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INDICE>MONDO CINESE>REALTÀ E MAGIA NEI RACCONTI DI TASHI DAWA

SAGGI

Realtà e magia nei racconti di Tashi Dawa

di Emanuela Rossi

SOMMARIO: 1. Una nuova immagine letteraria del Tibet. 2. Tashi Dawa: la vita e le opere. 3. Le influenze sudamericane. 4. I giudizi della critica cinese. 5. Letteratura in una lingua straniera.

1. Uria nuova immagine letteraria del Tibet

Con l'occupazione cinese degli anni Cinquanta e in seguito con la Rivoluzione Culturale, la civiltà tibetana fu completamente scardinata: un numero incredibile di edifici religiosi venne distrutto (6000 fra templi e monasteri) e lo studio e la pratica del buddhismo furono proibiti. Venne avviata una massiccia "colonizzazione" cinese Han che mutò profondamente la compagine etnica del Paese: oggi i tibetani sono diventati una minoranza in casa propria. Il risultato di questa funesta politica di "modernizzazione", che in realtà si è rivelata un massiccio e violento tentativo di assimilare la cultura tibetana alla mentalità cinese, è stato lo sradicamento e la perdita delle radici culturali di questo popolo, cosa che del resto si è verificata anche per le altre minoranze etniche presenti in territorio cinese1 . Il Tibet ha subito trasformazioni troppo rapide, la popolazione ha perso i punti di riferimento che da secoli risiedevano nella tradizione e nel culto a vantaggio degli aspetti più negativi della civiltà occidentale, peraltro filtrati dalla censura cinese.

Questa situazione ha provocato un ristagno culturale protrattosi fino alla fine degli anni Settanta, quando voci nuove si sono levate nel panorama della letteratura. Si tratta di giovani scrittori2 che si esprimono in lingua cinese e che portano alla ribalta terni nuovi: la difficoltà di affrontare i profondi cambiamenti in cui il Paese è coinvolto, l'universale divario fra la città e la campagna, il contrasto tra i valori tradizionali e la civiltà occidentale, la ricerca di un'identità e delle radici della propria cultura.

Questi scrittori smitizzano l'immagine stereotipata della loro terra come "Paese delle Nevi", ricco di fascino e mistero, per lasciare il posto a un Tibet carnale e violento, gravido di contrasti e contraddizioni. Nonostante i drammatici sconvolgimenti, infatti, il legame con la tradizione è ancora forte, non soltanto fra le vecchie generazioni ma anche per molti giovani, che sono attratti dalla modernità ma riconoscono il valore della loro antica cultura.

2. Tashi Dawa: la vita e le opere

Tashi Dawa (Zhaxi Dawa nella trascrizione dai caratteri cinesi) è uno degli esponenti più interessanti di questa nuova letteratura tibetana, per la sua tecnica narrativa ispirata al realismo magico e ad autori sudamericani quali García Marquez, Ruolfo, Borges e Neruda. Nato nel 1959 a Batang, nell'estremo ovest del Sichuan, da padre tibetano e madre cinese, Tashi Dawa ha trascorso l'infanzia spostandosi fra queste due regioni. Nel 1974 si stabilì a Lhasa, dove studiò pittura e diventò scenografo, continuando a viaggiare al seguito delle compagnie teatrali per le quali lavorava. Nel 1978 si trasferì nella capitale dove frequentò un corso annuale di drammaturgia all'Istituto dell'Opera di Pechino.

Tashi Dawa ha cominciato a pubblicare nel 1979 sulla rivista Xizang Wenxue (Letteratura Tibetana). I suoi lavori, come Zhizhe de chenmo (Il silenzio del saggio), Chao Fo (Pellegrinaggio), Jiang na bian (L’altra riva del fiume), Guitu xiaoyequ (Serenata del ritorno), sono concentrati sulla descrizione realistica del profondo contrasto fra città e campagna e dei problemi della società tibetana. Questi racconti evidenziano i conflitti interiori causati dal disorientamento e dalla crisi dei valori, sono fedeli testimonianze dello smarrimento e della perdita di valori di un'intera generazione e sottolineano il forte attaccamento del popolo tibetano alla tradizione. Questa fase si conclude con Basang he tade dimeimen (Basang e i suoi fratelli).

