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ECONOMIA E DIRITTO

L'ambiente malato, l'altra faccia del miracolo cinese

di Antonio Pollio Salimbeni

1. Gli effetti dell'ipercrescita

Mentre i più importanti gruppi ecologisti del mondo continuano la campagna per accusare Stati Uniti, Russia e Australia di violazione dei diritti umani perché rifiutano di ratificare il protocollo di Kyoto sull'abbattimento delle emissioni nell'atmosfera con effetto serra, l'attenzione si sta spostando sempre più verso i costi ambientali dell'ipercrescita asiatica e in particolare della Cina. Nonostante Pechino abbia ratificato il protocollo nel 2002, da tempo gli ecologisti hanno messo in luce i limiti opportunistici di questa decisione. E', infatti, la possibilità di utilizzare il cosiddetto 'meccanismo di sviluppo proprio ' che ha convinto le autorità cinesi. Quello che in gergo viene chiamato semplicemente Mdp è il solo strumento di cooperazione Nord/Sud previsto dal protocollo di Kyoto. In base ad esso, i paesi industrializzati, le loro imprese o le loro comunità locali, possono aiutare a finanziare e realizzare direttamente nei paesi del Sud dei progetti per la riduzione delle emissioni a partire da tecnologie favorevoli al clima: energia solare, dighe idrauliche, centrali di cogenerazione, carburanti ecologici. In cambio, i paesi industrializzati possono vedersi attribuiti diritti di emissione supplementari corrispondenti alle emissioni "evitate" (in sostanza si disinquina in un punto del mondo per poter disinquinare meno in un'altra). Il via libera della Cina aveva un obiettivo molto semplice: attirare investimenti nel proprio territorio. Peccato però che ancora non esista in Cina - come in India o in Brasile - un inventario delle emissioni, senza il quale non è possibile alcun controllo internazionale. E peccato che questo meccanismo non abbia avuto una effettiva influenza sugli effetti ecologici dell'ipersviluppo. 

L'ottimistica speranza con la quale il mondo industrializzato accoglie e commenta i dati sulla crescita economica cinese per lo più impedisce di prestare analoga attenzione agli effetti ecologici non solo interni, ma anche globali. Recentemente è stata la vicepresidente della Commissione europea, Loyola de Palacio, responsabile dell'energia e dei trasporti, a ricordare che la Cina "non è obbligata ad assumere alcun impegno secondo il protocollo di Kyoto" e che per questo le mosse di Pechino "devono essere monitorate molto da vicino"1

Se la Cina continua a crescere ai ritmi degli ultimi dieci anni, a partire dal 2041 diventerà la prima potenza economica del mondo (in termini di prodotto annuale) e già dal 2030 consumerà energia quanta ne consumano gli Stati Uniti e il Giappone di oggi messi insieme. Inoltre, non disponendo di petrolio sufficiente, sarà costretta, entro i prossimi quindici anni, a raddoppiare la sua capacità nucleare se davvero vuole mantenere l'impegno a ridurre la produzione di carbone e rispettare l'ambiente. L'effetto ecologico di questa corsa, temono in molti, sarà che la Cina lascerà il secondo posto nella graduatoria dei grandi inquinatori del pianeta per occupare decisamente il primo2. Crescita economica rapida, urbanizzazione e industrializzazione forzate e concentrate nelle zone costiere hanno comportato, secondo il primo e più completo rapporto sulla questione ambientale in Cina fatto dall'Oecd (Organisation for Economic Cooperation and Development), un "profondo ed esteso deterioramento dell'ambiente"3. Studi e rapporti successivi relativi a singoli aspetti (inquinamento di acqua, aria, impatto ambientale dei consumi attuali e futuri, stato dell'industria) hanno solo rafforzato questa conclusione. Adesso, nel mezzo di una crisi energetica che coinvolge non solo il settore petrolifero (la Cina ha un disperato bisogno di greggio ed è disposta a pagarlo - quasi - qualsiasi prezzo), con interi comparti industriali costretti a organizzare calendari di razionamento perché non c'è energia sufficiente per il funzionamento degli impianti nei periodi di picco dei consumi, l'allarme riguarda anche il costo sempre più elevato di una crescita il cui unico presupposto è stato quello della non limitatezza delle risorse. La qualità dell'ambiente rurale ha patito pesanti deterioramenti, sostiene l'Oecd, "in seguito all'espansione delle imprese industriali e ora il peggioramento dell'ambiente sta ponendo seri ostacoli alla crescita economica"4. Ogni anno, secondo varie stime non ufficiali, i danni dell'inquinamento di aria e acqua raggiungono il 5-8% del prodotto.

