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CULTURA E SOCIETÀ

Shanghai, una città in perenne trasformazione*

di Filippo Salviati

Contaminazione” sembra essere stata la parola d’ordine delle tendenze musicali di questi ultimi anni, caratterizzate da musicisti di diversa estrazione etnica e culturale che hanno realizzato nuove sonorità grazie ad originali combinazioni strumentali, fondendo linee melodiche e tradizioni musicali di origine ed orientamento diverso e riuscendo spesso a produrre risultati anche di ottimo livello. Questa rinnovata modalità dell’incontro plurisecolare tra Oriente ed Occidente - di cui la nostrana “Orchestra di Piazza Vittorio” di Roma, un ensamble di oltre trenta musicisti di tutto il mondo, è uno degli esempi migliori - ha però essenzialmente tratto ispirazione da tradizioni musicali quali quella indiana, giapponese o del Vicino Oriente. A margine del fenomeno sembra essere rimasta la musica cinese, in virtù forse della differente scala musicale e della particolare timbrica di alcuni strumenti, che non ha ancora trovato un organico inserimento nella ‘fusion’ contemporanea. Fino però allo scorso anno, quando, per l’etichetta EMI Music, è stato pubblicato, a Hong Kong, il disco di Ian Widgery, musicista inglese trasferitosi nella ex colonia britannica, “The Original Shanghai Divas Collection: Redefined”. L’album, come recita il titolo, è un ‘remix’ - o, meglio, una rivisitazione in chiave moderna - di canzoni degli anni Trenta, rese celebri dalle dive del tempo, quali Bai Guang (1920-1999), Zhou Xuan (1918-1957) e Bai Hong (1919-1992), spesso non soltanto stelle del canto ma anche del cinema. 

Anche se molti potranno trovare discutibile la qualità dell’operazione di Ian Widgery, essa in fondo non rappresenta altro se non la continuazione, agli inizi del XXI secolo, di quella contaminazione di generi e stili musicali già presente nelle canzoni originali, ove suggestioni derivanti dal folklore e dall’opera regionale cinese si uniscono al jazz, blues e alla musica classica occidentale producendo un risultato unico nel suo genere. In queste canzoni, e nella loro moderna rivisitazione, è possibile dunque ravvisare l’essenza stessa della città di Shanghai e della cultura cosmopolita cui essa ha dato luogo sin dalla metà circa dell’Ottocento, quando, a seguito dei trattati che concessero agli stranieri la possibilità di insediarsi ed operare in Cina, la cultura cinese e quella occidentale cominciarono a fondersi inestricabilmente formando un irripetibile mélange che perdura ancora ai giorni nostri. Oggi Shanghai è una delle città più grandi al mondo, in continua e vertiginosa trasformazione: anche se l’assetto urbano ed architettonico tradizionale rischiano di sparire, travolti dalle impellenti necessità che premono su un agglomerato urbano ove vivono oltre 12.000.000 di persone, ciò che non muta ed anzi si rinnova è proprio il carattere, la natura cosmopolita della città, esperimento unico al mondo sotto il segno della ‘contaminazione’, parola chiave per comprendere l’anima di Shanghai. 

