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SAGGI

Taiwan:
una democrazia dall'incerto futuro

di Lina Tamburrino

SOMMARIO. 1. Il voto di maggio. - 2. Un paese clandestino. - 3. L'aiuto americano. - 4. Primi passi democratici. - 5. L ossessione della Cina. - 6. Lasciare lo status quo. - 7. Ciò che divide Pechino e Taipei. - 8. L'incubo del riarmo.

1. Il voto di maggio

Il 20 maggio di quest'anno le seconde elezioni presidenziali a suffragio universale diretto hanno chiuso un'epoca nella storia di Taiwan. Per due ragioni. È stato sconfitto il Kuomintang (pinyin Guomindang), il partito nazionalista che governava l'isola dal 1949. È andata fuori gioco la carta dell'indipendenza che era stata la principale motivazione a sostegno della nascita, nel 1986, del Partito democratico progressista, il vincitore di maggio. Già nel corso della campagna elettorale e poi con il messaggio di insediamento, Chen Shui-bian, il nuovo presidente, aveva preso le distanze dalle più radicali posizioni indipendentiste e si era pronunciato per una ripresa del dialogo con la Cina continentale. Dialogo interrotto almeno dalla seconda metà degli anni 90, per responsabilità sia di Pechino sia di Taipei. Il risultato elettorale ha rimesso ora in movimento la politica dell'isola e sta costringendo i vari protagonisti a correggere se non addirittura a modificare radicalmente scelte e comportamenti. Oggi come nel 1949 gli attori della partita taiwanese sono tre e sono rimasti gli stessi: la Repubblica popolare cinese, la Repubblica di Cina come i nazionalisti hanno sempre chiamato Taiwan, gli Stati Uniti. Sono invece cambiati i loro obiettivi.

Nel 1949, sull'isola appena liberata dalla presenza coloniale giapponese, si era rifugiato Chiang Kai-shek, capo del governo nazionalista cinese sconfitto dalle truppe comuniste. Era convinto di rappresentare ancora l'intero continente e di poterlo un giorno riconquistare. A Taiwan lo avevano seguito quasi due milioni di persone (militari ed esponenti anticomunisti del mondo degli affari, della cultura, della burocrazia) e i membri degli organismi istituzionali del potere nazionalista. La Repubblica popolare cinese considerava invece Taiwan come l'ultimo campo di battaglia della guerra civile e dunque un territorio da conquistare rapidamente con le armi. Ma questo obiettivo si sarebbe rivelato impraticabile. Infine, gli Stati Uniti del presidente Harry Truman, terzo protagonista, con lo scoppio della guerra in Corea avevano inserito Taiwan nella loro sfera di influenza, facendone un bastione contro la Cina di Mao Zedong.

Cinquant'anni dopo lo scenario è cambiato. I nazionalisti hanno da tempo abbandonato la prospettiva illusoria di una riconquista del continente cinese. La Cina popolare, pur proclamando ancora l'esistenza di uno stato di guerra con Taiwan, ha cementato solidi rapporti economici con l'isola e ha tutto l'interesse a una riunificazione per vie pacifiche. Gli Stati Uniti hanno dagli anni '70 relazioni diplomatiche ed economiche con Pechino, sono interessati a una sorta di 'conflittualità amichevole' con il grande paese asiatico, non hanno alcuna intenzione di lacerare la trama dei loro rapporti con la Cina per il precipitare della 'questione taiwanese'. Sono anzi tra i più convinti sostenitori di una riapertura di dialogo tra i due lati dello stretto. Dialogo in vista di che cosa? La fine della guerra civile aveva lasciato senza risposta l'interrogativo: chi è Taiwan? E a chi appartiene? È un ex territorio coloniale che deve tornare alla Cina popolare (come sostiene Pechino)? Oppure è un'entità che ha tutti i requisiti previsti dal diritto internazionale per l'esistenza di uno Stato indipendente e sovrano (come sostengono i taiwanesi)? I cinquanta anni di storia dell'isola sono stati segnati dalla ricerca di una risposta a questo interrogativo.

