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INDICE>MONDO CINESE>IL VI CONVEGNO NAZIONALE DELL'ASSOCIAZIONE ITALIANA PER GLI STUDI CINESI (A.I.S.C.)

RAPPORTI

Il VI Convegno Nazionale dell'Associazione Italiana per gli studi Cinesi (A.I.S.C.)  -  "Cina: miti e realtà", Venezia, 21-23 maggio 1998

di  Marina Miranda

Una delle iniziative promosse ormai con regolarità dall'Associazione Italiana per gli Studi Cinesi (A.I.S.C.) è l'organizzazione di un convegno con cadenza biennale, che quest'anno si è svolto a Venezia, dal 21 al 23 maggio. I lavori sono stati coordinati dall'Istituto "Venezia e l'Oriente" della Fondazione Giorgio Cini, dal Dipartimento di Studi sull'Asia Orientale e dal Marco Polo Centre for Asian Studies dell'Università Ca' Foscari di Venezia. Notevole è stata la partecipazione di docenti, studiosi e studenti soprattutto dall'Università di Venezia, ma anche da quelle di Roma, Milano, Torino, Firenze e Bologna, con la sola eccezione dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli.

Uno dei dati significativi di questo incontro è stato l'elevato numero degli interventi, 33, di cui un'alta percentuale è stata presentata da giovani e giovanissimi sinologi. Il numero delle relazioni ha fatto sì che le sessioni pomeridiane del 21 e del 22 maggio si svolgessero in contemporanea, un inconveniente, però, inevitabile, in un'organizzazione dei lavori davvero ineccepibile, curata dai prof.ri Caonna, Gatti, Sabattini, Scarpari e dalla sig.ra Bonò.

Sebbene al tema del convegno, "miti e realtà", non si siano riallacciate direttamente proprio tutte le relazioni, nella maggior parte di esse il soggetto del "mito" è stato inteso non nell'accezione di narrazione fantastica, ma come riferito a personaggi, idee, fatti storici idealizzati nella coscienza collettiva fino ad assumere il carattere di simbolo o archetipo.

Una rilettura del mito più famoso della sinologia, quello di Marco Polo, ha dato il via i lavori: nella sua relazione, la d.ssa Frances Wood, curatrice dei manoscritti cinesi presso la School of Oriental and African Studies di Londra, ha attaccato la storicizzazione di tale mito, dato che, a suo avviso, Marco Polo non avrebbe mai visitato veramente la Cina. La tesi della d.ssa Wood, già enunciata nel suo libro Did Marco Polo go to China? (London, 1995), sembrerebbe direttamente influenzata dalle argomentazioni formulate da alcuni studiosi cinesi1 , i quali hanno evidenziato sia la mancanza di riferimenti alla figura di Marco Polo nei documenti storici ufficiali cinesi, che le curiose omissioni nella narrazione del viaggiatore veneziano, riguardanti alcune peculiarità della civiltà cinese, come la scrittura ideografica, l'uso delle bacchette, la bevanda del tè, la fasciatura dei piedi e persino la Grande Muraglia. La d.ssa Wood, accantonando le possibili spiegazioni di tali omissioni2 , ha criticato la "selvaggia crescita" di questo mito, attraverso un'analisi della genealogia dei manoscritti poliani giunti sino a noi, tentando di dimostrare che il testo fu oggetto di consistenti manipolazioni nei secoli XV e XVI da parte degli amanuensi che lo tramandarono. Di come però la tesi della d.ssa Wood si focalizzi in realtà su di un falso problema, quello dell'autenticità del testo, ampiamente dibattuto dagli studiosi già nei secoli passati, è emerso nel corso della discussione che è seguita alla comunicazione, cui sono intervenuti, tra gli altri, il prof. Lanciotti, il prof. Masini e il dr. D'Arelli.

Le relazioni successive hanno riguardato altri "miti" legati ai diversi aspetti storici, artistici, letterari, filosofici e religiosi della Cina antica, moderna e contemporanea. Il dr. Fracasso ha analizzato la tradizione letteraria legata alla figura di Cheng Tang, primo sovrano Shang, cercando di inserire tale personaggio nei ranghi della storia, sulla base delle fonti paleografiche ed archeologiche sinora disponibili. Nel suo intervento riguardante ancora la Cina arcaica, il dr. Salviati ha messo in discussione la supposta preminenza culturale delle regioni della Cina centrale sulle aree considerate "periferiche", illustrando alcuni casi campione, tra cui la cultura neolitica Hongshan, fiorita nel nord-est del Paese e quella Liangzhu, sviluppatasi nell'area sud-orientale. Delle stesse culture nel medio-tardo neolitico ha parlato la d.ssa Braghin, mettendo in relazione i diversi tipi di materiali utilizzati per i gioielli degli ornamenti funerari delle tombe con lo status sociale del defunto e con le influenze derivanti delle popolazioni centro-asiatiche, nel corso dei diversi periodi storici, fino a quello Shang e Zhou.

