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INDICE>MONDO CINESE>50 ANNI DI PARTITO AL POTERE IN CINA

CULTURA E SOCIETÀ

Cinquant'anni di Partito al potere: 
le amare riflessioni di Li Shenzhi, un intellettuale "contro"

di Maria Rita Masci

Nell'autunno del 1999, dopo aver seguito in televisione le celebrazioni del cinquantesimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, l'anziano e malato Li Shenzhi, pensionato ex Vice Presidente dell'Accademia delle Scienze Sociali, nonché figura di riferimento dell'ala "liberal" degli intellettuali cinesi, affida a un sito internet un suo importante contributo intitolato "Cinquant'anni di paura e sofferenza - soliloquio nella notte della Festa nazionale"1.

Lo spettacolo della parata trasmessa alla televisione, con la sua grandiosità e pompa, diventa lo spunto per una riflessione sui cinquant'anni di storia della Cina determinata dalle scelte della dirigenza del Partito. Da veterano della rivoluzione, Li Shenzhi ricorda le sensazioni e lo spirito della proclamazione della Repubblica, tutto racchiuso nel verso di un poema di Hu Feng2. "Circa un mese dopo il '1° Ottobre', il Quotidiano del popolo pubblicò a puntate un suo poema scritto per celebrare la Repubblica Popolare. Benché oggi il contenuto in parte mi sfugga, ne ricordo però molto bene il titolo: 'Il tempo ha avuto inizio' …Il tempo ha avuto inizio! Perché non erano venute in mente a me queste parole? Il tempo ha avuto inizio, capivo perfettamente l'idea e il sentimento di Hu Feng. E questo non riguardava solo me e lui, ma tutti quelli che erano a piazza Tian'anmen quel 1° Ottobre avevano sentito e pensato la stessa cosa: da questo momento la Cina dice addio al passato, alla vecchia società semi coloniale e semi feudale, all'arretratezza, alla povertà, all'ignoranza ... e segue un cammino tutto nuovo - la strada delle libertà democratiche, dell'uguaglianza, della fraternità, della nuova democrazia, e a queste sarebbero seguite imprese ancora più sacre, avrebbe costruito il socialismo, e poi quello che il Presidente Mao chiamava 'il meraviglioso comunismo'. All'epoca solo l'URSS aveva intrapreso questa strada, l'avremmo presa a modello, e con la guida del Presidente Mao l'avremmo senza dubbio raggiunta, saremmo stati alla pari, e poi avremmo portato tutto il mondo - America, Europa, India, Africa ... - sulla via luminosa che attraverso il socialismo portava al comunismo".

Ma le cose non andarono secondo le previsioni. Hu Feng venne accusato di essere il capo di "una cricca di controrivoluzionari del Guomindang" e messo in prigione. L'accusa durò un quarto di secolo, venne riabilitato solo nel 1988, due anni dopo la sua morte.

"Molte altre erano le cose che non avrei potuto immaginare all'epoca. Otto anni dopo, io stesso, che non avevo problemi legati all'origine di classe o alla storia passata e, al contrario, ero sempre stato preso a 'modello', venni definito 'un elemento borghese di destra' nel corso del movimento contro la destra lanciato dal Presidente Mao in persona. Essere 'un elemento di destra' voleva dire, secondo quanto affermava il Presidente Mao, essere in realtà 'un controrivoluzionario', l'appellativo elemento di destra era giusto una forma un pò più cortese.
'La rivoluzione divora i suoi figli', questa crudele verità venne confermata sulla mia pelle! E non fu che l'inizio".

Eppure nelle dichiarazioni di Mao dell'epoca, secondo Li Shenzhi, si sarebbe potuto leggere con chiarezza quale era il progetto. "Cinquant'anni fa, per annunciare al mondo la direzione politica della nuova Cina che era appena stata fondata, Mao Zedong scrisse il celebre saggio Sulla dittatura democratica popolare3, dove in un passaggio importante dice: 'Voi esercitate la dittatura?' Miei cari signori, avete proprio ragione, è proprio quel che facciamo4. La prima volta che lo lessi ebbi un tuffo al cuore, ma poi subito pensai, ma questo è giusto il nostro Presidente Mao che esprime con l'audacia che gli è propria un principio del marxismo-leninismo. Poi nel 1956, dopo il ventesimo Congresso del Partito Comunista Sovietico, sentii il Segretario del Partito Socialista Italiano, Nenni, pronunciare la formula: 'La dittatura di una classe comporta necessariamente la dittatura di un partito, e la dittatura di un partito comporta necessariamente la dittatura di un singolo (autocrazia)'. Alcuni anni dopo, mi tornarono in mente alcune direttive che il Presidente Mao aveva dato ai tempi di Xibopo: 'Osare vincere', 'Combattiamo fino a Pechino, ripuliamo la corte imperiale e sediamoci sul trono del mondo'; alcuni anni dopo ancora, gli sentii dire: 'Io sono Marx più Qin Shihuang', e allora capii, capii che c'era qualcosa che li univa uno all'altro, che c'era una legge, e questa diceva che 'il potere corrompe, e il potere assoluto corrompe in modo assoluto'. E questo, al momento della fondazione della Repubblica, non solo non lo avevo capito, ma non lo avrei potuto nemmeno immaginare'.