2. Un paese clandestino

Nell'attesa, Taiwan ha vissuto in una condizione singolarissima. Paese clandestino per la comunità internazionale perché privo di qualsiasi riconoscimento diplomatico da parte degli Stati che pesano, perché esautorata del seggio all'Onu e perchè assente dagli organismi finanziari e monetari mondiali, Taiwan ha acquistato una grande visibilità per i successi della sua economia. Ai primi posti nelle classifiche mondiali per quantità di riserve valutarie e per il giro di affari con gli Stati Uniti, seconda in Asia solo al Giappone per il reddito procapite dei suoi abitanti, per il tasso di scolarizzazione, per l'aspettativa di vita, l'isola è stata una delle protagoniste del 'miracolo asiatico'1. Il Giappone e la Corea del sud hanno fatto delle grandi imprese l'ossatura portante della loro economia. La Cina socialista ha seguito la politica dei piani quinquennali che ha privilegiato le quote di produzione, difficilmente se non per niente adatte a garantire brillanti risultati in termini di efficienza e di competitività. Taiwan invece ha scelto un modello economico che non escludeva un intervento statale nella guida del processo produttivo, ma lo affidava al controllo flessibile della massa monetaria, dei tassi di interesse, del livello del credito.

Quella taiwanese è stata una pianificazione 'morbida', che poteva contare su un protagonista di eccezione: il 'piccolo,capitalismo' dotato di un'enorme capacità di rapido adattamento all'andamento del mercato. Lo Stato è intervenuto per individuare e poi sostenere gli snodi principali del percorso economico dell'isola. Negli anni '50 Taiwan ha prodotto per il mercato interno poi è passata alle esportazioni. Ma si trattava di beni di scadente qualità per la vita quotidiana. Alla fine degli anni '80, ecco il grande salto verso l'alta tecnologia e la produzione di beni informatici, dai chip ai computer, dai wafers alla telefonia mobile. La nascita della cosiddetta 'new economy' ha rappresentato un volano eccezionale. Sostenuta dagli incentivi statali, dal credito agevolato, da un'istruzione scolastica opportunamente orientata, l'industria informatica taiwanese ha conquistato una salda collocazione al vertice della produzione mondiale. Le più grandi imprese dell'isola lavorano su commesse di società multinazionali e in questa divisione del lavoro, tipica della new economy, Taiwan ha una posizione che difficilmente le potrà essere sottratta. La Taiwan Semiconductor Manifacturing Corporation, la più importante produttrice dell'isola, che già nel 1998 copriva il 30 per cento della produzione mondiale su commesse, ha previsto di raddoppiare vendite e profitti per l'anno 20002.

3. L'aiuto americano

Naturalmente il riconoscimento del peso del 'capitalismo minore', della miriade di piccole e medie imprese, non appanna l'importanza di altri due ingredienti del successo taiwanese: il sostegno degli Stati Uniti, la crescente integrazione con la Cina popolare. I primi avevano preferito Pechino a Taipei e nel gennaio del 1979 avevano rotto le relazioni diplomatiche con Taiwan, ma non l'avevano abbandonata. Avevano continuato a garantirle prestiti, investimenti, un accesso consistente al loro mercato interno. Avevano mantenuto il legame tra la loro moneta e quella taiwanese; perciò il nuovo dollaro taiwanese poteva avvantaggiarsi delle svalutazioni o delle rivalutazioni della valuta statunitense. Washington aveva anche concesso a Taipei una tortuosa forma di riconoscimento diplomatico varando una legge, il Taiwan Relations Act, che faceva al governo nazionalista una serie di concessioni (compresa la fornitura di armi a 'scopi difensivi') quasi si fosse trattato di uno Stato sovrano e indipendente.

A sua volta, la Cina popolare, grazie alla svolta denghista della fine degli anni '70 e ancor più alla politica delle zone costiere aperte voluta da Zhao Ziyang alla fine degli anni '80, era diventata un polo di attrazione per gli investimenti taiwanesi. Molte delle piccole imprese si erano trasferite nelle zone costiere continentali del sud per sfuggire agli alti costi della manodopera e delle aree fabbricabili su terra taiwanese. Oggi gli scambi tra i due lati dello stretto hanno raggiunto i 160 miliardi di dollari Usa e ammontano a 44 miliardi di dollari Usa gli investimenti taiwanesi in terra cinese. Molte delle iniziative taiwanesi sono state copiate in terra cinese come le zone economiche speciali o come il parco tecnologico di Pudong a Shanghai3.

Naturalmente l'interdipendenza economica è stata decisiva per la maturazione nel corso di questi anni di un atteggiamento più conciliatorio, meno ideologico o minaccioso, tra i due lati dello stretto. Il mondo taiwanese degli affari è sempre stato ostile alle posizioni di rottura nei confronti della Cina popolare. Anche in momenti di massima tensione, come nel corso della crisi missilistica del 1995-1996, la lobby della conciliazione è stata al lavoro ed esponenti della Confindustria taiwanese si sono recati a Pechino mentre erano in atto le esercitazioni intimidatorie dell'Esercito di liberazione cinese non lontano dalle acque dei porti dell'isola.