1. Il cosmopolitismo architettonico di Shanghai 

Una delle migliori definizioni coniate per descrivere l’aspetto fisico della città di Shanghai e la sua fluida, in parte incontrollata espansione, è quella di web fluide, che si deve a Ma Qingyun.1 Sorta in una regione tra le più fertili della Cina, percorsa da un vero e proprio network di fiumi e canali, e collocata tra il più grande specchio d’acqua della regione, il Lago Tai, ed il mare, Shanghai ha fatta propria la natura di questa regione, inglobandola anche all’interno del tessuto urbano, traversato da vie d’acqua solcate da ponti, a ricordo delle quali restano mappe degli inizi del secolo XIX (Fig. 1) e la toponomastica cittadina odierna. Anche nella pianta la città cinese tradizionale manifestava una fluidità e una ‘permeabilità’ sconosciute alla rigida simmetria e geometrica articolazione dello spazio urbano di centri come Pechino. La cinta muraria aveva un andamento grosso modo circolare o ovaleggiante, riflettendosi in esso una caratteristica di molte città cinesi costiere, come quella che si vede raffigurata su un paravento in legno laccato Coromandel degli inizi del Settecento (Fig. 2). Esternamente a questo perimetro urbano cominciarono a sorgere, subito dopo la firma del trattato di Nanchino, le concessioni che segnarono l’inizio del dominio coloniale straniero sulla regione ma anche l’inizio delle profonde trasformazioni che avrebbero modellato alle radici la città “sul mare”, Shanghai. La prima concessione fu quella britannica, nel 1846, e ad essa seguirono, in rapida successione, quella americana, fondata nel 1848 e la francese, costituita l’anno successivo. Altri paesi si aggiunsero alla lista - Germania, Italia, Giappone - e alla fine del secolo accanto alla città cinese era sorta una seconda Shanghai, caratterizzata da una serie di énclave, spazi tra loro separati ma connessi da un sistema viario ad andamento regolare che conferiva ai territori delle concessioni un impianto quasi a scacchiera (Fig. 3).

 Lo stile architettonico non poteva che essere eclettico, riflettendosi in esso lo spirito nazionale dei diversi paesi che qui coabitavano: non sempre esteticamente piacevole ma sicuramente suggestivo, evocativo, fascinoso, una serie di momenti architettonici che, nel loro insieme, hanno contribuito a creare una immagine di Shanghai divenuta, nell’immaginario collettivo, una icona, il simbolo per eccellenza della ‘contaminazione’ (Fig. 4). Ma si cadrebbe in errore se da questo processo si escludesse la partecipazione, l’apporto, il contributo cinese, senza il quale l’aspetto delle concessioni straniere non avrebbe guadagnato quell’esotismo che tanto le caratterizzava. Cinesi non furono soltanto coloro che edificarono materialmente gli edifici in stile occidentale, 2 ma anche gli architetti che, dagli inizi del Novecento, cominciarono ad affiancare i colleghi europei e americani nella progettazione di importanti edifici quali il Zhongguo Yinhang o ‘Bank of China’, sul Bund o lungofiume, realizzato dallo Studio Palmer & Turner insieme a Lu Qianshou. Cinesi erano le insegne e molti dei negozi che si aprivano lungo le arterie commerciali dei territori in concessione, quali le vie Nanjinglu, Fuzhoulu e Henanlu. La compenetrazione tra le due città avvenne grazie alla fluidità con cui la popolazione cinese trasmigrava dall’una all’altra, inizialmente per ragioni di natura commerciale, poi anche culturale (gli ‘intellettuali da caffè’, kafeiguan wenren, erano sconosciuti in altre parti della Cina ma abbondavano a Shanghai). 

Una delle ‘invenzioni’ architettoniche che hanno resa celebre Shanghai - e che, per qualche verso, possono essere accostate agli hutong di Pechino - sono le cosiddette longtang o lilong,3 tipologie abitative sorte all’interno delle concessioni (Fig. 5), caratterizzate da una commistione di stili architettonici cinese ed occidentale anche se in pianta costituiscono, su scala molto più ampia, una estensione della ‘casa a cortile’ cinese con influenze derivate da tipologie architettoniche tradizionali riscontrabili ancora oggi in villaggi della Cina meridionale.4 Un quadro completo dell’eclettismo che è alla radice di Shanghai non può però prescindere da ciò che avveniva all’interno della città cinese. 5 Fiorente porto e centro di attivi scambi commerciali sin dall’epoca Ming (1368-1644), Shanghai aveva da sempre attratto ogni genere di professionisti del commercio e tutte le attività che intorno ad essi ruotavano, dalla ristorazione alla prostituzione. La città cinese vantava dunque un eclettismo, anche architettonico, parallelo a quello occidentale, ma di natura totalmente autonoma. Prova ne sono i grandi complessi ove avevano sede le compagnie commerciali, i cosiddetti huiguan (Fig. 6), edificati anche all’interno delle concessioni straniere e caratterizzati esternamente da impressionanti portali monumentali in legno o mattoni, riccamente decorati, che interrompevano le lunghe mura imbiancate delimitanti l’area ove sorgeva il complesso. Una vera e propria ‘follia’ architettonica era invece costituita dalla Casa da Tè edificata intorno al 1865 in prossimità del celebre giardino Yuyuan: collocata al centro di un laghetto e raggiungibile mediante un ponticello zigzagante si configurava come un autentico caso di esotismo, grazie alla combinazione non ortodossa di svariati elementi architettonici in parte ispirati alla tradizione ma accostati fuori da qualunque regola (Fig. 7). 