A queste premesse seguirono anni di continui movimenti politici, poiché non si poteva 'seguire una politica di benevolenza': riforma agraria, soppressione dei controrivoluzionari, tre contro, cinque contro, e poi la campagna contro gli elementi di destra, il Grande balzo in avanti, le Comuni popolari, il movimento contro la tendenza di destra, la Grande rivoluzione culturale. 'Perciò si può dire che, fino al 1976, la Repubblica Popolare Cinese sia stata per quasi vent'anni il regno del terrore. La svolta del Presidente Mao è stata segnata dal saggio Sulla dittatura democratica popolare che ha costituito la linea guida e il piano strategico generale per la costruzione della nuova Cina. La 'Nuova democrazia' propagandata per dieci anni a partire dal 1940, non venne mai realizzata".
Tornando alla parata e al messaggio che essa vuole convogliare alla gente, egli nota: "Gli slogan della cerimonia sono esemplificati dai carri allegorici, quello che propagandano televisione e giornali è che questi cinquant'anni sono trascorsi passando di vittoria in vittoria e la storia che raccontano è grande, gloriosa e giusta. I fatti più importanti sono stati nascosti, dissimulati." Una verità questa che tutti i cinesi sanno, ma che è rischioso dire e soprattutto scrivere e che Li Shenzhi, vecchio e malato, si permette di manifestare perché ha poco da perdere e perché spera che qualcuno all'interno del Partito raccolga il messaggio. 

Se si fermasse alle recriminazioni contro Mao e le scelte politiche della sua era, il testo di Li Shenzhi non differirebbe da tanta pubblicistica oggi dominante che, sottolineando il successo delle riforme economiche, intende legittimare il nuovo corso della politica cinese inaugurato da Deng Xiaoping alla morte di Mao. La sua è invece una critica più profonda e più globale, che investe direttamente il sistema, l'apparato politico e la funzione del PCC che l'epoca delle riforme non ha mutato. 

"L'era di Deng Xiaoping, iniziata nel 1979, ha aperto una breccia nei trent'anni di dominio persecutorio di Mao Zedong facendo leva sulla forza di reazione accumulata. Gli accusati vennero riabilitati, l'economia riprese a svilupparsi e la sfera di libertà di espressione si ampliò molto ..., ma chiunque sia consapevole dei diritti dei cittadini può rendersi conto che nella sostanza il sistema non è cambiato, l'ideologia non è cambiata, è ancora il sistema di Mao, è ancora l'ideolgia di Mao. Decine di anni dopo essere stati 'liberati', i cinesi non solo non sono stati curati dal trauma storico della schiavitù spirituale tradizionale, ma versano ancora in una situazione di schiavitù".

"Aver messo fine all'autocrazia di Mao e iniziato le riforme e la politica di apertura è stato un risultato di portata storica realizzato da Deng Xiaoping, ma, dieci anni dopo, aver represso con l'esercito gli studenti è stato un crimine imperdonabile".

"Tutti coloro che al mondo hanno condannato quel fatto non possono capire un dolore ancora più profondo che hanno provato i cinesi: i carri armati del '4 Giugno' non hanno soltanto ucciso un numero imprecisato di vite umane, ma hanno anche schiacciato i germogli della coscienza democratica. Da quel momento gli intellettuali cinesi, che si sono sempre sentiti in dovere di occuparsi della cosa pubblica, non hanno più fatto sentire la loro voce".

"All'inizio della politica delle riforme e dell'apertura, Deng Xiaoping aveva manifestato l'intenzione di riformare il sistema politico, facendo anche alcune valide proposte. Ma dopo il '4 Giugno', la riforma del sistema politico si è del tutto arenata. E anche se ogni tanto le autorità spendono ancora qualche parola a proposito della riforma politica, tipo la volontà di realizzare lo 'stato di diritto', tuttavia, dato che il Partito-che-tutto-dirige può mettersi al di sopra della legge, la giustizia non può essere autonoma e quindi non sono altro che parole vuote". 