I taiwanesi, tutta gente discendente da coloni cinesi che si erano trasferiti sull'isola secoli prima, avevano giudicato Chiang Kai-shek e i suoi seguaci degli usurpatori e avevano definito quello nazionalista 'il governo degli immigrati'. Si era creata nel 1949 tra i vecchi abitanti e i nuovi arrivati una frattura profondissima che solo lo scorrere degli anni ha in parte sanato. Ma paradossalmente quella frattura ha avuto un peso decisivo nel portare la democrazia a Taiwan. La violenza e l'ingiustizia subite per mano degli 'estranei nazionalisti' sono stati i due ingredienti che hanno alimentato il risentimento, l'iniziativa, la nascita organizzata di un'opposizione al Kuomintang, sempre forte. Emersa nei circoli intellettuali, l'opposizione si è estesa a strati popolari che venivano acquistando forza, consapevolezza, voglia di contare anche grazie alla promozione economica. Il decennio '80 è stato segnato da un protagonismo di massa eccezionale, del tutto sconosciuto in altri paesi asiatici. Sono sorte migliaia di associazioni, si sono svolte migliaia di manifestazioni per strada, con i protagonisti più diversi, dagli studenti alle donne, dai contadini agli ecologisti. A questa 'rivolta sociale continua' sostanzialmente pacifica era stato dato il nome di 'tangwai' ovvero 'movimento al di fuori dei partiti'. Gli sbocchi erano stati due. La nascita del Partito democratico progressista nel 1986. E poi l'abolizione della legge marziale nel luglio del 1987 e, nel maggio del 1991, la parola fine allo 'stato di emergenza contro la minaccia comunista', che aveva giustificato la sospensione di tutti i diritti costituzionali.

4. Primi passi democratici

La revoca della legge marziale era stata decisa da Chiang Ching-kuo. Figlio di Chiang Kai-shek, singolare figura di dirigente, Chiang Ching-kuo aveva aperto la sua carriera politica come organizzatore della polizia segreta e della gioventù anticomunista e l'aveva chiusa, morendo nel 1988, dopo aver appena avviato il paese verso la democrazia. Alla mobilitazione anticomunista aveva posto invece fine Lee Teng-hui, il vero protagonista della costruzione della Taiwan democratica. Lee Teng-hui, presidente della Repubblica dal 1990 al 2000, ha completamente rimodellato le regole di funzionamento della vita politica dell'isola. E lo ha fatto in un rapporto di collaborazione per così dire consociativa con i rappresentanti del Partito democratico progressista. La democrazia a Taiwan non è stata conquistata attraverso una rivoluzione, un'insurrezione, un'attività di guerriglia o di terrorismo. È stata conquistata attraverso un'opera di adeguamento costituzionale che ha coinvolto maggioranza e opposizione anche se spesso in un clima di aspra polemica, sfociato in alcuni casi nell'uccisione di avversari politici o di loro familiari.

I cambiamenti si sono concretizzati nella riscrittura di undici articoli della Costituzione che, approvati nel 1997, hanno sancito il carattere semipresidenziale della Repubblica taiwanese. Il capo dello Stato viene eletto a suffragio universale diretto e ha il potere di nominare il primo ministro senza che sia più necessario l'assenso del Parlamento. Il compito di legiferare, prima disperso, è stato concentrato nello Yuan legislativo, una sorta appunto di Parlamento, eletto anch'esso a suffragio universale diretto. Sono stati eliminati i vincoli alla nascita di partiti politici anche se quelli che hanno avuto una presenza di rilievo in questi anni sono stati tre: il Kuomintang, il Partito democratico progressista, il Partito nuovo. Quest'ultimo era nato da un'ala del partito nazionalista non d'accordo con le innovazioni di Lee Teng-hui, il primo presidente a essere eletto nel 1996 a suffragio universale diretto4.

Dal 1992, anno delle prime elezioni dirette del Parlamento, il panorama politico dell'isola è profondamente cambiato. La competizione elettorale con più partiti in lizza, indipendenti l'uno dall'altro, è il requisito costitutivo di una democrazia rappresentativa. Taiwan questo requisito l'ha conquistato appunto nel 1992. Da quel momento lo scontro elettorale si è svolto sostanzialmente tra Kuomintang e Partito democratico progressista, con una erosione continua dei consensi al primo e una crescita un poco più ondivaga dei consensi al secondo. Il processo di democratizzazione aveva via via tolto mordente alla rivendicazione indipendentista dei democratici progressisti basata sulla parola d'ordine del 'governo degli immigrati'. Al governo ormai era arrivata la generazione dei taiwanesi. La contesa elettorale, il confronto in Parlamento e nella società restavano comunque centrati sul rapporto con la Cina, dalle proposte per la riunificazione all'insistenza che ormai Taiwan è diventata una entità profondamente diversa rispetto alla Cina popolare e perciò ha diritto al pieno riconoscimento della sua autonomia.

