan, rispettivamente «Zhuchi zhuojian» (La badessa coglie gli amanti sul fatto) e «Nüren de jizhi» (La prontezza della donna).

Nello stesso anno anche il Guowen zhoubao (Settimanale di letteratura nazionale), n. 34, ospitò una traduzione della novella di Peronella [VII, 2] curata da Xian Tai, col titolo di «Zhangfu he tong de gushi» (Storia del marito e della botte), mentre il Dazhong wenyi (Arte e letteratura delle masse), n. 4, ne presentava un'altra di Yue Zhi, il cui testo non è reperibile, ma che potrebbe essere, a giudicare dal titolo «Er linren» (I due vicini)1 , la ottava novella della ottava giornata («Due usano insieme: l'uno con la moglie dell'altro si giace...» ).

V'è da notare, in queste prime versioni, la presenza di alcuni territori di interpretazione dovuti in parte al fatto che esse non si basano sull'originale italiano, ma su edizioni in altre lingue. In realtà, nel caso delle traduzioni in cinese del Decameron, con una sola, recente eccezione, si è sempre fatto ricorso ad edizioni straniere, inglesi soprattutto. Non di rado i loro errori si sono trasferiti nelle versioni cinesi e la loro carenza di note ha impedito ai traduttori di intendere correttamente singole parole ed interi passaggi.

Ad esempio, il «Saltero», il termine con cui Boccaccio indica il velo che la badessa di Dec. IX,2, crede di mettersi in testa scambiandolo, nella fretta, con le brache del prete col quale giaceva, nella versione cinese viene tradotto «Shipian» (Poema) vocabolo più vicino ad un altro significato del salterio come «Libro liturgico contenente i Salmi»2 .

Dopo queste prime, sporadiche apparizioni, le traduzioni delle novelle di Boccaccio fanno la loro comparsa sotto varie vesti letterarie: dalle esili raccolte che accorpano pochi esemplari, via via si arriva a versioni più complete, corredate di illustrazioni, sino alle edizioni integrali.

Nel 1929 viene alla luce la prima raccolta di tre novelle del Decameron [III,9; IV,5; X,3], in una veste tipografica autonoma intitolata Lian’ai yu shenghuo de gushi (Racconti d'amore e di vita), Shanghai, Wei'ai congshushe, pp. 52, a cura di T.T., iniziali sotto cui figura il nome o lo pseudonimo della traduttrice. Il testo delle tre novelle, rielaborate sotto forma di parafrasi, si arricchisce di circonlocuzioni che, nel tentativo di spiegare il senso del dettato, appesantiscono invece la snellezza del racconto. Qui, inoltre, a conferma di una «prassi» ricorrente nelle traduzioni in lingue straniere del Decameron, alcune azioni ardite ed espressioni salaci vengono «neutralizzate». Leggendo la novella di Giletta di Nerbona [III,9], non si ha sentore dell'abile scambio di persona grazie a cui ella si sostituisce alla giovane amante nel letto del marito. Tutto risulta semplificato, i celebri «congiungimenti» menzionati da Boccaccio vengono liquidati, mentre dilaga una folla di aggettivi che esaltano le buone qualità dei personaggi.

Più interessante è l'altra silloge del 1929 comprendente otto novelle a cura di Liu An, Shiritan xuan (Scelta dal Decameron), Shanghai, Guanghua shuju, pp. 110. Si tratta di un'altra raccolta che costituisce, rispetto agli esempi sopra menzionati, un corpus più consistente della materia boccacciana tradotta in cinese. La scelta delle novelle, in questo caso, segue un filo conduttore rappresentato dalla tematica erotico-amorosa, offrendo un saggio organico di uno degli argomenti dominanti del Decameron.

Nella Premessa al testo, datata 1928, Liu An critica l'uso invalso di censurare interi passi del libro e dichiara di aver basato la sua traduzione su una edizione inglese integrale pubblicata privatamente per evitare i classici tagli inferti alle descrizioni più audaci. Il risultato è senz'altro notevole, i doppi sensi osceni e le ardite metafore, che altre edizioni inglesi o cinesi recidono di netto, acquistano qui una vivezza descrittiva che rende piena giustizia all'originale.

Un apprezzamento di questa traduzione è stato espresso dallo scrittore Wang Tiran (1906) nell'articolo «Shiritan gushi xiaolun» (Breve saggio sulle novelle del Decameron), uscito nel 1931 sul periodico Dushu yuekan (Mensile La Lettura), Guanghua shuju, vol. I, n. 5, pp. 155-159. Egli sostiene che le edizioni inglesi, alle quali generalmente ci si ispira, sono in parte monche, anche quando «rivendicano» la completezza. Nega, in proposito, che l'edizione inglese, cui Liu An ha attinto, sia veramente integrale, ma valuta positivamente il fatto che la sua versione, priva di serie omissioni, consenta una lettura più «vicina» alle novelle originali.

Vogliamo rammentare che nel puritano mondo anglosassone, mentre la produzione grave e composta delle opere latine di Boccaccio cominciò ad essere già conosciuta nel XIV secolo, il suo novelliere in prosa incontrò difficoltà ad essere accettato nella sua interezza. Infatti, da quando il primo consistente gruppo di novelle fu incluso nel Palace of Pleasure (1566-67) di W. Painter (1540 ca. - 1594) sino al 1886, anno in cui uscì la prima versione integrale per le cure di J. Payne (London, Villon Society, 3 voll.), i contenuti scabrosi sono stati oggetto di rettifica e di censura in tutte le edizioni.

G. H. McWilliam ha notato che, tra le novelle meno «ortodosse» del Decameron tradotte in inglese, la grande assente è quella di Alibech e Rustico nel deserto [III,10]. In tutte le edizioni essa viene omessa o ridotta di una parte consistente o sostituita con racconti più edificanti. Invece altre novelle a sfondo erotico come quella di Donno Gianni [IX,10], anche se sottoposte ad attenti lavori di forbice, sono riuscite ad entrare facilmente nel panorama letterario inglese. La ragione della «latitanza» della celebre novella va vista, probabilmente, nella sua natura dissacratoria verso il dogma religioso più che nella sua licenziosità3 . Al contrario, questo suo sapore «blasfemo» non poteva offendere facilmente la spiritualità dei cinesi, ben diversa da quella occidentale. Tuttavia per i traduttori, che avevano a disposizione come uniche fonti delle versioni inglesi, la resa integrale di questa novella ha rappresentato un compito arduo. Perciò la versione colorita ed incisiva di Liu An, priva delle classiche mende, ci sembra ancora più preziosa.

Meno originale e più prudente del suo è il lavoro di Huang Shi e Hu Zanyun, che per primi hanno riunito in una edizione tutte e cento le novelle del Decameron (Shiritan), Shanghai, Kaiming shudian, 1930, pp. 926; nella ristampa figura solo il nome di Huang Shi, Shijiazhuang, Hebei Renmin, 1989, 2 voll. I due traduttori si sono rifatti alla versione ricca di eufemismi e ritocchi dell'inglese Thomas Wright4 che, al pari di altre, non traduce in inglese l'episodio clou dell'incontro tra Alibech ed il romito, conservando l'originale italiano sino all'episodio dell'incendio di Capsa, con cui si conclude l'avventura della giovane del deserto.

Nella Prefazione alla loro edizione, Huang Shi e Hu Zanyun confessano che avrebbero preferito consultare anche qualche versione meno edulcorata, ma sulla scelta di limitarsi alla edizione di Wright ha pesato la considerazione che il libro era diretto soprattutto ad un pubblico di giovani e che occorreva cautela per non incorrere nella censura.