2. Molto seria la situazione dei fiumi 

Se si guarda alle tappe del 'miracolo cinese', la pressione sulle risorse ha seguito linearmente i salti di sviluppo dell'industria. Prendiamo l'acqua. Nella prima metà degli anni del boom (tra il 1980 e il 1993) il consumo di acqua aumentò complessivamente del 350%, di cui due terzi per uso industriale. In seguito questa spinta ha subìto dei rallentamenti. Ma il calo dell'intensità della domanda non ha impedito rotture nell'approvvigionamento con l'esaurimento di falde acquifere. E' previsto che nel 2030 la domanda si avvicinerà pericolosamente alla disponibilità annua. Nelle città il consumo aumenta al ritmo dell'8% l'anno. Con il 21% della popolazione mondiale, la Cina ha a disposizione solo il 7% delle acque rinnovabili fresche presenti sul pianeta. L'immensa piana del nord è una delle regioni più popolate del mondo: 450 milioni di persone ognuna delle quali ha a disposizione 500 metri cubi l'anno, più o meno quanta ne ha a disposizione l'Algeria. Secondo l'Oecd tre quarti dell'acqua potabile in Cina non rispetta gli standard internazionali, metà delle sezioni urbane dei fiumi sono inutilizzabili per l'irrigazione. La qualità dell'acqua si è deteriorata in quasi tutti i sette bacini fluviali, "molto seria" la situazione dei fiumi Liao, Hai e Huai. Il delta del fiume delle Perle è diventato l'emblema dei disastri ambientali dell'intera Asia. Il fiume che attraversa la provincia del Guangdong, pilastro del miracolo industriale cinese, produce 4 miliardi di tonnellate di acqua inquinata ogni anno, di cui solo il 10% viene trattato e pulito. Industria e città emettono 600mila tonnellate di diossido solforoso che produce a sua volta piogge acide. 

Un quarto dei laghi patisce l'abnorme crescita di piante acquatiche causata dall'inquinamento organico, dalla produzione agricola e dall'urbanizzazione. "Pratiche inefficienti, uso di fertilizzanti di bassa qualità, pesticidi stanno gravando pesantemente sulla salute umana, sulle acque e sulle risorse del terreno. L'uso eccessivo di un bene come l'acqua e la mancata protezione delle foreste limitano il naturale processo del loro rinnovamento"5.

In termini di emissioni nell'atmosfera, la Cina presenta due gravi problemi: emissioni di biossido di carbonio da combustione fossile e produzione e consumo di agenti chimici che bucano l'ozono. Entrambe queste emissioni contribuiscono al riscaldamento globale. La domanda di energia è aumentata rapidamente fin dalla prima metà degli anni '90. La quota di emissione di Co2 é aumentata dal 10% al 12% nell'ultimo decennio. Si stima che nei prossimi venti anni il fronte energetico utilizzerà prevalentemente carbone, settore nel quale la Cina ha puntato all'autosufficienza, raggiungendo oltre la metà del consumo globale. Quanto allo stato del territorio, quello cinese viene considerato uno dei più erosi. Secondo la cinese Accademia delle Scienze circa 350 milioni di ettari, pari al 40% del paese, "sono affetti da una moderata o severa erosione e desertificazione". La stessa calcola che l'area coltivata diminuisce al ritmo di 300mila ettari l'anno6. La Cina è il secondo paese al mondo come consumatore di energia (dopo gli Usa) ed è al terzo posto come paese produttore. E' il più importante produttore di carbone ed il sesto per il petrolio greggio. Ed è il consumo energetico, particolarmente quello garantito dal carbone che copre il 76% del fabbisogno, la fonte principale di inquinamento dell'aria. Il 65% della generazione energetica è concentrato nell'est, nel centro-sud e nelle regioni del sudovest, la parte più industrializzata e inquinata di Cina. La conseguenza è che la Cina è il secondo inquinatore mondiale di biossido di carbonio, conta per il 14% del totale delle emissioni ed è destinata a diventare nei prossimi vent'anni il primo responsabile delle emissioni totali di sostanze a effetto serra, le quali trattengono nell'atmosfera l'energia infrarossa emessa dal pianeta rendendo più calda la superficie terrestre. 