5. L'ossessione della Cina

L'ossessiva attenzione ai rapporti con la Cina è l'inevitabile conseguenza dell'inesistenza di Taiwan come entità statuale dotata di sovranità e indipendenza. In quanto priva di un autonomo statuto internazionale, Taiwan si definisce e viene definita solo in relazione alla Cina o agli Stati Uniti, l'unico altro paese che le ha riconosciuto una forma di visibilità. Se non ci fosse stato il nodo irrisolto della collocazione statuale, l'isola avrebbe avuto una storia non diversa da quella di Singapore: un paese in grande crescita economica e sociale senza implicazione alcuna per gli equilibri politici e militari nell'area asiatica. Invece da paese clandestino, e quindi considerato alla stregua di un appendice della Cina popolare, Taiwan ha sempre perseguito l'obiettivo di regolare in maniera stabile e definitiva la natura del suo legame con il continente e di liberarsi dallo stato di subordinazione cui l'aveva condannata l'isolamento internazionale. Questo spiega perché lungo gli ultimi cinquant'anni di storia, il tema dell'iniziativa sul futuro delle relazioni tra i due lati dello stretto sia stato dominante nella vita dell'isola. Politici, intellettuali, opinione pubblica si sono autodefiniti in rapporto a quell'obiettivo. E in rapporto a quell'obettivo si è discusso sulla 'identità taiwanese' e si sono cementati i legami con la grande platea dei taiwanesi all'estero, in Giappone o negli Stati Uniti, portatori di istanze radicalmente indipendentiste.

Nel rivendicare il diritto a riavere l'isola, la Cina popolare fin dalla fine degli anni cinquanta ha fatto ricorso a due giustificazioni. Ha sostenuto e sostiene che Taiwan ha sempre fatto parte del territorio dell'impero cinese anche quando era sotto la dominazione coloniale giapponese, essendo quel dominio frutto di un 'trattato ingiusto' che la Cina nazionalista prima e quella comunista poi non riconosceva. I taiwanesi, ecco la seconda giustificazione, sono dei compatrioti ai quali bisogna garantire il ritorno alla madrepatria. Afflato antimperialista (fosse l'imperialismo giapponese o quello delle potenze occidentali) e appello etnico sono stati così mescolati per giustificare una riunificazione alla quale peraltro Pechino promette un contesto di massima autonomia. Più di quanto non sia stato concesso a Hong Kong e a Macao. Il libro bianco che la Cina popolare ha diramato alla vigilia delle elezioni di maggio ha ancora una volta garantito a Taiwan che, tornata alla madrepatria, l'isola potrà mantenere il proprio sistema economico, il proprio assetto istituzionale, le proprie forze militari5.

Le esigenze dei nazionalisti sono state di tutt'altra natura. Nei primi decenni del dominio del Kuomintang le proposte di Pechino sono state respinte in nome dell'esistenza di una sola Cina che era però quella che si sarebbe ricostituita sotto le ali del partito nazionalista. Dalla fine degli anni '80, con Lei Teng-hui, la preoccupazione è diventata quella di proteggere e valorizzare ciò che Taiwan era diventata o stava diventando. Nel 1991 Lee aveva varato una proposta di riunificazione che avrebbe dovuto svolgersi in tre fasi e basarsi sulla costruzione di un clima di reciproca fiducia. Qualche anno dopo aveva voluto assegnare un rilievo maggiore al profilo economico e politico dell'isola. Aveva sostenuto che i colloqui per la riunificazione dovevano svolgersi dopo aver preso atto che Taiwan e Cina popolare erano due entità politiche distinte, alla pari. Nel 1999, alla vigilia della sua uscita dalla scena politica e pronto a entrare nei libri di storia, aveva deciso di forzare al massimo il perimetro della (eventuale) trattativa con Pechino e aveva dichiarato che ormai i rapporti tra i due lati dello stretto dovevano essere valutati alla stregua di 'rapporti da Stato a Stato'6 . Era l'attesa o temuta dichiarazione di indipendenza? Così fu vista a Pechino che si affrettò a pubblicare un nuovo libro bianco con ampi riconoscimenti ai successi economici di Taiwan, ampie garanzie per la sua autonomia, ma anche con l'avvertimento di ricorrere all'uso delle armi nel caso in cui 'forze estranee' avessero preso l'iniziativa di staccare l'isola dalla madrepatria.