3. Le influenze sudamericane

A partire dagli anni 1985/86 Tashi Dawa, attratto dalla letteratura sudamericana, abbandona la dimensione realistica per esplorare la sfera magica che pervade la vita del suo popolo e che affonda le radici nella religione e nella cultura tradizionale. La tecnica narrativa usata dall'autore, a partire da questo periodo è forse ancor più notevole della realtà dura e crudele che descrive. Mantenendo intatte le peculiarità della propria cultura, Tashi Dawa si è impadronito dello stile dei più grandi scrittori sudamericani e della tecnica del cosiddetto "realismo magico". Racconti come Xizang, yinmi suiyue (Tibet, anni misteriosi) e Gu zhai (La vecchia tenuta) mostrano chiaramente l'influsso di Cent'anni di solitudine. Nel villaggio di Sangdui, in Shiji zhi yao (L'invito del secolo) il tempo non scorre ma gira in circolo come a Macondo.

Sia la civiltà tibetana che quella sudamericana hanno in comune una concezione della realtà che non è mai separata dal soprannaturale e dalla magia: una sensibilità comune unisce questi due popoli così lontani: esiste un mondo parallelo dove si incanalano tutti quei fenomeni inspiegabili che, nella concezione tibetana come in quella sudamericana, sono considerati naturali e appartengono alla vita cli tutti i giorni. Tashi Dawa amalgama fantasia e realtà e l'atmosfera surreale dei suoi racconti diventa verosimile: persone morte si ripresentano fra i vivi (Fengma zhi yao, "Lo splendore dei cavalli del vento"; Xuanyan zhi guang, "La luce dell'abisso"), le sciarpe votive (khata) cadono dal cielo, i cadaveri levitano (Xizang, yinmi suiyue, "Tibet, anni misteriosi") e i vecchi tornano a essere bambini (Shiji zhi yao); tutti questi avvenimenti sono presentati come assolutamente naturali e nessuno dei personaggi se ne stupisce.

La magia e il mistero appartengono alla vita di tutti i giorni: la realtà si fonde con il soprannaturale, contro ogni principio di razionalità. La vita dei tibetani è pervasa di religione e al contempo di magia: dietro ogni avvenimento, anche di minima importanza, dietro ogni gesto quotidiano si cela uno spirito amico o un demone.

Xi zai pisheng koushang de hun (Lanima legata alla cinghia di cuoio) è considerato il racconto in cui Tashi Dawa meglio concentra questa tecnica e riassume i suoi temi: l'opposizione tra vita moderna e tradizione, il problema dell'identità del popolo tibetano, l'attaccamento alla religione, i conflitti provocati dalla crisi dei vecchi valori, il tutto visto in rapporto con la storia. Il gioco dei molteplici livelli temporali, spaziali e di realtà priva il lettore di un punto di riferimento da cui osservare la vicenda, ma suggerisce che, oltre alla realtà del momento, ce ne sono altre possibili. La ricerca di una risposta rimane al lettore, perché Tashi Dawa non ne fornisce, né in questo racconto né in altri. Così l'autore scompone la realtà mostrandone il carattere molteplice e impalpabile, sovverte la dimensione temporale tradizionale e non rispetta più la sequenza logica di ciò che avviene prima e ciò che avviene dopo, allargando lo spazio della narrazione e creando al suo interno una tensione crescente. L'ordine cronologico viene così sconvolto, il tempo e lo spazio costituiscono un'unità circolare in cui passato, presente e futuro rappresentano insieme il mondo interiore dei personaggi che si muovono fra sogno e realtà. L'azione è sempre inserita in una dimensione circolare in cui l'inizio e la fine sono uguali. Anche il tempo e lo spazio rientrano in questa circolarità: le varie dimensioni spazio-temporali si sovrappongono, l'ordine cronologico viene meno e il lasso dei racconti è ampliato dai pensieri e dalle percezioni dei personaggi. La circolarità dei racconti simboleggia dunque la circolarità della vita. Il cerchio è un simbolo rappresentato ovunque in Tibet, sotto forma di mandala o mulino da preghiera, e sintetizza tutto il pensiero filosofico-religioso tibetano. Anche la vita e la morte sono viste come un'unità costituita da momenti successivi, in costante mutamento: la morte è l'inizio di una nuova vita, uno specchio che ne riflette tutto il significato. La vita è un continuo peregrinare fra la Terra, il Cielo e gli Inferi, e la morte non è altro che una breve interruzione fra una nascita e l'altra3 . Nel racconto Yemao zouguo manman suiyue (Il gatto selvatico scappò per molti anni) uno dei personaggi si esprime così nei confronti dei tibetani: "Questo è un popolo letteralmente incantato dal cerchio".