2. Shanghai tra passato e presente 

La velocità con cui Shanghai è mutata in meno di un secolo, giungendo a perdere molti dei connotati tradizionali che ne hanno caratterizzata la fisionomia architettonica e l’assetto urbano, può essere colta raffrontando vecchie foto d’epoca con immagini recenti della città. L’occasione è stata offerta qualche mese addietro da due mostre fotografiche allestite in contemporanea presso il Musée Carnavalet di Parigi ed organizzate nell’ambito delle manifestazioni de “L’anno della Cina in Francia”.6 Le mostre erano un contrappunto di anonimi scatti della città presi negli anni dal 1911 al 1949 e provenienti dal Lishi Bowuguan o Museo della Storia di Shanghai, accostati alle immagini realizzate tra gli anni Novanta ed il 2002 da Marc Riboud, grande fotografo che ha trascorso molti anni della sua vita in Cina documentando i cambiamenti occorsi nel paese in oltre cinquanta anni di storia.7 Oltre a constatare la scomparsa di molti dei vecchi edifici occidentali e cinesi, che hanno lasciato il posto a schiere di moderni e svettanti edifici, le fotografie permettevano anche di osservare una continuità nel tempo tra luoghi dello spazio urbano e momenti della vita sociale di Shanghai. La celebre Nanjinglu, ‘Via Nanchino’, era ad esempio brulicante di attività negli anni Venti e Trenta come lo è oggi (Fig. 8), mentre la foto di Riboud dell’attrice Gong Li poteva essere paragonata all’anonimo ritratto di Wang Renwei, diva del cinema degli anni Trenta (Fig. 9). In questo gioco di contrappunti, alcune delle immagini che chiudevano la sezione della mostra dedicata a Riboud erano particolarmente significative: quelle cioè nelle quali il fotografo ha còlto alcuni scorci della zona del Pudong, area-simbolo della moderna Shanghai, sfumata sullo sfondo, mentre in primo piano un gabbiano plana sopra le acque dello Huangpu o mentre, sopra un ponte traversante il Canale Suzhou, transitano alcuni tricicli carichi fino all’inverosimile (Fig. 10): un sapiente accostamento tra la tradizione e la modernità, tra la Shanghai di un tempo e quella di oggi, proiettata verso un futuro sempre più ravvicinato, in un processo di crescita e di espansione sempre più compresso. 

3. Lo sviluppo urbano negli anni Novanta 

L’area del Pudong (che, letteralmente, significa “ad est del fiume Pu” e sorge sul lato opposto del fiume sul quale si affacciano ancora gli edifici in stile occidentale dominanti il Bund, Fig. 11) può essere considerata come rappresentativa dello sviluppo urbano che ha caratterizzato la Shanghai delle ultime decadi, soprattutto negli anni Novanta. Si tratta di una delle aree che furono prescelte per il rilancio economico ed industriale della città sulla base di un piano stilato nell’oramai lontano 1959, anche se non fu prima del 1985 che tale piano venne ultimato ed approvato dal Consiglio di Stato, permettendo così di poter passare alla sua realizzazione. Attorno al nucleo di Shanghai vennero così evidenziate una serie di aree che si configuravano come vere e proprie cittadelle: tra esse Anting, città dell’automobile, e Jiading, città della scienza.8 Ma il passo più importante fu sicuramente l’approvazione, nel 1990, dello sviluppo del distretto di Pudong, con l’intento di realizzare un polo commerciale tanto potente da eguagliare Canton ed il delta del Fiume delle Perle, altra zona chiave per lo sviluppo industriale cinese ed i rapporti con l’estero. Purtroppo, la mancanza di una progettazione architettonica che seguisse linee guida ben delineate è evidente nella eterogeneità degli edifici che segnano lo skyline del Pudong, sui quali svetta la cosiddetta “Perla d’Oriente”, la Torre della Televisione, completata nel 1994 ed alta 450 metri. Nella sua sconcertante bruttezza rivela anche una sorta di sotterraneo ‘infantilismo’ che domina il design di molta dell’architettura cinese contemporanea, quella, potremmo dire, che meno ha recepito la parte fruttuosa dell’esperienza di incontro con la tradizione progettuale occidentale. 