Le reazioni alle parole di Lee Tenghui e al libro bianco di Pechino (imbarazzo a Washington che premeva invece per una ripresa dei colloqui, preoccupazione in Asia per il richiamo alle armi fatto dalla Cina) confermavano una verità forse sgradevole per i circoli politici taiwanesi. Il bisogno di arrivare a un accomodamento con la Repubblica popolare cinese è un segno della debolezza di Taiwan perché spinge l'isola in un vicolo cieco. Taiwan non può naturalmente proclamare l'indipendenza perché non avrebbe nessun sostegno nei circoli internazionali. Ma non può nemmeno svendere le conquiste di questi ultimi cinquant'anni.

6. Lasciare lo status quo

L'opinione pubblica dell'isola è consapevole di questo vicolo cieco. Non a caso è impressione generale di osservatori e analisti che sia prevalente a Taiwan la voglia di lasciare le cose così come stanno, senza rompere con la Cina popolare ma senza nemmeno accettare una riunificazione al ribasso. I risultati elettorali di maggio hanno fornito un'eccellente chiave interpretativa di questo orientamento. Il Kuomintang, dominato da Lee Tenghui, arrivava al voto sull'onda della proposta da 'Stato a Stato' che aveva creato più allarme che consensi, all'interno e fuori. Il Partito democratico progressista di Chen Shui bian, anche per insistenti pressioni di inviati statunitensi, aveva ammorbidito le vecchie posizioni fieremente anticinesi. Anzi addirittura corteggiava il mondo degli affari sostenendo la necessità di porre fine alla dannosa chiusura di legami diretti (marittimi, aerei, postali) tra l'isola e il continente. Infine c'era sulla scena un terzo candidato, James Soong, prestigioso e popolare ex segretario del Kuomintang, uscito dal partito perché deluso dalla mancata candidatura alla presidenza. Ora si presentava alle elezioni come indipendente ma appena dopo il voto avrebbe creato il Nuovo partito del popolo con 'la pace nello stretto' al primo punto della piattaforma programmatica.

I risultati elettorali dicevano innanzitutto una verità: Lee Teng-hui costruendo regole democratiche aveva aperto la strada alla fine del predominio del Kuomintang. Il candidato nazionalista raggiungeva infatti appena il 23,1 per cento dei suffragi. A James Soong andava il 36,8 per cento dei voti, un successo forse non del tutto sorprendente. Chen Shui bian vinceva con il 39,3 per cento, una vittoria largamente di minoranza. Gli altri partiti, compreso il Partito nuovo sempre orientato a una rapida riunificazione, venivano spazzati via. Dalla frantumazione del risultato elettorale di maggio emergeva una Taiwan che non ama scelte nette, di rottura, ma anche molto incerta sul proprio futuro. Nel 1996 regalando la maggioranza assoluta a Lee Tenghui era stata grata al Kuomintang per i successi economici. Nel 2000 mostrava invece di non avere alcuna fiducia nelle capacità del partito nazionalista di garantire modernità e trasparenza alla vita dell'isola.

Una vittoria di così scarsa misura d'altra parte non permette al nuovo presidente ampi margini di manovra. Consapevole di questa debolezza, Chen Shuibian ha formato un esecutivo con a capo un membro del passato governo del Kuomintang e con ministri nazionalisti in numero superiore ai ministri democratici progressisti. Il mondo degli affari che ha sostenuto il candidato presidenziale alla fine vincitore preme perché Chen rispetti l'impegno dell'apertura di linee di comunicazione dirette. Ma questo è possibile solo se anche Pechino è d'accordo.

Le offerte di Chen per la ripresa del dialogo si stanno infrangendo contro la richiesta cinese di accettare come condizione preliminare il riconoscimento dell'esistenza di un'unica Cina, il che significa accettare come punto di partenza quello che dovrebbe essere l'obiettivo finale della trattativa. Si è creata una situazione di stallo, non priva di rischi di logoramento. O con contraccolpi pesantemente negativi su scadenze che Taiwan deve affrontare. Con l'ingresso nella World Trade Organization  che farà immediatamente seguito a quella della Cina popolare  l'isola si vedrà obbligata a eliminare i vari vincoli che limitano i movimenti della sua economia. E tra questi ci sono certamente i vincoli ai collegamenti diretti con il continente. Ma senza un preesistente accordo con Pechino molti osservatori temono che Taiwan, preoccupata per la propria sicurezza, possa chiedere ai vertici WTO di rinviare lo smantellamento di questi vincoli. Se una cosa del genere accadesse, i risultati sarebbero disastrosi per il mondo degli affari taiwanese. Anche Pechino però vedrebbe nel comportamento dell'isola un irrigidimento e un rifiuto alla riapertura del dialogo.