Gli aspetti filosofici legati al pensiero di Gaozi, di cui si possiedono scarse informazioni storiche, sono stati trattati dal prof. Scarpari, il quale è riuscito a provare, nel dibattito aperto tra gli studiosi sulla posizione di tale pensatore tra le diverse dottrine filosofiche del IV-III secolo a.C., le sue affinità con la scuola confuciana e con le teorie sulla nature umana di Xunzi. Su di un altro filosofo del III secolo a.C., ancora avvolto nel mistero, Yang Zhu, è stata incentrata la relazione del dr. Andreini, il quale ha dimostrato la sterilità di un'analisi incentrata sul "personaggio storico", a causa della contraddittorietà delle testimonianze e la mancanza di riscontri espliciti nei testi classici. Di un'altra figura legata a folklore popolare, quella del Distruttore dei Demoni Zhong Kui, si è occupato il dr. Paolillo, attraverso l'esame di un testo dell'XI secolo, il Mengqi bu bitan e di altre fonti letterarie di epoca Song, Ming e Qing.

Il sincretismo artistico del periodo Han, in cui i valori confuciani ispirano le rappresentazioni della vita quotidiana mentre mito e leggenda influenzano quelle del mondo ultraterreno, è stato il tema affrontato dalla d.ssa Alabiso. Di alcuni interessanti e poco noti aspetti artistici legati al collezionismo di opere d'arte durante il periodo Ming ha trattato la d.ssa Corsi, esaminando il mito del "letterato elegante" alle fine del XVI secolo ed esponendo il caso di Tu Long, autore di un trattato sul collezionismo e vittima di un plagio da parte di un rapace collezionista, Xiang Yuanbian. Quello della cultura materiale in epoca Ming e Qing è stato anche l'argomento esaminato dalla d.ssa Bussotti, con particolare attenzione alle tecniche editoriali per la stampa di libri illustrati, tra cui l'edizione del XVIII secolo del Lienü zhuan.

Ancora in epoca Qing, la storia della setta Longmen nello Sichuan e lo sviluppo della scuola di alchimia interiore femminile nüdan sono stati presentati dalla d.ssa Valussi, attraverso l'esame di testi conservati presso il monastero taoista Tianshitong della montagna Qingcheng nei pressi di Chengdu. Della stessa area, ma in relazione a un'altra corrente religiosa, il buddismo, si è occupata la d.ssa Bianchi, descrivendo la vita di una comunità monastica femminile del XX secolo, quella di Tiexiangsi di Chengdu.

L'interscambio culturale tra l'Europa e la Cina è stato il tema affrontato dall'intervento della prof.ssa Albanese, in rapporto ai miti creati in Europa circa l'origine della scrittura ideografica cinese, e da quello del dr. Ricciardolo, concernente l'immagine idealizzata della Cina propagandata dai gesuiti nell'Europa del XVIII secolo. Due ambascerie portoghesi della prima metà dello stesso secolo sono state prese in esame dal dr. Menegon, il quale ha evidenziato come la rappresentazione del potere imperiale trasmessa all'esterno dai sovrani Qing sfati il mito dell’ “arroganza sinocentrica” in campo diplomatico.

Di avvenimenti storici contemporanei hanno trattato la relazione del prof. Samarani, riguardante l'esame della storiografia in lingua occidentale sul periodo della rivoluzione culturale, e quella del dr. Campana, il quale ha analizzato le relazioni bilaterali tra la Repubblica Popolare Cinese e la Corea del nord, dagli anni '50 alla fine della guerra fredda. L'immigrazione cinese contemporanea nell'area fiorentino-pratese è stata, invece, esaminata dal dr. Rastrelli, unitamente alle caratteristiche sociali ed economiche di tale immigrazione, che rispecchia le peculiarità della particolare area di provenienza geografica, il Zhejiang.

Di particolare attualità è stato l'esame in chiave socio-politica, effettuato dalla prof.ssa Lavagnino, della terminologia adottata dalla stampa di partito a partire dal XV Congresso e di alcuni neologismi creati dai media, che rispecchiano le profonde trasformazioni del tessuto sociale di un Paese in cosi rapida trasformazione. Un'altra analisi linguistica, quella di alcune espressioni allegoriche costituite da una doppia frase, i xiehouyu, di cui sono protagonisti Lü Dongbin e Zhu Baijie, è stata condotta dal dr. Madaro.