Guardando il Pudong si ha l’impressione che la regola dominate sia stata la concessione di spazi sui quali edificare i singoli edifici, senza che la preoccupazione per una coerenza stilistica che fondesse ed armonizzasse l’insieme fosse emersa alla coscienza, pur avendo di fronte, sulla sponda opposta del fiume, l’esempio offerto dalla sequenza di edifici in stile occidentale che, seppur non esteticamente eccelsi, offrono almeno un esempio di continuità, anche in senso fisico, quasi infatti si trattasse di un’unica lunga facciata prospiciente lo Huangpu. Questa sensazione di eterogeneità e di interventi architettonici moderni che non hanno alcuna relazione o rispetto per l’esistente è quello che preoccupa maggiormente quando si osservi il quadro della odierna Shanghai nella sua totalità. Certo, gli architetti e gli urbanisti devono far fronte, in tempi brevissimi e senza una adeguata e maturata coscienza architettonica alle spalle,9 ad un insieme di incombenti problematiche: un inurbamento che non accenna a diminuire, e quindi la necessità di provvedere nuovi alloggi per la popolazione in crescita; una viabilità che permetta al parco macchine in continuo aumento di non provocare i temibili ingorghi che hanno da sempre afflitto la città (in questo senso, la realizzazione di una serie di sopraelevate è già in fase molto avanzata, mentre alcuni architetti progettano una strada a scorrimento veloce proprio sul Bund, magari sotterranea, sì da ridurre l’impatto); un inquinamento proporzionale al vertiginoso sviluppo della città e, di conseguenza, la realizzazione di aree verdi in numero sufficiente da garantire condizioni di vivibilità per la popolazione. Si tratta insomma di interventi su larga scala che suscitano un vivace dibattito e trasformano Shanghai in una sorta di enorme laboratorio, un ‘esperimento’ architettonico ed urbanistico unico nel suo genere, utile per evidenziare soluzioni possibilmente esportabili in altri grandi centri urbani della Cina gravati dalle stesse problematiche,10 e che consentono anche ad architetti di altri paesi, tra cui molti occidentali, di intervenire con progetti propri. 

4. Tra tradizione e modernità: continuità stilistica in alcuni moderni edifici 

In questo senso, si spera che il dialogo tra Oriente ed Occidente, in cui Shanghai è maestra da oltre un secolo, dia nuovamente i suoi frutti. Tra le tante problematiche che affliggono la moderna Shanghai, città poliedrica e multiforme, vi è anche quella del restauro e preservazione, nei limiti del possibile, del patrimonio monumentale ed architettonico del passato. E accanto all’eclettismo che ha caratterizzato e caratterizza questa apparente ‘città senza regole’, programmata tuttavia dall’alto per vincere la gara della competizione economica su scala mondiale, luogo ove l’estro degli architetti ha lasciato le impronte più diverse, si cerca anche di stabilire una continuità di forme, di dar corpo ad una modernità che porti con sé traccia e rispetto dell’antico. Guardando ad alcuni edifici realizzati in tempi recenti, è possibile scorgere una continuità stilistica, anche se, in questo caso, l’apporto si deve ad architetti occidentali che, provenienti da esperienze di conservazione con radici ben più salde dei loro colleghi cinesi, hanno saputo integrare aspetti della tradizione architettonica locale con la funzionalità degli edifici moderni, senza per questo scadere nell’ovvio o riproporre esotismi quali la Casa da Tè sopra menzionata che ancora sopravvive, ad uso e consumo dei turisti, nel cuore della ‘vecchia’ Shanghai. 