7. Ciò che divide Pechino e Taipei

L'ipotesi più accreditata è che si vada a un lungo braccio di ferro, tra alti e bassi, sui tempi e i contenuti dell'agenda del dialogo. Un approccio pessimista a questa prospettiva, se ritiene inevitabile il percorso verso la riunificazione, vede anche le difficoltà di un incontro fruttuoso tra due realtà che nel corso degli anni hanno approfondito, non accorciato le distanze. A dividere Pechino e Taipei c'è lo sguardo diverso alla propria storia passata. Ci sono i modelli economici che hanno molto poco in comune. C'è un approccio divergente al grosso tema della sicurezza reciproca.

Nella ricerca e nella valorizzazione in chiave antiKuomintang della propria storia passata Taiwan ha dovuto fare i conti con l'eredità coloniale giapponese. Nella storia e nella vita quotidiana della Cina continentale è sempre presente la memoria dell'aggressione giapponese degli anni '30, delle stragi di contadini, del massacro di Nanchino. È diffuso un risentimento antigiapponese che trova sempre nuove occasioni per alimentarsi. A Taiwan, in uno dei suoi libri di memorie, Lee Tenghui aveva invece scritto che da giovane 'si sentiva giapponese'7. Molti libri scolastici dell'isola  criticati, c'è da aggiungere  quando descrivono il dominio coloniale usano l'espressione 'governo' invece di 'occupazione', insistono sul contributo dato dal Giappone alla modernizzazione dell'isola e passano sotto silenzio le violenze e le angherie subite dalla popolazione.

Il miracolo economico taiwanese, si è detto, ha trovato la sua ossatura portante nelle piccole e piccolissime imprese e dunque in una struttura sociale che ha fatto leva sulle aspirazioni piccolo-borghesi della popolazione dell'isola. Nella Repubblica popolare cinese, le imprese minori non sono mai state assenti dal panorama produttivo ma non hanno mai funzionato da volano per il decollo di una vera e propria economia capitalistica. L'economia è stata sempre dominata e resta tutt'ora legata alla tradizione e alla presenza della grande impresa che ha assegnato all'operaio dipendente un profilo politicoideologico di grande spessore. Al contrario, nella Taiwan governata dai nazionalisti l'operaio è solo colui che aspira a diventare rapidamente un padroncino. Sull'isola la maggioranza della popolazione si percepisce e si definisce come 'classe media', sollecitata da una forte propensione al consumismo. Nella Cina popolare, 'classe media' è stato sempre un connotato sociale negativo.

8. L'incubo del riarmo

La divergenza più profonda tra Pechino e Taipei riflette la preoccupazione che ciascuna delle due manifesta verso la dotazione militare dell'altra. Taiwan si sente vulnerabile nei confronti dei missili che la Repubblica popolare cinese ha dispiegato lungo le coste meridionali, di fronte all'isola, e non intende rinunciare alla protezione statunitense. A sua volta la Cina si sente vulnerabile nei confronti delle armi di cui gli Stati Uniti hanno dotato Taiwan. Non è affatto infondata l'ipotesi che il ritorno dell'isola non sia perseguito dalla Cina per ripristinare i vecchi confini imperiali, per soddisfare ambizioni patriottiche, per integrare più organicamente le due economie. Piuttosto venga perseguito per disinnescare la minaccia costituita da una Taiwan inserita nel sistema delle alleanze militari degli Stati Uniti.