4. I giudizi della critica cinese

Tashi Dawa è stato accolto con entusiasmo dalla critica letteraria cinese, che però ne ha dato un'interpretazione forzata, reputandolo un paladino della modernità, uno scrittore che vuole "guidare il popolo chiuso nel labirinto, attraverso sacrifici infiniti, verso una nuova vita" e auspicare "la fine di un mondo chiuso e utopistico", descrivendo il Tibet come un paese arretrato e dominato dalla superstizione4 . Anche se la realtà si scompiglia e non ci sono più punti di riferimento, né nei valori tradizionali né nella civiltà moderna, i racconti di Tashi Dawa lasciano intravedere una condanna della politica di modernizzazione cinese, che i critici hanno cercato di volgere a loro favore. Inoltre, anche se queste analisi giungono a conclusioni positive, risultano piuttosto superficiali: pochi critici riportano osservazioni estetiche e spesso non citano neanche i passi dell'autore.

Questo avviene perché la critica letteraria cinese è ancora fortemente influenzata dalle teorie sul ruolo sociale della letteratura, per cui un'opera ha valore solo se posta al servizio del popolo e del partito. La letteratura tibetana viene considerata solo nell'ambito della cosiddetta "letteratura delle minoranze" (shaoshu minzu wenxue): come a Yan’an all'inizio degli anni Quaranta la letteratura doveva essere al servizio del popolo, della politica e del socialismo5 , così oggi la letteratura delle minoranze si deve porre al servizio della modernizzazione. Dato che le regioni occupate dalle minoranze sono generalmente arretrate, le antiche tradizioni vengono considerate la causa di questa arretratezza.

Il tibetano Danzhu Angben, scrittore e critico, sostiene che la consapevolezza degli scrittori appartenenti alle minoranze non si è ancora sufficientemente sviluppata: essi devono cercare di "marciare" con gli scrittori cinesi: "Il passato non ci ha permesso di andare allo stesso passo; il presente, a sua volta, non ci permette di marciare separatamente"6 . Una volta accettato questo presupposto, bisogna trovare "una verità universale valida per tutti". La contraddittorietà di queste affermazioni è eclatante: il vocabolario, che ricorda più istruzioni militari che un programma letterario, è poco adatto a rendere giustizia alla letteratura delle minoranze.

Per lo scrittore mongolo Mala Qinfu la letteratura delle minoranze dà un contributo importante alla letteratura socialista cinese, senza però raggiungerne la qualità7 . Essa deve ancora svilupparsi, con l'aiuto cinese, e diffondere gli ideali politici del regime centrale anche nelle zone periferiche. La letteratura delle minoranze si deve integrare alla letteratura Han, dato che quest'ultima "vanta una gloriosa tradizione" e "influisce notevolmente sulla letteratura delle altre popolazioni della Cina".

Anche Bai Chongren, scrittore e critico di nazionalità Hui, sostiene che la letteratura delle minoranze deve contribuire allo sviluppo della modernizzazione con l’aiuto della letteratura Han, affinchè gli ideali politici del regime centrale siano propagandati anche nelle zone abitate dalle minoranze8 . Gli scrittori appartenenti alle minoranze devono mostrare gli usi e i costumi rimasti, le vecchie concezioni e le mentalità, analizzarle e criticarle, perché tali costumi ostacolano il progresso e la modernizzazione. É necessario "aiutare" le minoranze condannando quei valori arretrati che ostacolano lo sviluppo della "coscienza moderna".