Questa versione, oltre a riprodurre il ritratto di Boccaccio - un disegno di Raffaello - e le dieci illustrazioni di Thomas Stothard (1755-1834) dell'edizione Wright, ne traduce quasi alla lettera anche il «Profilo sulla vita e l'opera di Boccaccio», ricco di informazioni sul nostro autore, tolte in maggior parte dalla monumentale Storia della Letteratura italiana (I ed. 1772-82, in nove tomi) del gesuita bergamasco Girolamo Tiraboschi (1731-1794).

Nella loro Prefazione i traduttori si allineano alla critica del nostro Ottocento che tende ad «identificare nel Decameron il manifesto ideale di una nuova età»5 e ripetono l'affermazione di F. De Sanctis secondo cui se il capolavoro di Dante è la Divina Commedia, quello di Boccaccio può essere chiamato «commedia umana». In base a questo orientamento critico, con Dante si chiuderebbe l'Evo Medio, l'età dominata dalla trascendenza, con Boccaccio, invece, si aprirebbe un'epoca nuova in cui «la vita contemplativa si fa attiva», in cui «l'uomo non vive più in ispirito fuori del mondo, ma vi si tuffa e sente la vita»6 . Da qui sino a giorni nostri l'immagine più ricorrente di Boccaccio che emerge dagli studi critici cinesi è quella di un «uomo nuovo», l'incarnazione dello spirito del Rinascimento e l'antitesi del Medioevo7 . Non si ha quasi conoscenza di più nuove interpretazioni, come quella proposta da V. Branca di un Boccaccio medievale, calato appieno nella realtà comunale del suo tempo, espressione della classe mercantile affermatasi nell'«autunno» del Medioevo ed imbevuto della cultura dell'età di Dante8 .

Fonte di alcune notizie di stampo romantico-positivistico relative alla vita ed all'opera di Boccaccio è stato per i cinesi anche il voluminoso studio biografico di E. Hutton (Giovanni Boccaccio: A Biographical Study, London, J. Lane The Bodley Head, 1910, s.i.p.), già presente nella bibliografia della sezione dedicata alla letteratura italiana di un'opera collettiva intitolata Xiyang wenxue jiangzuo (Lezioni di letterature occidentale), Shanghai, Shijie shuju, 1935, riprodotta fototipicamente dalla Shanghai shudian, 1990, pp. 147. È possibile che proprio dal libro di Hutton, Wu Guangjian (1867-1943), il traduttore di un'altra riduzione del Decameron (Shanghai, Shanwu yinshugan, 1936, pp. 2, VIII, 44) abbia attinto l'informazione della biblioteca in stato di totale abbandono rinvenuta da Boccaccio nel corso di una visita alla abbazia di Montecassino.

Oltre a questa notizia, nella nota introduttiva al testo egli riporta un giudizio pronunciato in tribunale in difesa del Decameron dal giudice O'Brien per contrastare un'iniziativa di censura promossa a New York nel 1894. Il giudizio in questione veniva citato nella premessa ad una edizione americana della traduzione di John Payne9 , su cui probabilmente è condotta questa edizione cinese. Qui sono state tradotte cinque novelle e la celebre ouverture del Decameron, la descrizione della peste del 1348 a Firenze, per cui Boccaccio si ispirò ad un brano della Historia Langobardorum (II,4) dello storico medievale Paolo Diacono (ca. 720 - ca. 799). Caratteristiche di questa versione, oltre il testo a fronte in inglese, sono alcune precisazioni e notazioni di suo pugno che Wu Guangjian inserisce nel testo tradotto.

Nel 1941 esce la pregiata edizione di Min Yi (Shiri qingtan, Shanghai, Shijie shuju, pp. 751) condotta sulla traduzione di Richard Aldington, con la riproduzione degli eleganti disegni di Jean de Bosschère. Qui spicca l'originalità della traduzione del titolo dell'opera che viene reso Shiri qingtan (Raffinate conversazioni in dieci giorni); un'espressione di sapore cinese. In Cina i «qingtan» erano colte discussioni praticate, soprattutto, durante il IV secolo, da pensatori neo-taoisti e monaci buddisti, nel corso delle quali si cercavano di esprimere pensieri profondi con un linguaggio aulico ed un periodare forbito. Facendo uso dell'espressione «qingtan», il traduttore probabilmente ha voluto rievocare l'eleganza verbale dei «composti conversari» del Decameron e l'affinità intellettiva tra i novellatori.

A parte la variante della versione di Min Yi, in qualche altro testo degli anni venti-trenta, «Decameron» è stato semplicemente traslitterato e non tradotto. Per esempio nello Shijie wenxuejia liezhuan (Biografie di letterati del mondo), s.i.l., Zhonghua shuju, 1926 di Sun Lianggong, un'opera compilativa redatta sulla fonte di materiali giapponesi, «Decameron» diventa «Tejiamanlu» (p. 301). Nel già citato Xiyang wenxue jiangzuo, invece, Fu Shaoxian, l'autore della sezione dedicata alla letteratura italiana, fa uso della forma più comune «Shiritan», ma precisa che il titolo originale dell'opera era «Dikamilong» (p. 16). Comunque la traduzione «Shiritan» risulta essere la più diffusa ed accettata sino ad oggi. Già presente nel volume Ouzhou wenxueshi (Storia della letteratura europea), Shanghai, Shanwu yinshuguan, 1920 [rist. I ed. 1918], p. 17, del saggista e scrittore moderno Zhou Zuoren (1885-1966), viene poi adottata nelle edizioni e negli scritti successivi. Wang Xihuo, nel suo manuale Yidali wenxue (Letteratura italiana), Shanghai, Shanwu yinshuguan, 1930, ispirandosi a quanto già scritto da Zhou Zuoren, spiega ai lettori che il titolo «Shiritan» del libro di Boccaccio deriva dal fatto che dieci giovani raccontano una novella a testa nell'arco di dieci giornate (p.13). In realtà il titolo Decameron, che Boccaccio ha modellato sul greco, rifacendosi all'Hexameron di sant'Ambrogio e ad altri trattati di patristica relativi ai sei giorni della Creazione, vuol dire soltanto «dieci giornate», mentre Shiritan (Racconti in dieci giornate), racchiude anche il senso dell'intrattenersi discorrendo. Tra altre ipotesi, si potrebbe immaginare che i cinesi, scegliendo questa forma, abbiano tenuto presente il titolo della versione inglese del Decameron di T. Wright: The Decameron or Ten Days Entertainment10 che forse circolava negli ambienti letterari di Shanghai già prima del 1930, data in cui ne fanno menzione Huang Shi ed Hu Zanyun nel loro Shiritan.

L'interesse dei cinesi per il novelliere di Boccaccio periodicamente si rinnova e nel 1958, nella Cina del «Grande Balzo», viene data alle stampe l'edizione dello Shiritan (Shanghai, Xin Wenyi), curata da Fang Ping (1921) e Wang Keyi (1925-1968), due esperti traduttori di opere letterarie occidentali. Un forte stimolo a portare avanti l'attività di traduzione dei classici stranieri veniva allora dalla linea di politica culturale proposta nel 1954 dallo scrittore Mao Dun (1896-1981), eletto ministro della cultura dopo la fondazione della Repubblica Popolare11 . Come effetto, nel 1957 si ristampa la prima edizione integrale della Divina Commedia che risaliva agli anni '40 e nel 1958 viene pubblicata la versione del Decameron. Ad essa ha arriso grande successo nel paese, tanto che ne è uscita una nuova edizione già nel 1959 (Shanghai, Wenyi, a circolazione limitata) ed un'altra nel 1980 (Shanghai, Yiwen, II ed. agg. 1989, III rist. 1990), quando la Grande Rivoluzione Culturale (1966-1976) era stata archiviata e nuovo respiro veniva concesso alle lettere.