Una vera e propria alleanza militare tra Taipei e Washington era stata delineata con il trattato di difesa reciproca firmato nel 1954 e con la Risoluzione Formosa con la quale nel 1955 il Congresso degli Stati Uniti autorizzava il presidente ad assistere i nazionalisti nella difesa di Taiwan e delle altre isole circostanti. Trattato e risoluzione erano decaduti nel 1979 al momento dell'apertura di relazioni diplomatiche tra Repubblica popolare cinese e Stati Uniti e conseguente rottura diplomatica tra Stati Uniti e Taiwan. Ma il già citato Taiwan Relations Act garantiva all'isola l'aiuto necessario a renderla 'militarmente autosufficiente'. Da quel momento la fornitura di armi a Taiwan sarebbe stato un elemento di continua tensione tra l'amministrazione americana e il governo cinese. Se non proprio in termini di corsa al riarmo, certamente in termini di battaglia propagandistica, da anni l'Asia è percorsa dalla preoccupazione per la 'minaccia cinese'. La Repubblica popolare viene accusata di procedere speditamente verso un ammodernamento della sua dotazione militare, con l'acquisto di cacciatorpediniere, aerei da caccia, missili a medio e lungo raggio. Nel 1995 e poi nel 1996 Pechino aveva spaventato Taiwan, alla vigilia delle prime elezioni presidenziali dirette, con due esercitazioni missilistiche nello stretto.

Lee Tenghui aveva vinto con un notevole successo personale e aveva deciso che era preferibile collocarsi in una posizione più sicura sotto l'ombrello americano. Aveva cosi annunciato l'interesse taiwanese per il progetto di uno scudo spaziale, il cosiddetto Theatre Missile Defence (TMD) al quale Washington stava pensando come strumento di difesa dei paesi alleati e delle truppe americane dispiegate all'estero, innanzitutto sul suolo asiatico8. Nel dicembre del 1998 Giappone e Stati Uniti avevano formalizzato un piano di ricerca comune per questo scudo spaziale. Il fallimento, nel luglio scorso, dell'ultimo degli esperimenti per lo scudo spaziale nazionale sembra spinga il presidente Clinton a rinviare ogni decisione definitiva al prossimo nuovo inquilino della Casa Bianca. Se le vicende dello scudo di difesa nazionale abbiano qualche riflesso sui tempi di ricerca e realizzazione del TMD non è chiaro. Ma ci sono ormai abbastanza indagini e documenti che provano il costo finanziario proibitivo del progetto. Nel caso di una sua estensione a Taiwan ci sarebbe un costo politico altrettanto proibitivo: l'isola verrebbe inserita organicamente nel sistema di difesa guidato dagli Stati Uniti, con un sommovimento profondo degli equilibri in quella zona dell'Asia e con una prevedibile reazione da parte di Pechino. A quel punto l'ipotesi di riallaccio del dialogo tra i due lati dello stretto verrebbe a cadere. A Taiwan sembra ci sia consapevolezza del fatto che l'adesione al TMD comporterebbe una vera e propria alleanza militare con gli Usa. E infatti una decisione al riguardo viene definita di 'ordine politico', nel senso che chiama in causa la futura collocazione di Taiwan nella complessa partita che si sta giocando in quella parte dell'Asia. E che ha come bersaglio il ruolo della Cina: accettarne l'ascesa o frenarla?9.

In conclusione, Taiwan e la Repubblica popolare cinese stanno vivendo, nelle loro relazioni, una fase singolare segnata dalla necessità (o utilità) per entrambe di riaprire il dialogo. Ma segnata anche da una sfiducia reciproca che spinge sia l'una che l'altra a puntare sul potenziamento del proprio dispositivo militare. Il processo di riunificazione, che richiederà tempi lunghi, è possibile solo se Taipei e Pechino adotteranno un comportamento di grande cautela, manterranno un basso profilo.

MONDO CINESE N. 104,MAGGIO 2000

Bibliografia

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- Jiang Zemin, Li Peng : On Taiwan Question, China Intercontinental Press, Pechino, 1999.
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- Sao Chuan Leng (a cura di): Chiang Ching-kuo's Leadership in the Development of the Republic of China in Taiwan, The Miller Center Series on Asian Political Leadership.
- Sokoloff Kenneth (a cura di): The Role of the State in Taiwan's Development, An East Gate Book, New York, 1994.
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- Trolliet Pierre: La diaspora chinoise, Puf, Paris, 1994.