Il primo caso che merita essere menzionato è quello del ‘Jingmao Building’ (Fig.12), un grattacielo di 90 piani progettato da architetti statunitensi all’interno dell’area di Pudong che, nel profilo, si richiama alle pagode cinesi, quale la celebre “Pagoda di ferro” di Kaifeng (prov. Henan) edificata in epoca Song (Fig. 13).11 L’altro edificio, realizzato negli anni Novanta e che presenta affinità stilistiche con la tradizione architettonica cinese, è il nuovo teatro, edificato su disegno dell’architetto francese Jean Marie Carpentier dello studio Arte, vincitore del concorso indetto nel 1994, che ha realizzato il progetto in collaborazione con lo East China Architectural Design Institute (Fig. 14).12 Il profilo del tetto, concavo, del teatro, con gli angoli fortemente tendenti verso l’alto, è una citazione dichiarata degli edifici tradizionali cinesi che, soprattutto nella Cina meridionale, erano così caratterizzati: nella stessa Shanghai un parallelo può essere istituito con l’antico teatro cinese che si conserva all’interno dello Yu Yuan, uno degli spazi verdi storici preservato nel cuore della città cinese (Fig. 15). L’intero teatro è tuttavia costruito seguendo i princìpi dell’architettura cinese classica, formato com’è da un basamento e una struttura a pilastri sulla quale poggia il tetto, mentre le pareti non assolvono funzione portante contribundo invece all’estetica dell’edificio, grazie al vasto impiego di vetrate che rendono parzialmente visibile l’interno della struttura. Si può in sintesi affermare che queste architetture costituiscono la prosecuzione moderna di quella fusion stilistica che tanto caratterizza la fisionomia della Shanghai storica. 

Non lontano dal nuovo teatro, nella Piazza del Popolo che un tempo era l’ippodromo all’interno della concessione inglese, sorge un altro edificio di recente costruzione che, data la sua funzione, rappresenta più di altri il simbolo per eccellenza che lega l’antico al moderno: il Museo di Shanghai, uno dei più importanti della Cina per numero e qualità dei reperti ivi conservati, con oltre 120.000 oggetti coprenti l’intero arco cronologico di sviluppo della civiltà cinese, dal Neolitico fino al XX secolo (Fig. 16).13 Fondato nel 1952, il Museo è stato riaperto al pubblico il 12 ottobre del 1996, in una nuova sede progettata dall’architetto Xing Tonghe che ha inteso rievocare, nella forma data all’edificio, il profilo di un antico bronzo rituale. Per quanto dal punto di vista dell’allestimento, dei laboratori di restauro e conservazione, della qualità degli oggetti esposti in visione, il Museo sia da considerarsi tra i migliori non solo della Cina ma del mondo intero, architettonicamente esso manifesta una ingenuità di forme ed una adesione, anche se inconsapevole, alle architetture del ‘socialismo reale’ che ha segnato l’opera di molti architetti contemporanei cinesi. L’esperienza urbanistica ed architettonica della moderna Shanghai, a causa delle continue trasformazioni che la città sta vivendo, allo stato attuale non può essere certamente giudicata se non in modo parziale: meglio seguire i cambiamenti e, se possibile, guidarli con suggerimenti che aiutino questo luogo a rafforzare la propria identità inter-culturale, e non certo sulla scorta di una mera, retorica nostalgia del passato. Shanghai sa infatti reinventarsi benissimo, soprattutto sul piano culturale, e la vivacità della società che la anima è palpabile, la potenza creativa che questa città ha saputo esercitare non si è affatto spenta, anzi. Persino una mostruosità architettonica come l’area di Pudong acquisisce un’aurea poetica se fotografata da Marc Riboud o se fa da sfondo all’anziano ballerino di jazz che danza un’ultima volta sul tetto di uno degli alti edifici di Shanghai, nel bellissimo film in bianco e nero, “Burning Dreams”, del regista di origini taiwanesi, Wayne Peng.14 Anche in un luogo frenetico come Shanghai c’è spazio per riflessioni che portino alla creazione di un ‘nuovo’ e ‘moderno’ che siano decorosi e piacevoli, nel rispetto degli abitanti che ci vivono e di coloro che l’hanno abitata.