Non stupisce che, in quegli anni in cui chi produceva cultura in Cina risentiva ancora fortemente dell'influenza sovietica, Fang Ping e Wang Keyi abbiano introdotto la loro edizione con uno scritto su Boccaccio del russo A. Stejn, tradotto in cinese da Fang Wen, tratto dall'edizione russa del Decameron di A. N. Veselovskij (Moskva, Goslitizdat, 1955, pp. 656). Dalla Prefazione di Stejn emerge un Boccaccio realista e socialmente impegnato, duro antagonista del vecchio ordine feudale e della classe reazionaria che si accorda bene alla figura del letterato al «servizio delle masse», prodotta dalle teorie propagandistiche del Realismo Socialista già popolari, a quel tempo, in Cina.

Da questa impostazione critica muove anche l'Introduzione che Fang Ping scrisse per la seconda edizione del Decameron del 1980, intitolandola «Xingfu zai renjian» (La felicità tra gli uomini). Anche Fang Ping segnala l'energia combattiva e la forza di rottura contro i vecchiumi feudali del Decameron, ma per lui quel messaggio di lotta acquista in più il significato di un rifiuto dell'oscurantismo rappresentato, nella Cina contemporanea, dalla tragica esperienza della Rivoluzione Culturale. Egli dichiara, infatti, che sotto il regime dispotico della «Banda dei quattro», il libro di Boccaccio divenne, a causa della sua vena polemica, un facile bersaglio e ricorda, nella Postfazione, come il suo collaboratore Wang Keyi, morto suicida, fu tra le vittime di quel buio decennio. Inoltre, in una sua lettera, egli confessa che, paragonando l'oscurantismo politico degli imperi orientali e della chiesa occidentale nel commento scritto per la novella di Martellino [II,1] pubblicata nel Waiguo duanpian xiaoshuo xinshang cidian (Dizionario di stima della novellistica mondiale), Anhui, Wenyi, 1991, si riferiva, sotto metafora, alla Rivoluzione Culturale12 .

Dal punto di vista stilistico, nella loro traduzione, Fang Ping e Wang Keyi, prendendo a modello il linguaggio vivace e brillante degli «huaben» (testi da recitare) tradizionali cinesi, sono riusciti a creare un'agile prosa di timbro conversativo che riproduce molte gustose sfumature del testo di Boccaccio. A conferma del loro desiderio di completezza e fedeltà all'originale, i due traduttori hanno consultato, oltre alla edizione di J. Payne (New York, Blue Ribbon Books, 1931, s.i.p.), anche quelle di J.M. Rigg (Everyman's Library [Sic.], 1953, s.i.p.) e di R. Aldington (New York, Garden City Books, 1930, pp. XXVIII-562)13 . Inoltre, un sostanziale aggiornamento del testo cinese - reso possibile in occasione della sostituzione della matrice di stampa nel 1987 - è stato condotto dal solo Fang Ping, su una più recente edizione Rigg e sulla più moderna versione di G.H. McWilliam.

Ancora una parola merita l'interesse manifestato dai due traduttori per le rappresentazioni figurative delle novelle di Boccaccio, testimoniato dal ricco corredo di immagini scelte per ornare la loro versione. Tra queste spicca la riproduzione di cento delle centoquattro xilografie della prima edizione illustrata del Decameron uscita in Italia, curata dall'umanista Girolamo Squarciafico (Venezia, De Gregori, 1492), tratte dalla edizione russa del 1955 già citata. In Occidente la critica ha guardato con vivo interesse ai preziosi legni ed è stato appurato che essi sono il frutto di una doppia composizione da parte di due distinti incisori cresciuti alla stessa scuola14 . Nella Postfazione al loro Shiritan Fang Ping e Wang Keyi dichiarano di preferire quelle xilografie nelle quali vari episodi della novella vengono raggruppati in un medesimo quadro e che ricordano il modo di rappresentazione di certe incisioni lignee cinesi di epoca Ming (1368-1644).

Dal 1977, successivamente alla caduta della «Banda dei quattro», in Cina il mercato delle traduzioni di letteratura europea conosce una rinnovata fioritura. Nel nuovo clima di apertura, il Decameron incontra uno straordinario successo di pubblico che va di pari passo con la fortuna della traduzione di Fang Ping e Wang Keyi. La ristampa del 1980, tirata in oltre trentamila copie, viene ben presto esaurita e nel 1981, in risposta alla crescente domanda del pubblico, la stessa casa editrice, che l'aveva data alle stampe, cura la pubblicazione di una versione ridotta contenente settantatre novelle (Shanghai, Yiwen, pp. 713). Qui, più che la scelta delle novelle, sono significative le esclusioni. Le novelle scartate sono quelle a sfondo erotico e quelle più crude di Nastagio degli Onesti [V,8] e Talano d'Imola [IX,7], che contrastano con la finalità educativa di questa edizione diretta a far conoscere il Decameron al grande pubblico.

Questa attività di divulgazione si intensifica durante tutto il corso degli anni ottanta e la chiave di lettura più ricorrente dell'opera, opportunamente ridotta, è quella che privilegia il suo ruolo didascalico e formativo. Così il Decameron viene incluso nei programmi di studio dei dipartimenti di Letteratura delle maggiori Università del paese e le sue novelle conoscono nuovi adattamenti o trovano posto nelle antologie di letteratura straniera edite in questi anni.

Nel 1988 esce una riduzione a fumetti, in cinque piccoli volumi, che riassume, sulla base del testo di Fang Ping e Wang Keyi, settantanove novelle, entro brevi didascalie a fianco dei disegni (Shiritan lianhuanhua, Tianjin, Renmin Meishu). All'origine del progetto editoriale, per la cui realizzazione sono stati impiegati cinquanta noti illustratori provenienti da diverse regioni della Cina, sta la volontà di conquistare un più largo strato di lettori. Scrive nella Prefazione lo scrittore moderno Yang Hansheng (1902) che il rifacimento a fumetti concorre, con l'evidenza immediata della traduzione visiva, a stimolare la curiosità ed istruire divertendo. Nello stesso anno viene pubblicata, a cura di Huang Shao, una scelta di tre novelle tratte dal Decameron di Fang Ping e Wang Keyi (Shiritan gushi xuan, Guiyang, Guizhou Renmin, III, 8; VI,10; X,6) e la traduzione dal russo, ad opera di Ji Gang e Li Gang, di una antologia di novellistica italiana dal XIV al XVI secolo che comprende altre tre novelle di Boccaccio intitolata Shaonian lianren de baizhou (Le giornate dei giovani amanti), Hangzhou, Zhejiang Wenyi, pp. 3-5015 .

Nel 1990 la tragica novella di Ghismonda [IV,1] viene inserita nel primo volume, curato dalla scrittrice Ke Yan (1929), sulla novellistica straniera della serie «Gujin zhongwai wenxue mingpian bacui» (Eminenti opere letterarie cinesi, straniere, antiche e moderne), Qingdao, Qingdao chubanshe, pp. 1-11. Ancora Ghismonda e la novella di Ser Ciappelletto [I,1] si leggono nella antologia ad uso degli studenti universitari Waiguo wenxue zuopin xuan (Scelta di opere di letteratura straniera), Shanghai, Yiwen, 1991 [rist. I ed. 1979], pp. 1-25, a cura di Zhou Xuliang, mentre altre novelle sono state riassunte da Zhao Tian nel volume Shijie xiaoshuo mingzuo gushi daguan (Storie da famose opere di novellistica mondiale), a cura di Yi Tianjian et al. Shanghai, Wenhua, 1991, pp. 1-8.