Note

1 Per le statistiche sull'evoluzione dell'economia taiwanese cfr. République de Chine à Taiwan. Principales statistiques, Octobre 1999, The Republic of China, 1999 Yearbook e The Republic of China, 2000 Yearbook, Government Information Office, Republic of China; la sezione dedicata a Taiwan in Far Eastern Economic Review Asia Yearbook, anni dal 1989 al 2000.
2 Sulla politica economica taiwanese esiste un'ampia letteratura dovuta innanzitutto ad autori statunitensi, citati nella bibliografia. Non mancano testi di economisti taiwanesi, alcuni dei quali hanno ricoperto cariche di governo. Cfr. tra questi ultimi Li K.T: The Evolution of Policy Behind Taiwan's Development Success, Yale University Press, 1998.
3 Per i dati sugli scambi economici tra i due lati dello stretto cfr. il
libro bianco rilasciato dal governo di Pechino il 22 febbraio 2000, The One-China Principle and the Taiwan Issue.
4 Cfr. "Articles additionnels à la Constitution de la République de Chine" in Constitution de la République de Chine, Office d'Information du gouvernment République de Chine, mai 1998. Queste le tappe del processo di democratizzazione: nascita del Partito democratico progressista (1986), revoca della legge marziale (1987), fine della 'mobilitazione per sconfiggere la ribellione comunista' (1991), elezione a suffragio universale diretto dell'assemblea nazionale (1991) e dello Yuan legislativo (1992), elezione a suffragio universale diretto del presidente della Repubblica (1996), varo degli undici articoli di riforma costituzionale (1997).
5 La posizione della Repubblica popolare cinese nei confronti della questione taiwanese ha avuto queste tappe: nel settembre del 1981, il presidente dell'assemblea nazionale Ye Jianying aveva presentato un memorandum in nove punti garantendo all'isola il massimo di autonomia. Nel 1982 la nuova versione della carta costituzionale prevedeva la nascita delle zone amministrative speciali che aprivano la strada alla politica 'un solo paese due sistemi' enunciata da Deng Xiaoping nel 1983 e poi nel 1984. Nell'agosto del 1993 il Consiglio di Stato emanava il primo libro bianco su Taiwan. Il 30 gennaio del 1995 il presidente Jiang Zemin avanzava ai taiwanesi delle propose in otto punti. Il 22 febbraio del 2000 il Consiglio di Stato diramava un secondo libro bianco.
6 Queste le tappe della politica di Taiwan nei confronti della Repubblica popolare cinese: nel febbraio del 1991 vennero varate le 'linee guida per la riunificazione nazionale' che prevedevano un processo di ricomposizione dell'intero territorio ai due lati dello stretto in tre tappe. Il 14 luglio del 1994 il governo diffondeva un libro bianco. Nell'aprile del 1995 Il presidente Lee Tenghui avanzava una proposta in cinque punti che faceva appello alla 'comune cultura cinese'. Nel dicembre del 1996 si svolgeva la conferenza sullo sviluppo nazionale che decideva le modifiche costituzionali e, sulla questione dei rapporti con la Cina, sosteneva l' esistenza di 'due entità politiche di uguale importanza'. Nel luglio del 1999, rispondendo alle domande di un giornalista tedesco, Lee Teng-hui affermava che le relazioni tra i due lati dello stretto erano da considerarsi 'da Stato a Stato'.
7 Nella sua biografia Lee Teng-hui ha scritto :'il Giappone ha avuto un'influenza determinante nella mia vita e la stessa Taiwan è stata aiutata dai giapponesi nel corso del suo sviluppo. Questa è una verità che sarebbe da stupidi negare'. Figlio di una famiglia benestante, il futuro presidente della Repubblica, nato quando ancora l'isola era sotto il dominio di Tokyo, aveva seguito in patria il classico percorso di studi deciso dai colonizzatori e successivamente era andato all'Università imperiale di Kyoto a studiare agricoltura. Cfr. il suo The Road to Democracy , Taiwan's Pursuit of Identity, PHP Institute, Inc. Tokyo, 1999.
8 Lee Teng-hui, cit., p.134.
9 Cfr. a questo proposito l'intervista rilascita il 2 luglio scorso dal ministro per la difesa Wu Shi-wen al quotidiano taiwanese China Times. Il ministro ha sostenuto che circa l'eventualità di dotare l'isola di un sistema di difesa antimissilistica 'c'è incertezza sulla possibilità di acquisire dagli Stati Uniti la necessaria tecnologia'. Quindi Taiwan dovrà (o dovrebbe) contare sulle proprie forze. Il ministro ha aggiunto che 'se gli Stati Uniti ci inviteranno a prendere parte al programma di scudo spaziale, i nostri due paesi stringeranno allora una più stretta cooperazione militare' e dunque, 'il problema è di natura squisitamente politica'. Wu ha anche escluso 'alleanze strategiche' con paesi asiatici come il Giappone o con gli Stat Uniti per mancanza di relazioni diplomatiche. In effetti un'eventuale proposta americana di partecipazione allo scudo antimissili suonerebbe come un riconoscimento diplomatico di Taiwan da parte degli Stati Uniti.

 

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