Sorprende che fra i fautori dell'integrazione della letteratura delle minoranze con quella cinese vi siano proprio gli esponenti delle minoranze stesse. Da queste poche osservazioni si capisce come il giudizio sulla letteratura delle minoranze è senz'altro molto generoso, ma solo per quella letteratura che si è sviluppata dopo la "liberazione"; prima "bravura e saggezza venivano soffocate e distrutte"9 . Solo con il sostegno del governo centrale la letteratura delle minoranze è stata in grado di raggiungere buoni risultati e contribuire così alla letteratura socialista di tutto il Paese. Questo atteggiamento benevolo dei cinesi nei confronti delle minoranze e della loro letteratura è proprio di chi vede in esse soltanto culture arretrate che vanno spinte verso lo sviluppo e l'emancipazione. Dietro la facciata composta da questi benevoli tentativi di adeguamento c'è in realtà la volontà di controllare e selezionare dall'alto, guidata da forze essenzialmente conservatrici: le dichiarazioni della critica ufficiale sono per lo più vuote divisioni in categorie che ostacolano le analisi letterarie piuttosto che sostenerle.

5. Letteratura in una lingue straniera

L’uso della lingua cinese come mezzo d'espressione costituisce un fatto significativo legato a questa situazione: nonostante il Tibet goda dello statuto di "Regione Autonoma" (Zizhi qu) non usufruisce, come del resto le altre10 , di una reale autonomia. L’insegnamento della lingua tibetana è praticato solo a livello elementare e gli studi tibetologici in ambito accademico sono condotti, paradossalmente, in cinese. La chiusura delle scuole monastiche, principali centri di diffusione della cultura, la difficoltà di manifestare apertamente la propria identità durante la Rivoluzione Culturale e soprattutto la massiccia immigrazione cinese, hanno comportato un rapido decadimento della lingua tibetana che ormai è quasi sconosciuta alle giovani generazioni. Le conseguenze di questo stato di cose rischiano di diventare irreparabili in quanto la lingua è il veicolo essenziale per la trasmissione della cultura. Sono sempre meno i tibetani in grado di leggere e scrivere nella propria lingua, anche perché nella popolazione ci sono ancora elevati livelli di analfabetismo11 . È comprensibile, quindi, che la nuova generazione di scrittori tibetani si serva della lingua cinese come mezzo d'espressione: il tibetano è inadeguato per descrivere la realtà odierna e in molti casi mancano i termini. Inoltre scrivere in cinese consente loro di diffondere i propri lavori sul territorio nazionale e, anche se in minima parte, all'estero. Ma l'adozione di una lingua diversa dalla propria porta anche all'adozione di valori diversi, con tutte le problematiche connesse.

La tensione fra tradizione e modernità e la ricerca di una via nuova tra tutti i ribaltamenti sociali si ritrovano spesso nei romanzi e nei racconti tibetani scritti a partire dalla fine degli anni Settanta. Dall'analisi di questa letteratura, e nei racconti di Tashi Dawa, emerge come la ricerca della propria identità sia un punto chiave per comprendere il panorama letterario tibetano dei giorni nostri. Questo tema è stato rielaborato in maniera realistica, assurda o grottesca e costituisce una presa di coscienza importante: nonostante molte difficoltà la cultura tibetana può sopravvivere adattandosi alle trasformazioni della società, assimilandole e appropriandosene, e rafforzando così la propria identità regionale. Il contributo della letteratura è fondamentale e di questo Tashi Dawa e i suoi colleghi sembrano essere consapevoli.