L'industria cinese produce il 75% del totale delle emissioni di diossido di carbonio. Potrebbe ridurle se ci fossero finanziamenti pubblici sufficienti e una scelta strategica delle industrie per aggiornare continuamente le tecnologie nella generazione di energia, che farebbe risparmiare almeno il 20% del consumo di carbone. Ma, ricorda la International Energy Agency di Parigi, per l'uso di tali tecnologie sarebbe necessario un intervento dell'industria occidentale e tuttora ci sono "forti ostacoli al trasferimento di nuove tecnologie verso la Cina"7

3. Quando ci saranno 150 milioni di auto 

A livello globale i consumi totali di combustibili fossili sono aumentati più di quanti non sia aumentata la popolazione. Ciò vuol dire che determinante è risultato non tanto l'andamento della crescita demografica, bensì la propensione al consumo di una quantità crescente di popolazione. Aumentano in sostanza rapidamente i consumi di energia pro-capite sia nel mondo industrializzato che nei paesi in via di sviluppo. In Cina entrambi i fattori hanno un peso enorme nell'aumento dei consumi totali di combustibili fossili. Con una popolazione pari a un quinto di quella mondiale e con la sua straordinaria crescita economica (tra l'8 e il 10% annuo), la Cina è diventata l'emblema dei paesi emergenti. La popolazione urbana viene calcolata tra i 450 e i 500 milioni, più di un terzo degli abitanti concentrati nelle province dell'est e del sud-est. Ogni anno aumenta di dieci milioni. Di questi, almeno un terzo utilizza il gas cittadino per cucinare e l'uso pulito del carbone si è esteso quanto più le abitazioni sono costruite con mattoni. Ciò ha ridotto le emissioni inquinanti, ma questo vantaggio è stato parallelamente compensato dall'aumento degli scarichi di automobili e camion pesanti e leggeri. Nel 2003 il parco automobilistico cinese è aumentato del 40% portando i veicoli in circolazione da 10 a 14 milioni. I produttori ricordano che 14 milioni di veicoli sono in fin dei conti circa la metà dei veicoli circolanti in Italia, che ha una popolazione venti volte inferiore a quella della Cina e una superficie trenta volte più piccola. E ne deducono che c'è grande spazio per produrre e vendere8. Nel 2003, ogni giorno 11 mila vetture in più si sono aggiunte al caos cittadino. La vendita di auto è aumentata nel 2002 del 60%, nel 2003 dell'80%. Ogni venti automobili in più nell'immenso parco auto della Cina significa "occupare" 0,4 ettari di terreno per parcheggio, strade e autostrade. Così nel 2003 è come se si fosse impegnato lo spazio per centomila campi di calcio9. Entro il 2015 se la crescita continuerà a questi ritmi, l'industria stima che ci saranno 150 milioni di auto, 18 milioni più di quante ce ne fossero negli Usa nel 1999. "L'emergere di una classe di nuovi consumatori è attesa con grande entusiasmo perché migliorerà la mobilità e lo status per quel che l'automobile rappresenta. Sono in milioni ad aspettare mesi e a indebitarsi in misura significativa per diventare i pionieri della nuova cultura automobilistica"10. Il caso dell'automobile rende bene le dimensioni di quella che viene chiamata la "nuova classe" di consumatori che nei grandi paesi in via di sviluppo e in primo luogo in Cina ha modificato radicalmente il carattere dei problemi da fronteggiare. I cinesi già oggi membri della nuova classe di consumatori sono 240 milioni, gli indiani 120 milioni. Per stili di vita basati sul possesso di automobili, ma anche di televisioni, frigorifero, telefono, connessioni a internet, su una dieta alimentare più ricca, il livello di consumi di questa ampia fascia di popolazione tenderà nel giro di pochi decenni a eguagliare quello medio americano, europeo o giapponese. Secondo il rapporto "State of the World 2004", "in futuro saranno i popoli in via di sviluppo a essere i più danneggiati dall'esaurimento delle risorse. La terra non è in grado di provvedere sufficientemente per tutta la popolazione del pianeta se questa avrà la stessa aspettativa di vita della media degli americani o degli europei. Se la media dei consumatori utilizzasse petrolio al ritmo medio americano, la Cina avrebbe bisogno di 90 milioni di barili al giorno, 11 milioni più di quanto l'intero mondo ne produceva ogni giorno nel 2001"11. E' evidente che "se e quando i Cinesi, gli Indiani, gli Asiatici in generale e, poi, i Sud Americani e gli Africani consumeranno quanto Nord-Americani ed Europei, allora il problema della sostenibilità ecologica del sistema mondo diventerà drammatico, anche se la popolazione dovesse cessare di aumentare e raggiungere uno stato stazionario" 12