Infine va menzionata la recentissima edizione integrale del Decameron, tradotta da Qian Hongjia (1927), Tai Heyang e Tian Qing, che è anche la prima in assoluto ad essere stata condotta interamente sull'originale italiano (Nanjing, Yilin, 1993, pp. 8, 19, 787). Grazie al confronto diretto con il testo di Boccaccio letto nella versione curata da A.E. Quaglio (Milano, Garzanti, I ed. 1974, V ed. 1980, 2 voll.), i traduttori correggono qualche lacuna che nemmeno Fang Ping, paragonando diverse edizioni inglesi, era riuscito a colmare. Un esempio è offerto dalla novella del nobile Natan e di Mitridanes [X,3], che Boccaccio ambienta nel «Cattaio», la misteriosa e ricca terra d'Oriente descritta da Marco Polo. Nelle precedenti edizioni del Decameron la parola «Cattaio» manteneva la grafia occidentale o veniva traslitterata «Kataizhou» e « Jiataluo», senza spiegare che il vocabolo si riferiva alla Cina. Il noto italianista Lü Tongliu, segnalando questa lacuna già nel 1982, l'ha associata all'uso quasi esclusivo che si è fatto in Cina di versioni inglesi per tradurre la novella (Lü Tongliu-V. Branca «Il Decameron in Cina», Studi sul Boccaccio, XIII, 1982, p. 390). In seguito, anche il critico Wu Deduo, in un saggio, dichiara la sua sorpresa nell'apprendere, mentre leggeva una edizione inglese del libro, che la novella in questione è d'ambito cinese («Shiritan yu wo guo huaben», Il Decameron e gli huaben cinesi, Shehui kexue, Scienze sociali, 1, 1986, p. 47).

Finalmente, nell'ultima edizione del Decameron cinese si informano i lettori, in una nota, che con la parola Cattaio si era soliti indicare, anticamente, la Cina del nord (p. 702).
Leggendo questa novella viene naturale domandarsi quanto Boccaccio sapesse della Cina e quali fossero le sue fonti. Come già osservato da V. Branca, oltre al «Cattaio», anche la descrizione dello splendido palazzo di Natan ricorda le grandiose dimore ed i fasti della corte del Gran Qan Qubilay illustrati nel Milione [capp. LXXV e LXXVI]. Una prova della conoscenza da parte di Boccaccio del libro di Marco Polo è data altresì dalla novella di Ferondo [III,8], nella quale si fa menzione del Veglio della montagna, della bevanda (l'oppio) che induce il sonno per tre giorni e del finto Paradiso in cui si ritrova al risveglio [Milione capp. XLI e XLII].

Inoltre, sono noti agli studiosi i cenni ai drappi tartareschi, nome sotto il quale nel nostro Medioevo erano conosciuti i pregiati broccati cinesi, presenti nella novella di Frate Cipolla [VI,10,23] e nelle battute conclusive delle Esposizioni sopra la Comedia [XVII,8], con cui Boccaccio commenta un celebre verso di Dante. Ancora in alcuni luoghi del Decameron Boccaccio cita lo «zendado»; un vocabolo di probabile origine cinese. Lo «zendalo» è voce diffusa in ambiente toscano nel XIII secolo per indicare una stoffa di seta leggera ed è collegabile al greco «sindo'n» (mussolina), di derivazione orientale. Il tessuto serico viene sempre associato, nel Decameron, ad un oggetto di un certo valore. Sono fatti di zendalo abiti signorili come le giubbe [III,7,89; X,6,21; X,9,32] ed un sottile drappo della preziosa seta serve ad avvolgere la cassetta che contiene la penna di pappagallo spacciata da Frate Cipolla per la santissima reliquia dell'arcangelo Gabriele [VI,10,26 e 34].

I.V. Pouzyna, convinto assertore degli influssi cinesi sulla pittura italiana del Trecento, ha avanzato l'ipotesi che in un periodo di fitti scambi commerciali tra Oriente ed Occidente quale fu il XIV secolo, anche alcune parole di origine cinese, indicanti le merci importante, entrarono nella nostra lingua. Egli crede che «satin» e «zendalo», in particolare, siano ricollegabili al nome del porto cinese di Zaitun (Quanzhou), dal quale anche la seta veniva esportata. Lo studioso cita vari esempi da opere del tempo in cui figurano questo e simili vocaboli, eppure non dice nulla dell'uso che ne fa Boccaccio. La sua idea è di per sé affascinante, ma va accolta con le dovute riserve se pensiamo, ad esempio, che nel capitolo del Milione, dedicato alla descrizione del celebre porto e delle merci che vi circolavano non viene menzionata affatto la seta [cap. CXXXVI]16 .

In Cina, nel XX secolo, accanto all'ingente lavoro di traduzione, si forma una letteratura critica sul Decameron e sul suo autore che raggiunge, negli anni, vaste proporzioni.
Più di una menzione a Boccaccio si trova, sin dagli anni venti, nell'opera del grande saggista moderno Zhou Zuoren. In realtà il suo intenso amore per la cultura ellenica lo rese diffidente nei confronti della tradizione latina simbolo della rovina del mondo greco e condizionò anche il suo giudizio verso la letteratura italiana che era l'erede di quella romana17 . In un capitolo della già citata Storia della letteratura europea egli esalta l'atteggiamento umanista di Boccaccio che intraprese lo studio del greco, apprezza la «novità» e la vitalità del Decameron, ma critica una certa sua mancanza di serietà (cfr. il cap. «Wenyifuxing zhi qianqu», I precursori del Rinascimento, p. 14 e segg.). Successivamente, nel saggio del 1932 «Xibanya de gucheng» (Le antiche città spagnole), edito nella raccolta Kan yun ji (Guardando le nubi), Shanghai, Kaiming; nuova ed. Changsha, Yuelu shushe, 1988, egli dichiara di apprezzare più le letterature spagnola e francese di quella italiana, sostiene di non capire Dante e non amare D'Annunzio; quanto a Boccaccio lo considera un grande autore, ma gli è meno familiare di Rabelais e Montaigne (p.121). Un accostamento tra Boccaccio e Rabelais già si leggeva nel saggio del 1925 «Jingguan» (Una chiara veduta), contenuto in Yu tian de shu (Il libro delle giornate di pioggia), Beijing, Beixin shuju; nuova ed. Changsha, Yuelu shushe, 1987, dove Zhou Zuoren sottolineava la vena satirica diretta contro le istituzioni che accomuna le opere dei due grandi scrittori (p. 97).

Minore attenzione all'opera di Boccaccio mostra Lu Xun (1881-1936), il celebre fratello di Zhou Zuoren. Egli annotò nel suo diario, alla data del 26 dicembre 1931 (Lu Xun quanji, Opera completa di Lu Xun, Beijing, Renmin Wenxue, 1982, vol. 14, p. 906), di aver acquistato un'edizione giapponese del Decameron tradotta da Morita Sôhei (Shinchôsha, 1931, 2 voll.) e in un saggio del 1933 scrisse di aver visto, qualche anno prima un'altra versione dell'opera presso l'Accademia Sovietica («Guanyu fanyi», Sulla traduzione, in Lu Xun quanji, op. cit., vol. 5, p. 296). A parte queste fugaci menzioni, la sola volta in cui egli esprime un parere sul nostro dichiara di preferire alla sua opera quelle di Chekhov e Gorky, più nuove e vicine al sentire moderno («Ye Zi zuo Fengshou xu», Ye Zi scrive la Prefazione a Raccolto, in Lu Xun quanji, op. cit., vol. VI, p. 219).