Leggendo queste parole si avverte chiaramente che, secondo la visione del vecchio intellettuale Li Shenzhi, le riforme di Deng Xiaoping sarebbero state soprattutto un raddrizzamento dei torti, un capovolgimento dei giudizi, una "giustizia" esercitata dai vincitori, in sostanza un cambiamento di rotta, ma sempre a bordo della stessa nave. L'apparato è stato semplicemente diretto verso un'altra meta, non è stato modificato. C'è stata una politica di apertura verso l'esterno, ma gli archivi interni non sono stati aperti, non si sono fatti i conti con il passato in modo profondo e consapevole. Il ripercorrere allora le stesse modalità, anche se a fini diversi, ha consentito che gli stessi errori venissero ripetuti, sia nell'affrontare gli eventi, sia nello stile di riportarli e trasformarli in storia.

"Riconsiderare la Rivoluzione culturale e i precedenti venti anni di dittatura totalitaria, sarebbe dovuta essere la base per la rinascita della Cina, il momento in cui il Paese girava pagina e gli uomini al potere rifondavano legalmente (o in modo corretto) il proprio governo, ma il '4 Giugno' ha interrotto questo processo. Certo negli ultimi dieci anni sono stati pubblicati molti libri riguardo al movimento contro la destra, alla Rivoluzione culturale, ma per lo più contengono racconti di fatti passati di bocca in bocca, mancano di profondità teorica, non affrontano un'auto-riflessione da parte della gente né tantomeno discutono di una presa di coscienza da parte della popolazione tutta".

"Forse che in Cina non c'è nessuno? Non è esattamente così. Sono i dirigenti che proibiscono che la gente sappia, e rifletta. Le autorità non rendono pubblici i dossier e non consentono che vengano svolte le ricerche, la conseguenza di questo è che la gente perde la memoria e la capacità di pensare razionalmente. Per la nostra generazione quei fatti è come se fossero avvenuti ieri, ma i giovani di oggi li ignorano del tutto, per loro sono storie fantastiche".

Infatti, se per un giovane universitario sono appena noti i fatti di Tian'anmen, nulla egli sa ad esempio del clima durante la Rivoluzione culturale, delle durezze subite dai suoi coetanei mandati in campagna a riformarsi, o della carestia seguita al Grande balzo o della verità sulla morte di Lin Biao.

"Il camuffamento e la falsificazione della storia hanno raggiunto il loro apice con le celebrazioni di questo cinquantenario. Le grandi vergogne e le grandi disgrazie subite dalla nazione in questi 50 anni non compaiono affatto. Il principale responsabile di queste è stato ovviamente Mao Zedong, ma tutte le colpe sono state addossate a Lin Biao e alla Banda dei quattro. Durante il processo Jiang Qing ammise senza alcuna reticenza di essere 'un cane del Presidente Mao'. Per decine di anni, giorno dopo giorno, mese dopo mese, si sono letti solo libri del Presidente Mao, si sono pronunciate solo le parole del Presidente Mao, ma oggi questo lo si vuole nascondere. E' possibile?"

"Le brutte abitudini sono dure a morire. Cosa c'era di difficile venti anni fa a correggere gli errori di Mao Zedong? Eppure a questo fine si fecero grandi sforzi e si prestarono contributi eccezionali. Ma nella storia dei 50 anni della Repubblica Popolare Cinese, di Hu Yaobang e Zhao Ziyang, massimi dirigenti che hanno prestato la loro opera secondo la costituzione cinese, non compare neppure il nome, e addirittura non compare nemmeno il nome di Hua Guofeng, che per due anni è stato 'Grande dirigente'. La storia ha lasciato solo menzogne".

Eppure, ragiona Li Shenzhi, il principio guida da seguire nell'era di Deng Xiaoping era "cercare la verità nei fatti". E invece l'insegnamento lasciato in eredità ai suoi successori è stato "reprimere qualunque cosa per ottenere la stabilità". 

Il cinquantenario della fondazione della Repubblica era anche il decennale del "4 Giugno" e, secondo Li Shenzhi, "le autorità avrebbero dovuto cogliere quest'occasione per una riconciliazione generale, e per compensare le vittime. Così facendo non solo si sarebbero guadagnati il cuore di tutto il Paese e avrebbero creato una nuova base alle ulteriori riforme, ma avrebbero anche aumentato enormemente il prestigio internazionale della Cina, creando migliori condizioni esterne per le riforme. Ma loro hanno seplicemenete ignorato questo anniversario facendolo passare sotto silenzio". 