4. Buona volontà ufficiale ma scarsi risultati 

Dalla metà degli anni '90 non c'è piano per lo sviluppo sociale ed economico che non preveda obiettivi anti-inquinamento. E le autorità anche locali non perdono occasione per affermare l'esigenza di tenere sotto controllo l'impatto ambientale dell'attività produttiva. Ma "nonostante il complesso sistema legislativo, una complessa congerie di strumenti politici e un network di agenzie e istituzioni ambientali sparsi nel paese, il rispetto delle regole ambientali resta basso"13. Troppo vaghi gli standard in molte leggi, troppo debole la supervisione pubblica dei progetti industriali in relazione all'impatto ecologico. Pesa inoltre la mancanza di un giudice imparziale per interpretare le leggi e arbitrare le dispute locali. E ha un peso anche il prezzo troppo basso delle risorse naturali e dei servizi ambientali, che incoraggiano lo spreco e non incentivano a internalizzare i costi ambientali per le imprese. 

C'è consenso nel mondo imprenditoriale occidentale sul fatto che gli investimenti esteri diretti, attraverso i gruppi multinazionali (europei e americani, ma soprattutto asiatici o della diaspora cinese), esercitano un ruolo positivo di freno alle produzioni inquinanti, quantomeno per una esigenza di immagine presso le opinioni pubbliche nazionali e per non esporsi al rischio di accuse nelle assemblee degli azionisti, con eventuali spiacevoli conseguenze in Borsa. Ma la stessa Banca Mondiale, rilevando che almeno il 30% degli investimenti diretti è localizzato nelle zone industriali altamente inquinate, ammette che essendo la Cina l'atelier del mondo ciò stimola le industrie non cinesi a trasferirvi "processi tecnologici che altrove non rispettano standard ambientali. Per massimizzare i profitti le imprese devono minimizzare i costi il più possibile, il che crea un vincolo sia al governo che al mercato. Anche se le imprese statali hanno scarsi vincoli finanziari, gli attuali incentivi spingono a minimizzare i costi del controllo antiinquinamento come fanno le altre controparti dell'economia di mercato". Inoltre, sebbene "per oltre un decennio migliaia di aziende grandi e piccole hanno dovuto pagare multe perché scaricavano sull'ambiente i loro rifiuti, la maggior parte delle industrie nelle zone rurali interne è sfuggita ai pagamenti a causa della debole capacità delle autorità ambientali locali di imporre il rispetto delle norme"14. Non solo. L'immenso territorio cinese viene utilizzato come area di smaltimento e distruzione di prodotti industriali, operazione quest'ultima che comporta elevati livelli di inquinamento e di rischi per chi vi lavora. Insieme con India e Pakistan, la Cina è diventata il "ricovero" dei vecchi computer. Secondo l'Agenzia americana di protezione dell'ambiente trasferire i monitor in Cina per distruggerli è dieci volte più conveniente che farlo a casa propria. Ciò comporta, secondo "The State of the World 2004", un traffico tossico che sarebbe bandito dalle norme internazionali. Alcuni anni fa il gruppo ambientalista svizzero Basel Action Network e Greenpeace fecero una indagine sul sito di distruzione a Guiyu e scoprirono, appunto, che la maggioranza di computer proveniva dagli Usa. Monitor e hardware venivano distrutti con martelli, scalpelli, cacciaviti e anche a mai nude per recuperare filo di rame. Il resto veniva gettato nei fiumi o abbandonato a terra. Lo stesso con fax, cariche di inchiostro, cavi in pvc. Ciò accade nonostante che la Cina abbia bandito le importazioni di rifiuti solidi nel 1996 e previsto specifiche proibizioni nel 2000 contro l'importazione di vecchi monitor. 