Tra gli scrittori cinesi moderni Mao Dun ha guardato con maggiore interesse al Decameron tanto da dedicargli, nel 1936, un intero saggio nel quale lo confronta con la Divina Commedia. Edito, in origine, nella raccolta Shijie wenxue mingzhu jianghua (Introduzione ai capolavori della letteratura mondiale) Shanghai, Kaimin shudian, 1936; nuova ed., Hong Kong, Zhongliu, 1957, pp. 59-90, il saggio intitolato «Shiritan» si può leggere ora nella silloge Shije wenxue mingzhu zatan (Miscellanea di capolavori della letteratura del mondo), Tianjin, Baihua Wenyi, 1980, pp. 106-132. Mao Dun, nella Prefazione a quest'ultima raccolta, spiega che i testi ivi contenuti, scritti negli anni trenta, vengono riproposti perché dopo più di quarant'anni, mentre i lettori cinesi manifestano un vivo desiderio di conoscere meglio le opere più note della letteratura straniera, il volume delle pubblicazioni sull'argomento è ancora troppo basso. Basandosi sulla traduzione di Huang Shi e Hu Zanyun, il critico offre un ritratto dell'opera di Boccaccio in linea con l'oleografia tardo-romantica occidentale che puntava a risolvere, senza il supporto di dati e prove documentarie, tutta la produzione giovanile dell'autore in uno sfogo delle passioni amorose realmente esperite. Paragonando la Commedia di Dante e il Decameron egli ripete la consunta interpretazione desanctisiana. Scrive infatti che la prima è una «fantasia con gli occhi puntati verso il cielo», il secondo è la «vita presente e reale» (p. 107).

Val la pena di ricordare che esempi tratti dal Decameron ricorrono anche in due trattati eruditi dello studioso Qian Zhongshu (1910): il Guan zhui bian (I quaderni del tubo e del punteruolo), Beijing, Zhonghua,1979, II ed. 1991, vol. I, pp. 157, 225; vol. II, pp. 433, 601, 713, 819, 827; vol. III, pp. 1001,1051 ed il Tan yi lu (Annotazioni sull'arte e la letteratura), Beijing, Zhonghua, 1984, pp. 463-464. Col suo metodo di affrontare argomenti di letteratura, storia e filosofia rielaborando concetti espressi in tutti i tempi nelle opere di autori orientali ed occidentali, Qian menziona alcune idee e temi sviluppati nelle novelle di Boccaccio presenti anche in Oriente.

Un altro capitolo della fortuna di Boccaccio in Cina è rappresentato dalle numerose opere di divulgazione attraverso le quali il pubblico cinese ha conosciuto il nostro autore e la sua opera. Storie della letteratura, dizionari enciclopedici, biografie critiche, nella maggior parte dei casi si limitano a disegnare un quadro della vita di Boccaccio e dei suoi lavori, senza aggiungere nulla di nuovo a quanto già scritto dai traduttori nelle premesse alle loro edizioni.

Oltre ad alcuni testi usciti negli anni trenta già citati, un profilo su Boccaccio è quello tracciato nel 1964 da Zhu Longhua nel suo libro Yidali Wenyifuxing (Il Rinascimento italiano), Beijing, Shanwu, pp. 48-52, poi ripreso nel capitolo «Wenyi de shuguang» (L'alba dell'arte e della letteratura) di un suo testo più tardo intitolato Waiguo lishi gushi (Racconti di storia straniera), Beijing, Zhongguo Shaonian Ertong, 1981, p. 93 e sgg. In un clima esegetico piuttosto uniforme e carente di materiali aggiornati, spicca però il lavoro di chi unisce ad una acuta sensibilità critica una ottima conoscenza della nostra lingua che gli consente di accedere a fonti più nuove. È il caso di Lü Tongliu che dà un taglio originale ad un testo a carattere compilativo come la sezione su Boccaccio da lui curata per il Waiguo mingzuojia zhuan (Biografie di celebri scrittori stranieri), a cura di Zhang Yinglun et al., Beijing, Zhongguo Shehui Kexue, 1979, pp. 163-167. Da sottolineare la traslitterazione del nome di Boccaccio reso con «Bokaqi», più aderente alla pronunzia italiana rispetto alle forme «Bujiaxiao», «Baojiaxue», «Bajiaxian», «Bokesu», «Bojiaxi», «Bokaiqia», «Bokeji'ao» etc... delle altre pubblicazioni ed a quella «Bojiaqiu», più comunemente adottata. Il pezzo, aggiornato per il Zhongguo dabaike quanshu. Waiguo wenxue (Grande enciclopedia cinese. Letteratura straniera), Beijing-Shanghai, Zhongguo dabaike quanshu, 1982, pp. 171-173, è stato pubblicato con più ricchi dettagli anche nel Waiguo mingzuojia da cidian (Grande dizionario di famosi scrittori stranieri), a cura di Zhang Yinglun et al., Guilin, Lijiang, 1989, pp. 139-140.

Ancora una biografia commentata è quella scritta da Fang Ping per il primo dei cinque volumi del Waiguo zhuming wenxuejia pingzhuan (Biografie critiche di celebri letterati stranieri), a cura di Wu Fuheng, s.i.l., Shandong Jiaoyu, 1990, pp. 219-233, ispirata alla Prefazione da lui scritta per la sua edizione del Decameron.

Dopo aver tradotto l'opera, Fang Ping è diventato anche uno dei suoi più attenti studiosi. Sulla scorta dei suoi giudizi, la maggior parte dei critici che scrivono sul Decameron negli anni ottanta evidenziano la carica combattiva del libro. La critica contro il malcostume del clero, la condanna dei matrimoni combinati, la lotta nei confronti della disparità tra i sessi, sono i temi esaltati in questi studi come l'emblema della foga polemica di Boccaccio rivolta contro un ordine di valori falsi e consunti.

Probabilmente l'insistenza, da parte di tutti i critici, sui valori progressisti del Decameron vale a giustificare la scelta di spiegare ai lettori un'opera reputata tradizionalmente «turbolenta». Se un critico considera «veleni borghesi» i passaggi più spinti e le allusioni scabrose che punteggiano l'opera18 , più spesso le ardite descrizioni boccaccesche vengono intese come un espediente usato dall'autore per condurre a buon fine la sua offensiva contro il comportamento ipocrita dei ministri della religione19 . Nello sforzo di sottolineare la valenza sociale dell'opera si interpretano certi suoi contenuti come un'anticipazione degli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità della Rivoluzione francese20 e come «la prima espressione del realismo borghese europeo»21 .

Accanto a questa letteratura critica, negli anni ottanta si segnala una vasta produzione di studi comparativi che prendono in esame l'opera di Boccaccio. Sono questi gli anni in cui gli intellettuali cinesi riprendono i contatti col resto della «comunità culturale mondiale» forzatamente interrotti durante la Rivoluzione Culturale. Nel nuovo clima culturale viene fondata l'Associazione Cinese di Letterature Comparate (CCLA, 1985), nascono riviste specializzate sulla teoria della disciplina comparatistica e fogli dedicati alla letteratura straniera22 . Nella maggior parte dei casi, i comparatistici interessati al Decameron mettono a fuoco suggestive analogie tra alcune novelle di Boccaccio e gli huaben cinesi raccolti in collezioni di novelle d'epoca Ming come i San yan (I tre novellieri) del letterato Feng Menglong (ca. 1574-1645) e gli Er pai (Storie incredibili) dell'editore e bibliofilo Ling Mengchu (1580-1644)23 .