Non solo, ma cadeva anche l'80° anniversario del "4 Maggio", "anche se gli obiettivi perseguiti dal movimento, scienza e democrazia, nonchè 'libertà individuale', non sono stati ancora raggiunti. La manifestazione del Falun Gong della prima metà dell'anno dimostra che lo spirito scientifico in Cina è ancora lontano dall'essere acquisito, e che in Cina non c'è la democrazia. La questione del Falun gong è stata trattata utilizzando i vecchi sistemi Maoisti. Io non credo agli insegnamenti del Falun gong, ma sono assolutamente contrario alla sua soppressione. So che molti la pensano come me, anche se la loro voce non si sente in nessun foro pubblico. E questo da solo basterebbe a dimostrare che cosa rappresentano in Cina la democrazia e lo stato di diritto". …

Dall'era di Deng, Li Shenzhi passa ad esaminare quella attuale, con Jiang Zemin Presidente, Segretario Generale del PCC (all'epoca in cui egli scrive) e Presidente della Commissione Militare Centrale. "Benché non abbia minimamente contribuito alla fondazione della Repubblica Popolare Cinese, semplicemente per via della legge di natura che dice che 'la gente invecchia', il suo trono è saldo, e non ci sono forze in Cina che possano sfidarlo. Se fosse un 'uomo ragionevole', oggi potrebbe realizzare nuovi obiettivi per la Cina, per la storia e per sé stesso".

Jiang Zemin è vivo, è al potere e Li Shenzhi gli si rivolge direttamente, dandogli del tu e riprendendo l'antica tradizione dell'intellettuale che offre consigli al governante: "Dal momento che Deng Xiaoping, ha potuto giudicare l'operato di Mao Zedong buono per il 70% e sbagliato per il 30%, dando ampio sfogo al senso di ingiustizia dei cinesi e riequilibrando in modo considerevole il rapporto tra la politica e l'economia, aprendo la strada alle riforme, perché tu non potresti seguire il suo esempio e dare il via a quello che Deng Xiaoping, per limiti storici, non ha portato avanti?"

"Dal momento che Deng Xiaoping nel 1992 ha potuto infrangere i quattro principi da lui stesso coniati sostenendo che 'il capitalismo può avere un'economia di mercato, e anche il socialismo può avere un'economia di mercato', aprendo nuove prospettive per l'economia cinese, perché tu non potresti dire 'il capitalismo può avere la democrazia parlamentare, e anche il socialismo può avere la democrazia parlamentare', aprendo nuove prospettive per la riforma politica cinese?"

"Non temere di perdere qualcosa. Il popolo non difende una dottrina mummificata ma dà valore ai vantaggi immediati. Solo continuando coraggiosamente le riforme potrai conservarti, e conservare anche Deng Xiaoping, Mao Zedong e il PCC."

Il cuore dei problemi della Cina è dunque il modello politico, suggerisce Li Shenzhi, e a Jiang Zemin potrebbe spettare il compito di introdurre una qualche forma di democrazia, come era originariamente nelle intenzioni, ma è stato annullato con la repressione di Tian'anmen. Alcuni intellettuali interni al Partito cercano oggi invece di suggerire forme più trasparenti e più democratiche nel funzionamento interno del Partito stesso, proponendo elezioni più aperte a livello di base per scegliere i rappresentanti che poi dovranno eleggere i candidati al Comitato Centrale e non liste imposte dall'alto, maggiore dibattito interno e non pura esecuzione di politiche decise altrove e da un numero esiguo di dirigenti, meno dirigismo e più partecipazione, nella convinzione che se i quadri del Partito impareranno a vivere più democraticamente il Partito, anche la società diventerà più democratica.

Li Shenzhi non fornisce indicazioni sulla via da seguire, ma parla di democrazia parlamentare e indica un modello cinese: "C'è un modello creato dai cinesi stessi, Jiang Jingguo, che dopo sessant'anni di monopolio politico del Guomindang ha inaugurato la libertà di stampa e di creare nuovi partiti. … Se un partito rivoluzionario riesce a trasferire pacificamente il potere ad un governo costituzionale, è un grande successo, e ritirarsi dopo aver conseguito un merito è una logica conclusione. Mao Zedong aveva predetto la scomparsa del PCC nel saggio Sulla dittatura democratica popolare. E' inevitabile che sotto la spinta della modernizzazione globale la Cina si apra alla libertà di stampa e alla creazione di più partiti. Cogliere l'occasione propizia, seguire il corso delle cose, cambiare con i tempi è conforme alla tradizione cinese".

"Un celebre detto di Mao Zedong era 'Il corso della storia non può venir mutato dalla volontà dell'uomo'. Stiamo per entrare nel 20° secolo. Alla fine di questo secolo, in una notte autunnale senza luna, ventosa e già un pò fredda, un vecchio sofferente alla luce di una lampada solitaria scrive le gioie e i dolori della sua vita, le speranze e le delusioni ... e alla fine scrive una piccola preghiera alla storia: è possibile, come aveva scritto cinquanta anni fa Hu Feng con quella frase 'Il tempo è cominciato', che alla fine si realizzi un sogno?" 

MONDO CINESE N. 113, OTTOBRE-DICEMBRE 2002

Note

 

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