Nel tentativo di ridurre l'inquinamento, l'amministrazione municipale di Pechino alla fine dello scorso decennio ha obbligato gli automobilisti a usare gas naturale convertendo l'alimentazione. Così dal 2002 la capitale detiene il primato della città con il numero più alto di autobus a gas naturale del mondo (1630 veicoli). Ciononostante l'Amministrazione statale per la protezione dell'ambiente (Sepa) indicava nel giugno 2003 che i responsabili dei controlli ambientali "non sono ottimisti sul successo dei loro sforzi per la riduzione della pressione delle sostanze inquinanti nell'aria"15. L'Agenzia internazionale dell'Energia ritiene che "nonostante gli sforzi del governo e della Sepa la concentrazione della maggior parte delle sostanze inquinanti resta elevata". L'Organizzazione mondiale della sanità valuta che sette delle dieci città più inquinate del pianeta sono in Cina, vittima di un circolo vizioso di cui è difficile vedere l'uscita: la combustione del carbone inquina l'aria e produce piogge acide che ricadono su un terzo del paese. La quota cinese di emissioni da carbone arriverà al 17,8% del totale mondiale entro il 2025. Gli Usa emettono 5,5 tonnellate metriche per persona di carbonio, di fronte a una media globale di 1,1. La Cina è ferma a 0,6 tonnellate metriche, ma, segnala l'Iea, "la crescita dell'economia e un aumento dello standard di vita comporteranno un aumento dell'uso di energia e quindi delle emissioni e di carbonio". 

Il governo cinese confida nel completamento, entro il 2009, della diga delle Tre Gole, la più grande del mondo, che già quest'anno sarà in grado di produrre 30 miliardi di khw per le regioni centrali e orientali. E' uno dei megaprogetti mondialmente più contestati. Grande vanto del governo cinese, la diga sbarra il fiume Yangzi in corrispondenza di una serie di spettacolari canyon, le Tre Gole appunto, nella Cina sud occidentale): costo 25 miliardi di dollari, 27.780 ettari di terra arabile sommersi, 116 città, 1.711 villaggi e 1.599 fabbriche inabissati, due milioni di persone evacuate. Tutti elementi per un disastro ecologico. Alta 181 metri, lunga 2309, la diga è munita di due generatori con 26 turbine ognuna della quali capace di produrre 700 megawatt, e nel punto più profondo dovrebbe raggiungere i 171 metri oltre a creare un lago lungo quasi 600 chilometri. Periodicamente si riaccendono ancora forti contestazioni ambientaliste. Secondo Pechino sono due i vantaggi: produrre circa un decimo dell'elettricità consumata riducendo l'emissione di circa cinque milioni di tonnellate di anidride carbonica nell'atmosfera, evitare le piene bibliche che nell'ultimo secolo hanno causato più di un milione di vittime ed ancor più sfollati. Inoltre lo Yangzi potrà essere navigabile per duemila chilometri, favorendo in tal modo gli scambi commerciali. Ma i gruppi ambientalisti di mezzo mondo sono allarmati non solo per il rischio di cedimenti, ma anche per il fatto che le terre sommerse sono fra le più fertili della Cina, custodiscono immense piantagioni di more e le coltivazioni delle preziose orchidee arancione. Alla fine verranno sommersi anche i 1.300 siti archeologici risalenti a 4.000 anni fa.

MONDO CINESE N. 120, LUGLIO-SETTEMBRE 2004

Note

1 Colloquio con l'autore, Bruxelles, settembre 2004. 
2 A. Sinai, "Le sud se divise sur le front climatique", Le Monde Diplomatique, febbraio 2004, pp. 24-25.
3 "Environmental Priorities for China's Sustainable Development", Rapporto dell'Oecd, Parigi 2001.
4 Cfr. nota 3.
5 "New Ideas in Pollution Regulation", World Bank 2003, Washington DC.
6 Cfr. nota 3.
7 "Coal in Energy Supply of China", International Energy Agency, Parigi 1999.
8 Pietro Greco, "Demografia e ambiente", Napoli 2004, testo in via di pubblicazione, gentilmente concesso.
9 L. Brown, "China's Shrinking Grain Harvest", Earth Policy Institute, 10.3.2004.
10 G. Gardner, E. Assadourian, R. Sarin, "The State of Consumption Today", in "The State of The World 2004", World Watch Institute, Washington DC, 2004.
11 Cfr. nota 10.
12 Cfr. nota 8.
13 Ma Xiaoying, L. Ortolano, "Environmental Regulations in China: Institutions, Enforcement and Compliance", Oxford 2001.
14 Ming Chen, "How the Chinese System of Charges and Subsidies Affect Pollution Control Efforts by China's Top Industrial Polluters", World Bank, Washington DC, 2003.
15 "China Environmental Issues" sul sito, www.eia.doe.gov/emeu/cabs/ chinaenv.html.

 

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