Accomunate da uno sfondo storico-sociale che vede l'affermarsi di una classe cittadina di attivi mercanti, queste opere sviluppano temi cari alle nuove popolazioni urbane tanto nell'Italia del Trecento che nella Cina dei Ming. Alcuni studiosi evidenziano la corrispondenza tra la satira antifratesca che percorre il Decameron e la fiera riprensione di comportamenti poco ortodossi di preti taoisti, bonzi e monache buddisti, nelle raccolte di novelle cinesi. Attenti anche alle differenze, questi critici rilevano che, mentre nel Decameron la condotta ipocrita di certi religiosi viene messa a nudo con armi verbali o tiri beffardi, nelle novelle cinesi alla denuncia segue sempre una tragica sentenza24 .

Ad esempio la novella di Masetto che entra in un convento di suore fingendosi muto [III,1] si chiude con un lieto fine ed il giovane viene addirittura nominato castaldo del convento, mentre la storia quasi identica del letterato entrato in un monastero di suore buddiste, narrata da Feng Menglong in Xingshi hengyan (Storie per svegliare la gente), Shanghai, Guji, 1988, XV, diffusa in Cina anche sotto forma di ballata (intitolata Furong dong, La caverna dei loti: conosciuta anche come Yu qingting, La libellula di giada), termina con la morte del protagonista25 .

In un'altra novella del Decameron di timbro anticlericale Frate Alberto, che ha sedotto la stolta Lisetta travestito da Arcangelo Gabriele, dopo essere stato smascherato finisce in prigione e vi muore [IV,2], mentre nei San yan, il monaco Sun Shendao, autore di un simile inganno ai danni di una concubina imperiale, viene squartato sulla pubblica piazza [Xingshi hengyan, XIII].

Le spietate condanne inflitte a religiosi nelle novelle cinesi riflettono l'ostilità della classe di letterati confuciani ortodossi nei confronti di una categoria che, scegliendo di vivere in comunità diverse dalla famiglia, cellula base dell'ordine sociale, si configurava come elemento destabilizzante. Gli studiosi cinesi spiegano, pertanto, la severa censura dei letterati Ming come espressione del loro spirito reazionario, contro l'atteggiamento più illuminato con cui Boccaccio affronta certe tematiche. In tal modo riescono a cogliere il senso della difesa degli istinti e dei desideri di cui Boccaccio si fa portavoce, ma trascurano il retaggio medievale della satira antifratesca e della critica al celibato imposto ai religiosi26 .

La «modernità» del Decameron viene contrapposta alla «medievalità» delle novelle cinesi anche in riferimento alla trattazione della tematica dell'adulterio. Le novelle in cui le donne si fanno beffe di mariti gelosi, bigotti e creduloni, in nome dell'amore vero, sono più apprezzate degli esemplari cinesi in cui al tradimento, eccetto qualche raro caso, segue una sicura condanna. Uno studioso osserva che, al massimo, nei San yan e negli Er Pai, viene rivolta qualche critica ai mariti egoisti ed insensibili27 , ma vince sempre l'etica tradizionale (v. Lin Man, «San yan, Er pai yu Shiritan bijiao yanjiu», Studio comparativo dei Tre novellieri, le Storie incredibili e il Decameron, Shantou daxue xuebao, Giornale dell'Università di Shantou, vol. VII, 3, 1990, p. 77).

Un giudizio negativo investe, invece, la novella dei due vicini che si scambiano le mogli [VIII,8]28 , ma anche la sofferta vicenda di Griselda [X,10], la cui obbedienza incondizionata al marito e lo spirito di sacrificio ricordano l'ideale della donna confuciana (cfr. Zhao Yanqiu, «Shiritan aiqing gushi sixiang neirong jianxi», Breve analisi dei contenuti delle novelle d'amore del Decameron, Waiguo wenxue xinshang, Stima della letteratura straniera, 2, 1987, p. 22).

A proposito della discussione sul realismo del Decameron e degli huaben, che aveva già diviso in Occidente studiosi come J.L. Bishop, da una parte e J. Prusek, seguito da L.S. Robinson, dall'altra, i critici cinesi sottolineano la più chiara rappresentazione del singolo e della sua individualità nell'opera italiana (Jin Changfa, «Song Yuan baihua duanbian xiaoshuo he Shiritan zhong de aiqing gushi», Le storie d'amore nel Decameron e nelle novelle in vernacolo Song e Yuan, Yangzhou shiyuan xuebao, Giornale dell'Istituto Normale di Yangzhou, 1, 1985, p. 87).

La curiosità per la tematica amorosa del Decameron stimola gli studiosi a paragoni anche con grandi romanzi cinesi incentrati sull'eros e l'amore. Un'analisi a sfondo sociologico è quella condotta da Bao Zunxin, assai noto in patria per il suo sostegno al movimento studentesco del 1989, che confronta il Decameron ed il romanzo Ming Jin Ping Mei («Seqing de wenchuang be aiqing de turang: Jin Ping Mei he Shiritan de bijiao», Il focolaio del sesso ed l'humus dell'amore: confronto tra il Jin Ping Mei ed il Decameron, Dushu, La lettura, 10, 1985, pp. 20-26). La descrizione della psicologia femminile rappresenta, invece, secondo Wu Guoguang, il tratto comune a Boccaccio e Cao Xueqin (1715-1764), l'autore del più celebre romanzo cinese («Shiritan yu Hong lou meng», Il Decameron e il Sogno della camera rossa, Hong lou meng xuekan, Periodico di studi sul Sogno della camera rossa, 3, 1984, pp. 209-223).

All'interesse degli studiosi per i contenuti del Decameron si accompagna una viva curiosità per la sua struttura a «cornice» e l'apprezzamento per la sua mirabile architettura compositiva. Nel 1982, per inaugurare una rubrica letteraria sul foglio di Shanghai Xinmin wanbao (Giornale della sera del popolo nuovo) intitolata Shiritan, Fang Ping ha pubblicato un saggio sulla struttura del Decameron, paragonandola a quella de Le mille e una notte e dei Canterbury TalesShiritan he zhuijia jiegou», il Decameron e la cornice). In seguito il saggio è stato riedito, con vari aggiornamenti, nella raccolta intitolata Sange cong jiating chu zou de funü (Tre donne scappate di casa), Beijing, Waiguo Wenxue,1987, pp. 328-36, riconosciuta, insieme ad alcuni lavori di Qian Zhongshu, tra le otto migliori pubblicazioni di comparatistica del decennio 1979-89.

L'accostamento tra le «giornate» del Decameron e le «notti» del capolavoro di novellistica araba ricorre in molti dei lavori sopra citati ed è anche parte centrale di uno studio uscito nel 1985 su una rivista letteraria specializzata in studi arabi (v. Zhou Shunxian, «Yiqianlingyiye yu Shiritan zhi bijiao», Confronto tra Le mille e una notte e il Decameron, Alabo shijie, Mondo arabo, 4, 1985, pp. 119-130).
L'idea di Fang Ping è che la «cornice» nelle sue varie forme contiene in nuce alcuni dei meccanismi formativi del romanzo.

Una netta evoluzione si ha proprio con la rivisitazione che Boccaccio fa della struttura: non solo la fitta rete di rimandi da una novella all'altra conferisce al novelliere una struttura unitaria, ma anche il ritorno di Calandrino in quattro storie, dà vita quasi ad un «ciclo» incentrato su un personaggio. L'interesse di Fang Ping per la «cornice» dipende anche dal fatto che questo modello di costruzione narrativa è estraneo alla tradizione novellistica cinese, a parte il caso veramente unico della raccolta di novelle Doupeng xianhua (Chiacchiere [sotto] il pergolato di fagioli, ca. 1660), che fa pensare ad un possibile influsso del Decameron, per la cui verifica mancano però dati probanti29 . In genere, le collezioni di novelle cinesi non presentano un'organizzazione compositiva paragonabile a quella del Decameron e tutt'al più collegano i singoli pezzi narrativi tra loro attraverso i titoli, come nel caso delle raccolte Xihu jiahua (Bei racconti del lago occidentale) e Shi’er lou (Le dodici torri). La prima comprende sedici racconti su personaggi del Lago Occidentale, la seconda dodici storie i cui titoli sono nomi di altrettante torri.