MONDO CINESE N. 97, GENNAIO-APRILE 1998


Bibliografia

A. Opere in lingua cinese.

- Zhizhe de chenmo (Il silenzio del saggio), Xizang Wenxue, 1979. 
- Chao Fo (Pellegrinaggio), Xizang Wenxue, 1980.
- Guitu xiaoyequ (Serenata del ritorno), Mengya, 1982.
- Jiang na bian (L'altra riva del fiume), Xizang Wenxue, 1982.
- Zai tian chaguan li (Nella dolce casa del tè), Nanfang Wenxue, 1985. 
- Basang he tade dimeimen (Basang e i suoi fratelli), Shouhuo, 1985.
- Shiji zhi yao (L’invito del secolo), Beijing Shifan Daxue Chubanshe, Beijing, 1991.
- Xizang, yinmi suiyue (Tibet, anni misteriosi), Changchun Wenyi Chubanshe Wuhan, 1993.

B. Traduzioni in lingue occidentali
Tashi Dawa:
- A Soul in Bondage. Stories from Tibet, Panda Books, Chinese Literature Press, Beijing, 1992. 
- Trilogia dell'illusione, Tranchida, Milano, 1997. 
Zhaxi Dawa: 
- Le splendeur des chevaux du vent, Actes Sud, Arles, 1990. 
- Tibet, les années cachées, Blue de Chine, Paris, 1995.


Note

1 Heberer Thomas, China and its National Minorities. Autonomy or Assimilation?, New York, M. E. Sharpe Inc., 1989; Dikötter Frank, "Racial Identities in Modern China: Context and Meaning", in China Quarterly, n. 138, 1994, pp. 404-412; Gladney Dru C., "Representing Nationality in China: Refiguring Majority-Minority Identities", in Journal of Asian Studies, n. 1, 1994, pp. 92-123. 
2 Alcuni nomi: Alai, Jimi Pingjie, Sebo, Yixi Zhuoma, Jin Zhiguo, Yang Zhen, Wama Weise.
3 "Xizang wenxue qi ren tan”, in Wenyi bao, 16-8-1986, p. 2; Sogyal Rimpoche, Il libro tibetano del vivere e del morire, Roma, Ubaldini, 1994.
4 Yang Xinmin, "Xi zai pisheng kuoshang de hun", in Zhongguo dangdai wenxue zuopin cidian, Beijing, Beijing Daxue Chubanshe, 1990, pp. 255-256. Altre posizioni critiche sull'opera di Tashi Dawa sono riportate da Zeng Zhennan, "Tan Zhaxi Dawa de xiaoshuo", in Binfen de wenxue shijie, Beijing, 1988, pp. 267-269; Meng Fanhua, "Mohuanxianshizhuyi zai Zhongguo" in Mohuanxianshizhuyi xiaoshuo, Changchun, Shidai Wenyi Chubanshe, 1991, pp. 468-470; Wei Wei, "Bainian gudu he bawunian de xinshiqi xiaoshuo", in Mengya, n. 3, 1986, pp. 48-50; Bo Bo, "Zhaxi Dawa: zhexue yu fangfa", in Dangdai Zuojia Pinglun, n. 1, 1988, pp. 90-94.
5 Si veda a tal proposito il noto intervento di Mao Zedong (Mao Tse-Tung, "Discorsi alla conferenza di Yenan sulla letteratura e l'arte. Maggio 1942", in Opere Scelte, vol. III, Beijing, Foreign Language Press, 1969, pp. 67-98).
6 Danzhu Angben, "Shidai, wetthtta, zhexue", in Minzu Wenxue, n. 2, 1987, pp. 88-90. 
7 Mala Qinfu, "Shaoshu minzu wenxue zai Zhongguo de diwei", in Minzu Wenxue, n. 5, 1987, pp. 88-90.
8 Bai Chongren, "Shidaixing, minzuxing, yishuxing. 1986 nian shaoshu minzu zhongduanpian xiaoshuo man yi", in Renmin Ribao, 12-5-1987, p. 5.
9 Mala Qinfu, art. cit.
10 Mongolia Intema, Xinjiang, Guangxi e Ningxia.
11 Heberer T., op. cit.; Gladney D. C., art. cit.

 

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