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RAPPORTI

Il convegno su "La letteratura cinese in Italia" (Roma, 15-16 giugno 2006)

di Anna Bujatti

Nell’ambito del programma del Comitato Nazionale per le Celebrazioni del 750° anniversario della nascita di Marco Polo, come i lettori di Mondo Cinese1 già sanno, si sono tenute, a Pechino e a Roma, presso le rispettive Biblioteche Nazionali, iniziative in qualche modo speculari: Convegni sulle traduzioni letterarie da e nella lingua dei due paesi e Mostre dei libri frutto del lavoro di traduzione. 
La Mostra, allestita negli spazi della Biblioteca Nazionale Centrale, Cara Cina… gli scrittori raccontano ha ripreso il titolo di un noto libro di viaggio di Goffredo Parise (Cara Cina, Milano, Longanesi, 1966). Curata da Marina Battaglini, Alessandra Brezzi, Rosa Lombardi, con la collaborazione di Davide Vona, è stata accompagnata da un catalogo illustrato che si apre con un cordiale saluto augurale dell’Ambasciatore della Repubblica popolare cinese in Italia, Dong Jinyi. Marina Battaglini ha ripercorso in catalogo le vicende che hanno portato alla costituzione del fondo orientalistico della Biblioteca, mentre Federico Masini ha offerto una ricca messe di informazioni sulla conoscenza della letteratura cinese in Italia nel XIX secolo e Alessandra Brezzi e Rosa Lombardi hanno rivolto l’attenzione al Novecento anticipando, con preciso riferimento ai volumi esposti alla Mostra, le linee portanti del convegno “La Letteratura cinese in Italia” che si è tenuto il 15 e 16 giugno. 
Un primo gruppo di libri esposti comprende dizionari, grammatiche, manuali per lo studio della lingua cinese. Spicca nel gruppo il Dictionnaire chinois français latin pubblicato a Parigi nel 1813, fondato sul lavoro del minorita friulano Basilio Brollo (1648-1704) e sono presentate le prime traduzioni di testi classici confuciani a cura dei gesuiti Michele Ruggieri e  Prospero Intorcetta. Ma è con la presentazione di testi poetici e narrativi che la Mostra assume il suo carattere, fondamentalmente letterario. Il dente di Budda , tradotto nel 1883 da Alfonso Andreozzi, è stato il primo “assaggio” in Italia del grande romanzo Shuihu zhuan pubblicato poi in traduzione dal tedesco col titolo I Briganti (1956), mentre le liriche cinesi adattate in francese dalla figlia di Théophile Gautier, che si firmava Judith Walter, nel suo Livre de Jade (Paris,1867) hanno ispirato a Tullo Massarani il suo Libro di giada (1882) e ad altri letterati numerose fortunate antologie. Al di fuori delle mode fu invece opera di profonda e originale attenzione alla cultura cinese, testimoniata anche nelle sue espressioni popolari, il volume di Guido Amedeo Vitale, Pekinese rhymes, (Pechino, 1896), al quale attingono ancora oggi gli studiosi del folklore cinese. Un “capitolo” affascinante della Mostra è il “capitolo” dei libri di viaggio. Dai libri di viaggio di ufficiali di Marina dei primi del Novecento all’avventurosa narrazione di Luigi Barzini del viaggio del 1907 di Scipione Borghese e suo, da Pechino a Parigi in automobile, dai resoconti, tra gli anni ’20 e ’30, di letterati come Renato Simoni e Giovanni Comisso, o giornalisti come Mario Appelius, si arriva agli anni ’50, alla Cina divenuta Repubblica popolare cinese. Frutto del viaggio in Cina, nel 1955, di una delegazione di intellettuali italiani guidata da Piero Calamandrei, uscì nel 1956 un numero speciale della rivista Il Ponte, ancora oggi imprescindibile ritratto della Cina che si era “levata in piedi”. Tra i primi resoconti giornalistici dalla nuova Cina, si ricorda il volume di Enrico Emanuelli La Cina è vicina (1957) che diede poi il titolo al film di Bellocchio. Appartiene al clima di scoperta di una Cina, non più esotica ma umanamente, appunto, “vicina”, anche il film La Muraglia cinese di Carlo Lizzani del 1957, opportunamente riproposto in occasione del convegno. 
La scelta delle traduzioni, a partire dagli anni ’50 sempre più spesso direttamente dal cinese, spazia nei vari campi della poesia, della narrativa, della saggistica e mette in luce l’opera di sinologi e traduttori di valore, Martin Benedikter per la poesia Tang, Renata Pisu, Primerose Gigliesi, Edoarda Masi per la narrativa e la saggistica. Tutti i partecipanti al convegno hanno avuto tra le mani quei libri ormai consunti per la costante consultazione. Dopo la parentesi degli anni della Rivoluzione culturale, e le varie pubblicazioni, spesso anche di grande qualità editoriale, delle poesie di Mao Zedong, a partire soprattutto dalla seconda metà degli anni Ottanta si è assistito alla comparsa, via via più impetuosa, delle nuove opere di narrativa (la poesia rimane più “segreta”) che hanno rivelato una nuova, ferrata generazione di traduttori e che costituiscono ormai parte integrante della media cultura del lettore italiano. 