La sessione dedicata alla letteratura moderna e contemporanea ha ospitato la comunicazione della d.ssa Stafutti, relativa all'ambivalenza dell'immagine della città come simbolo di modernità e come luogo di perdizione e allontanamento dai valori morali tradizionali negli scritti di Lu Xun, Li Dazhao e Shen Congwen. La d.ssa Tamburello, invece, attraverso un'analisi testuale delle opere di alcuni narratori come Zhang Jie, Can Xue, Yu Hua, ha suggerito la necessità di adottare una metodologia critica che renda più soddisfacente la comprensione della realtà della letteratura cinese contemporanea e che metta in risalto la relazione tra ciascun testo e la tradizione letteraria antecedente. Un altro interessante narratore contemporaneo, Su Tong, è stato esaminato dal dr. Lafirenza, attraverso l'affascinante spaccato che questo autore offre della società cinese tra gli anni '20 e'50. Dello stesso periodo precedente alla "liberazione", in particolare degli anni '30, la d.ssa De Giorgi ha evidenziato un aspetto ancora poco studiato, quello delle trasmissioni radiofoniche e del conflitto a Shanghai tra emittenti pubbliche e private, le quali svolsero un ruolo importante nella cultura popolare del tempo, non solo dal punto di vista commerciale e pubblicitario.

Infine, a carattere interdisciplinare è stato l'intervento della d.ssa Bressan, la quale ha presentato le ricerche in campo psicolinguistico e neurolinguistico relative alle prestazioni di soggetti sottoposti a lettura di testi in lingua alfabetica, e ideografica, evidenziando i limiti e i pericoli delle generalizzazioni che ne possono derivare.

Alla fine dei lavori, si è svolta l'assemblea annuale dei soci dell'A.I.S.C., nel corso della quale è stato deciso di tenere il prossimo convegno a più breve scadenza, nell'autunno del'99, presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università Statale di Milano, affidandone l'organizzazione alla prof.ssa Lavagnino. Nello stesso incontro, inoltre, è stata approvata un'altra iniziativa editoriale dell'Associazione, che farà seguito alla pubblicazione della Bibliografia delle Opere Cinesi Tradotte ira Italiano (1900-1996): l'aggiornamento del precedente repertorio bibliografico della sinologia italiana, limitato agli anni dal 1959 al 1987.


MONDO CINESE N. 97, GENNAIO-APRILE 1998


Note

1 Si veda a tal proposito Italo M. Molinari, Un articolo d'autore cinese su Marco Polo e la Cina, (Supplemento n. 30 agli Annali dell'Istituto Universitario Orientale, XLII - 1, Istituto Universitario Orientale, Napoli, 1982, pp. 73), il quale traduce un articolo di Li Zefen, "Make Boluo youji suoyin" (Dongfang zazhi, Ott.-Nov. 1977). Si veda, inoltre, Giuliano Bertuccioli, "Il primo incontro: noi, i cinesi e i mongoli", in Italia e Cina, di G. Bertuccioli e F. Masini, Laterza, Roma-Bari, 1996, pp. 52-60 e gli atti del convegno commemorativo del 700° anniversario della partenza di Marco Polo dalla Cina, svoltosi a Pechino, nell'ottobre 91: Lu Guojun, Hao Mingwei, Sun Chengmu (a cura di), Zhongxi wenhua jiaoliu xiangqu, Make Boluo - Jinian Make Boluo li Hua hui guo 700 zhounian (1291-1991), Shangwu yinshuguan, Beijing, 1995, pp. 379. 
2  La mancanza di riferimenti nei documenti storici ufficiali cinesi alla presenza di Marco Polo e alla supposta carica da lui detenuta nell'amministrazione locale di Yangzhou può essere attribuita all'avversione nei confronti della dinastia Yuan (1279-1368) da parte della successiva dinastia Ming (1368-1644), durante la quale furono compilate le storie ufficiali riguardanti il periodo precedente. I mancati riferimenti alla scrittura ideografica, alla fasciatura dei piedi e all'uso del tè possono essere addebitati a una deplorevole mancanza di interessi culturali da parte di Marco Polo e al fatto che egli conoscesse soprattutto i costumi mongoli, ignorando quelli cinesi, oppure ai tagli forse operati da Rustichello di Pisa, al quale fu dettato, come è noto, l'intero racconto e che, probabilmente, ritenne questi particolari poco interessanti per i lettori occidentali. Infine la Grande Muraglia, nelle forme e nelle proporzioni architettoniche che ancora oggi ammiriamo, fu costruita durante l'epoca Ming, quando Marco Polo aveva già lasciato la Cina. Si veda a tal proposito Piero Corradini, Cina. Popoli e Società in Cinque Millenni di Storia, Giunti, Firenze, 1996, p. 222; si vedano, inoltre, gli atti del convegno del '91 e il cap. II di Italia e Cina, citati nella nota precedente.

 

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