A conferma di questa sua attenzione per la «cornice», Fang Ping ha inoltre descritto in chiave psicologia i rapporti tra questa struttura e la personalità di Boccaccio, influenzato da uno studio di Joy H. Potter da lui conosciuto nel 1987 («Shiritan de xushu xitong», Il sistema narrativo del Decameron, Waiguo wenxue pinglun, Studi critici sulla letteratura straniera, 4, 1987, pp. 88-97).

Se la fortuna di Boccaccio in Cina coincide in larga parte con la diffusione del Decameron, una piccola parte del suo successo è rappresentata anche dalla traduzione di alcune tra le sue Rime. Può destare stupore che importanti lavori della sua produzione letteraria non siano stati presi in considerazione e la scelta sia caduta invece sulle sue Rime, che si pongono ai margini della sua esperienza artistica più impegnativa. Boccaccio giudicò le rime in volgare, al pari dei maggiori autori del suo tempo, delle nugae, delle sperimentazioni occasionali. Il suo esile Canzoniere resta estraneo alle proporzioni ben calcolate dei Rerum vulgarium fragmenta dell'amico Petrarca e rispecchia influssi diversi, talvolta in contrasto tra loro, ponendosi come un laboratorio di sperimentazione di varie suggestioni culturali.

Larga è l'eco dantesca e stilnovista, ma anche il duro linguaggio delle canzoni «petrose» di Dante e moduli della tradizione burlesco-realistica.

In Cina per ben due volte è stato tradotto il sonetto «Vetro son fatti i fiumi ed i ruscelli» [XXXVII] che si ispira proprio alle «petrose», anzi alla prima celebre canzone del gruppo «Io son venuto al punto della rota» [C] e ricorda anche alcuni sferzanti versi dell'Inferno (XXXI,123 «dove Cocito la freddura serra» e XXXII,23-24 «un lago che per gelo avea di vetro e non d'acqua sembiante»). Più letterale, la traduzione di Qian Hongjia «Heliu yijing biancheng boli», in Yidali shi xuan (Scelta di liriche italiane), Shanghai, Yiwen, 1987, p. 55, più libera ed agile quella di Fei Bai «Jiang he hua cheng boli», in Shijie mingshi jianshang cidian (Dizionario di stima dei capolavori della poesia mondiale), Guilin, Lijiang, 1989, p. 47. Ancora a Qian Hongjia si deve la traduzione dell'elegiaco sonetto in morte del Petrarca «Or sei salito, caro signor mio» [CXXVI], con cui Boccaccio suggella il suo Canzoniere («Dao nian Bidelake», in Yidali shi xuan, op. cit., p. 56), mentre è opera di Wang Tianqing la versione della delicata ballata «Quel fior che il valor perde» [LXXVII], «Shiqu jiazhi de huar», in Waiguo shuqingshi shangxi cidian (Dizionario di stima della lirica straniera), a cura di Zhang Yiishu, Beijing, Shifan Xueyuan, 1991, p. 813, dove vengono anticipati i topoi letterati della giovinezza e primavera che dileguano tanto cari alla poesia umanistico-rinascimentale.

Infine ricordiamo la traduzione di un passaggio del Trattatello in laude di Dante (titolo più noto del De origine, vita, studiis et moribus viri calarissimi Dantis Aligerii fiorentini), la biografia che Boccaccio dedicò al maestro di una vita, all'uomo che fu per lui, secondo la testimonianza del Petrarca, «primus studiorum dux et prima fax» [Familiares, XXI,15,2]. Il ritratto del poeta, per cui Boccaccio nutrì un vero e proprio culto, è anche un trattato in difesa della poesia contro chi la giudica tutta una menzogna. Il brano tradotto in cinese da Zhu Guangqian, noto studioso di Benedetto Croce, è quello in cui l'autore esalta il compito nobile dei poeti che narrano verità nascoste dietro belle favole, proprio come i teologi «Danting zhuan» (Biografia di Dante), in Shijie wenxue (La letteratura mondiale), 8/9, 1961, pp. 210-11. La traduzione di Zhu rende felicemente il chiaro dettato della seconda stesura del testo di Boccaccio e la nota di commento, in cui egli spiega ai lettori come il tema trattato diverrà un leit-motiv del Rinascimento, prescindendo dalle forzate interpretazioni socio-politiche di altri, rappresenta una pagina di critica letteraria più autentica30 .