 

MONDO CINESE N. 119, APRILE-GIUGNO 2004

Note

* Le illustrazioni cui si fa riferimento nel testo sono visibili alla pagina web www.asiae2001.org/shanghai.htm.
1 Ma Qingyun, “Le paradigme du delta dans l’urbanisme chinois”, in Anne Lemonnier (a cura di), Alors, la Chine?, Editions du Centre Pompidou, Parigi 2003, pp.200-206. 
2 Un precedente illustre, in questo senso, è offerto dallo Xiyanglou, il complesso architettonico costruito per l’imperatore Qianlong tra il 1740 ed il 1760 su progetto dell’italiano Giuseppe Castiglione, all’interno dello Yuanmingyuan o Palazzo d’Estate, a Pechino (F. Salviati e D. Jones, “Le ‘acque occidentali’ e i palazzi europei dell’imperatore Qianlong a Pechino”, in D. Jones (a cura di), Il teatro delle acque, Edizioni dell’Elefante, Roma 1992, pp.140-158). 
3 Luigi Novelli, Shanghai. Architettura e città tra Cina ed Occidente/Architecture and the City between China and the West, Edizioni Librerie Dedalo, Roma 1999, pp.67-95; Li Dehua, “La tipologia tradizionale delle case Li-Long“, in Controspazio, XXIII, n.3, maggio-giugno 1992, pp.35-39 (numero monografico della rivista di architettura interamente dedicato a Shanghai). 
4 La disposizione su due piani e la presenza del cortile interno o “pozzo del cielo” ricordano le abitazioni del Guangdong e dello Anhui, come quelle illustrate nell’articolo di Cary Y. Liu, “ ‘Heavenly Wells ’ in Ming Dynasty Huizhou Architecture”, Orientations, vol. 25, n.i, gennaio 1994, pp.28-36. 
5 Analizzato in dettaglio da Jonathan Hay, “Painting and the Built Environment in Late-Nineteenth Century Shanghai”, in Maxwell K. Hearn e Judith G. Smith (a cura di), Chinese Art, Modern Expressions, The Metropolitan Museum of Art, New York 2001, pp.60-101. 
6 Il calendario completo degli eventi programmati per “L’année de la Chine” è visibile all’indirizzo internet www.anneedelachine.org.
7 Le due mostre vivono ancora nelle pubblicazioni che le hanno accompagnate: Hu Baofang et al., Shanghai 1911-1949. Photographies du musée d’Histoire de Shanghai, Editions Findakly, Parigi 2003; e Marc Riboud, Demain Shanghai, Delpire, Parigi 2003. 
8 Per una panoramica sugli sviluppi urbani recenti che hanno interessato le zone limitrofe all’area occupata da Shanghai, si veda Dong Jianhong, “La pianificazione urbanistica: il piano per Shanghai”, in Controspazio, cit., pp.20- 27. 
9 Un profilo dell’architettura in Cina negli ultimi cinquanta anni e degli orientamenti, anche ideologici, che l’hanno caratterizzata, è offerto da Zheng Shiling, “L’architettura contemporanea (1949-1991)”, in Controspazio, cit., pp. 62-71. 
10 Significativo in tal senso è stato l ’intervento di Zheng Shiling della Università Tongjin dal titolo “Shanghai: città pilota per la nuova Cina”, presentato al convegno internazionale di studi La città moderna in Oriente, Roma 1-2 dicembre 2003 (atti in corso di pubblicazione). 
11 L’accostamento tra il Jingmao Building e la pagoda di Kaifeng è proposto da Luigi Novelli, cit., pp.28-29. 
12 Ibid., pp. 30-31 e, in part., pp.34- 39. A seguire, le pp. 40-47 sono dedicate ad una analisi architettonica della “Piazza del Popolo” ove sorge il nuovo edificio ospitante il teatro. 
13 Sul nuovo Museo di Shanghai si vedano i numeri monografici di Orientations, vol. 28, n.5, maggio 1997, e Arts of Asia, vol.27, n.3, maggio-giugno 1997, con articoli dedicati alla riapertura del Museo e ai principali spazi espositivi, organizzati tematicamente.
14 Il film, presentato in Italia nel corso della quarta rassegna “Asiatica Film Mediale”, svoltasi a Roma dall’8 al 16 novembre 2003, è brevemete descritto a p. 41 del catalogo che si accompagnava alle proiezioni.

 

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