MONDO CINESE N. 89, MAGGIO-AGOSTO 1995

Note

1 Il titolo si legge nella Bibliografia delle opere italiane tradotte in cinese - Yidali zuopin hanyu shumu 1911-1992, a cura dell'Ufficio Culturale dell'Ambasciata d'Italia, Pechino, Documenti di Scienze Sociali, 1992, alla voce «G. Boccaccio», p. 29.
2 La parola Salterìo è una voce dotta che discende dal latino Psalterium, strumento musicale a corde simile alla cetra nonché Libro dei Salmi (Vulgata), derivante, a sua volta, dal greco Psaltérion (cetra). Vedi il Dizionario Etimologico Italiano (DEI), a cura di C. Battisti e G. Alessio, Firenze, G. Barbèra, 1950, vol. V
3  Cfr. G. H. McWilliam, «Translator's Introduction», in G. Boccaccio, The Decameron, Harmondsworth, Penguin Books, I ed. 1972 [rist. 1973], p. 31 e sgg.
4 Si tratta probabilmente di: The Decameron or Ten Day's Entertainment of Boccaccio, with introduction by T. Wright, London, Chatto & Windus Piccadilly, [1878], pp. XIV 532, 40.
5 V. Branca, «La vita e le opere di G. Boccaccio», in G. Boccaccio, Decameron, op. cit. in bibliografia, p. LXVIII.
6  F. De Sanctis, il «Decamerone», in Storia della letteratura italiana, a cura di G. Contini, Torino, U.T.E.T., 1981 [rist. I ed. 1968], p. 323 [ed. or. Napoli, Morano, 1870, vol. I].
7  È significativo che un breve articolo dedicato al Decameron, edito sul Guangxi ribao (Quotidiano del Guangxi), in data 7/3/1963, firmato da Lan Shan, sia stato intitolato «Renqu: Shiritan» (La commedia umana: il Decameron).
8  Abbiamo motivo di credere che almeno il traduttore Fang Ping, in tempi più recenti, sia venuto a conoscenza di questa interpretazione dato che ne fa menzione G.H. McWilliam nella introduzione alla sua edizione del Decameron, da lui consultata tra il 1986 ed il 1987. Vedi «Xin ban houji» (Conclusione alla nuova edizione) in Bojiaqiu, Shiritan, tr. di Fang Ping e Wang Keyi, Shanghai, Yiwen., 1990, p. 982.
9  Cfr. The Decameron of G. Boccaccio, tr. by J. Payne, New York, The Modern Library Publishers, s.i.d., pp. XXI-XXII.
10  Questo titolo già si trova in una edizione espurgata del 1741 attribuita a Charles Balgury: The Decameron or Ten Days Entertainment [...] Translated from the Italian, London, R. Dodsley, 1741. V.S. Baldi «Il Boccaccio nell'Ottocento inglese», negli Atti Il Boccaccio nella cultura inglese e anglo-americana, a cura di G. Galigani, Firenze, L.S. Olschki, 1974, p. 114, nota 5. Esso fu utilizzato anche in altre versioni sino a tempi recenti. Vedi per es., l'edizione americana del 1947 (tr. di J. Payne, ill. di Jean O'Neill, Cleveland (Ohio), World Publishing Co., 1947, pp. 704).
11  Cfr. G. Bertuccioli, «Dante e la Cina», Mondo Cinese, 73, marzo 1991, p. 14.
12  Lettera personale di Fang Ping indirizzata a chi scrive (9 luglio 1991).
13  Rammentiamo che l'edizione Payne, uscita nel 1886, fu la prima versione integrale del Decameron in inglese. Quella di Rigg venne pubblicata nel 1903 (cfr. G.H. McWilliams, op. cit., p. 31) e ristampata, in seguito, più volte. Nell'indicazione bibliografica dei due traduttori cinesi viene confusa la serie «Everyman's Library» con la casa editrice.
14  Cfr. lo studio di Domenico Fava, «Intorno alle edizioni del Quattrocento del Decamerone e specialmente di quella illustrata del 1492», Accademie e biblioteche d'Italia, anno VII, 1933-34, pp. 141-142 e, in generale, tutto il saggio.
15  Titolo originale della raccolta era Ital'janskaja Novella Vozrozdenija (Moskva, Chudozestvennaja Literatura, 1984, s.i.p.), introdotta dal lungo saggio sullo sviluppo storico e la tipologia della novella italiana dello studioso Kikolaj B. Tomasevskij (1924- ).
16  Ma, come osservato da R. Etiemble, Marco Polo, pur essendo un mercante, non ebbe interesse specifico per le sete né per i tessuti ricamati. Vedi R. Etiembe, «La filosofia e le religioni nella Cina di Marco Polo», in Conosciamo la Cina?, tr. it., Napoli, Il Saggiatore, 1972, p. 34 e, in generale, tutto il saggio.
17  Cfr. C.H. Wang, «Chou Tso-jen's Hellenism», Renditions, Spring 1977, p. 18.
18  Cfr. Cai Xianbao, «Pengji fengjian jiaohui de zhandou xiwen: ping Bojiaqiu de Shiritan» (La chiamata alle armi contro la chiesa feudale: commento al Decameron di Boccaccio), Wuhan daxue xuebao (Giornale dell'Università di Wuhan), 4, 1980, p. 89.
19  Cfr. Li Wandiao, «Shiritan: Ouzhou zui zao de fan jinyuzhuyi duanpian xiaoshuo ji» (Il Decameron: la prima raccolta di novellistica europea che si oppone all'ascetismo), in Waiguo xiaoshuo mingzhu jianshang (Stima dei capolavori della novellistica straniera), Fuzhou, Fujian Renmin, 1986, pp. 13-20; Wang Fan, «Zhongxi xiaoshuo xingai yishi lüetan» (Breve discussione sulla coscienza amorosa nella novellistica cinese e occidentale», Pipingjia (La Critica), vol. V, 3, 1989, soprattutto la p. 20.
20) Vedi Chen Ken, «Shilun Shiritan ling yige zhuti» (Trattando un altro argomento del Decameron), Yitan (Discussioni d'arte), 4, 1983, pp. 137-139.
20  Vedi Chen Ken, «Shilun Shiritan ling yige zhuti» (Trattando un altro argomento del Decameron), Yitan (Discussioni d'arte), 4, 1983, pp. 137-139.
21  Vedi Zhang Shuli, «Cong Shiritan kan: zaoqi Yidali Wenyifuxing de sixiang qingxiang» (Osservando nel Decameron le linee di pensiero del primo Rinascimento italiano), Beifang luncong (Collezione di saggi settentrionali), 6, 1980, p. 43.
22  Rammentiamo: Zhongguo bijiao wenxue - Comparative Literature in China, organo ufficiale della CCLA, Cowrie: A Chinese Journal of Comparative Literature (in lingua inglese), Shijie wenxue (La letteratura mondiale), Waiguo wenxue yanjiu (Studi di letteratura straniera), Waiguo wenyi (Arte e letteratura straniera) etc.
23  I titoli delle tre raccolte attribuite a Feng Menglong sono rispettivamente: Yushi mingyan (Storie per istruire la gente), denominata in origine Gujin xiaoshuo (Novelle dei tempi antichi e moderni); Jingshi tongyan (Storie per mettere in guardia la gente) e Xingshi hengyan (Storie per svegliare la gente). Le collezioni di Ling Mengchu, invece, sono due: Chuke pai'an jingqi (Storie incredibili uno) e Erke pai'an jingqi (Storie incredibili due).
24  Vedi Wu Deduo, op. cit., p. 49; Sun Xun, «Dongxifang qimeng wenxue de xianqu - San yan, Er pai he Shiritan» (I precursori della letteratura illuministica orientali ed occidentali - i Tre novellieri, le Storie incredibili e il Decameron), Wenxue pinglun (Critica letteraria), 4, 1987, p.115; Li Kechen, «Bojiaqiu de Shiritan yu Feng Menglong de San ya» (Il Decameron di Boccaccio e i Tre novellieri di Feng Menglong), Dandong shizhuan xuebao, sheke (Giornali di studi specializzati di Dandong, Scienze sociali), 1, 1982, p. 35.
25  Lo stesso motivo del «laico nel convento» viene ripreso da Ling Mengchu, con un finale più felice giacché il giovane protagonista si salva mentre muore la superiora, incarnazione del vizio (Chuke pai'an jingqi, Shanghai, Gudian wenxue, 1957, XXXIV).
26  Attorno al 1100, un prete inglese, conosciuto come l'Anonimo di York, si dichiarò favorevole a consentire il matrimonio tra i religiosi in quanto consono all'ordine naturale disposto da Dio. Sul tema di gola e lussuria ordini rivali (Cluniacensi e Cistercensi) si scambiavano frequenti accuse mentre la curia ed il monachesimo furono oggetto di satira nelle parodie della poesia goliardica. Vedi E.R. Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, tr. it., a cura di R. Antonelli, Firenze, La Nuova Italia, 1992, pp. 139-141.
27  Vedi per es. Gujin xiaoshuo (Novelle dei tempi antichi e moderni), Beijing, Renmin wenxue, I ed. 1958 [rist. 1981], XXVII.
28  Rammentiamo che lo stesso tema viene trattato anche in una novella cinese (Chuke pai'an jingqi, XXXII) con esiti ben più tragici rispetto a quella di Boccaccio. Singolari somiglianze con le novelle del Decameron, oltre a quelle citate, presentano altre opere della letteratura cinese che, per ragioni di spazio, non vengono qui esaminate.
29  Uno studio interessante sulla raccolta è quello di A. Lévy, «Un Dodécameron chinois», T'oung Pao, LII, 1965, pp. 110-137.
30  Le pagine che Boccaccio dedica alla poesia nel Trattatello e nel suo maggiore trattato latino la Genealogia deorum gentilium (Genealogia degli dèi pagani), sono state analizzate da Zhu Guangqian anche nel cap. «Wenyifuxing shidai: Bojiaqiu, Da Fenqi he Kasite’erweituluo deng» (Il periodo rinascimentale: Boccaccio, Leonardo, Castelvetro» del suo libro Xifang meixue shi (Storia dell'Estetica Occidentale), Beijing, Renmin Wenxue, 1988, soprattutto le pp.152-154. Un esame del pensiero estetico di Boccaccio visto attraverso queste sue due opere è anche il saggio di Ye Boquan «Bojiaqiu meixue sixiang shenshi» (Studio del pensiero estetico di Boccaccio), Suihua shizhuan xuebao (Giornale di studi specializzati di Suihua), 4, 1986, pp. 15-18.

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