Il convegno ha decisamente rivolto l’attenzione al Novecento, arrivando fino alle esperienze letterarie più recenti, alla discussione delle quali hanno dato un contributo essenziale tre scrittori cinesi di prima grandezza, Han Shaogong, Ma Yuan e Su Tong. 
Edoarda Masi, con l’intervento Alcune riflessioni sul rapporto degli scrittori cinesi del Novecento con le vicende politiche, ha offerto una penetrante analisi dell’evoluzione, nel corso del Novecento, del ruolo dell’intellettuale cinese nella società e della sua combattuta e sofferta ricerca di una nuova identità. Per secoli la struttura portante dell’impero cinese era stata costituita dalla rete onnipresente dei letterati-funzionari, selezionati attraverso il ferreo sistema degli esami di stato. Gli intellettuali avevano finito così con l’assumere le funzioni, per citare Edoarda Masi “di scrittori, dirigenti politici e educatori del popolo.” Anche alla caduta dell’impero, rimaneva tra gli intellettuali il senso di un impegno politico-morale nei confronti della società. I riformatori e rivoluzionari, tuttavia, non hanno cercato più modelli di comportamento e ispirazione nella storia cinese, ma hanno guardato all’Europa, e in particolare “all’Europa nata dalla rivoluzione francese e dalla rivoluzione industriale”. Ecco che la storia degli intellettuali cinesi del Novecento ci riguarda da vicino, come mai era accaduto prima. Oggi, ha concluso Edoarda Masi, “fiorisce (in Cina) una stagione di creatività consapevolmente e degnamente inserita nel contesto della letteratura mondiale. La narrativa cinese ora parla direttamente anche al nostro pubblico e per esso, non più da una lontananza esotica giacché gli autori partecipano da protagonisti allo scambio di forme fra i diversi paesi e anche i temi trattati sono quelli ovunque dominanti degli ultimi trenta-quarant’anni (anche se) il loro contributo è tutt’altro che ignaro della passata tradizione.” Gli interventi successivi sono entrati nel vivo dell’esperienza del lavoro di traduzione (con riferimento prevalente alla narrativa) e dell’analisi che, attraverso il suo lavoro, il traduttore può arrivare a compiere dell’opera dell’autore tradotto. Chi scrive ha portato il contributo della propria esperienza di traduzione di opere di Lu Xun, riconosciuto un po’ come il padre della letteratura cinese del Novecento. Lu Xun fu egli stesso appassionato traduttore e le sue riflessioni sul lavoro di traduzione sono ancora oggi di sorprendente attualità. 
Alessandra Lavagnino, ha preso in esame le traduzioni di Gao Xingjian, Nobel per la letteratura del 2000. A proposito del Nobel, è stato citato il sinologo francese Paul Bady secondo il quale nessun cinese aveva mai avuto il premio per la letteratura perché “Lu Xun era morto troppo presto”. Occorrerebbe ricordare che una candidatura al Nobel per Lu Xun era stata avanzata a Parigi nel 1927 e che Lu Xun l’aveva rifiutata con una lettera memorabile. Alessandra Lavagnino ha illustrato il progetto editoriale italiano della traduzione di tutta l’opera di Gao, progetto nel quale è personalmente impegnata, e delle cui difficoltà, per la vigile presenza dell’autore, conosce ogni risvolto. Per la cronistoria, un primo racconto di Gao Xingjian, Huadou, fu pubblicato in traduzione italiana già nel 1986, nel numero speciale “Sulla letteratura cinese” della rivista Marka (n. 17-18). Il racconto era stato scelto dall’autore, che era venuto in Italia nel 1980 con una delegazione della Associazione degli Scrittori Cinesi. 
Tra gli scrittori che vivono e operano in Cina, Ge Fei, tradotto in italiano da Paola Iovene e da Nicoletta Pesaro, è uno scrittore molto originale oltre che acuto studioso delle forme e delle tecniche narrative alle quali, anche negli scrittori cinesi d’avanguardia, non è estranea - come ha rilevato Nicoletta Pesaro - l’eredità complessa e sfuggente ma straordinariamente vitale della tradizione narrativa classica. Che il lavoro di traduzione possa presentare risvolti a carattere antropologico è stato ricordato nell’intervento di Stefania Stafutti Chifan e chimian: il cibo in traduzione. Riso e spaghetti, ossia: quando la traduzione deve destreggiarsi tra la precisione terminologica e la connotazione simbolica dell’alimentazione. Un aspetto particolare dovuto al sempre più massiccio fenomeno delle migrazioni e alla predominante importanza della lingua inglese è stato preso in esame da Monica Morzenti nel suo intervento Cinesi che raccontano in inglese: Ha Jin e Gish Jen. Si tratta di due autori che vivono negli Stati Uniti, poeta e narratore il primo, che ha lasciato la Cina nel 1985, narratrice la seconda, figlia di immigrati cinesi, hanno entrambi in diverso modo un rapporto dialettico e creativo con la cultura cinese. L’intervento di Rosa Lombardi ha avuto un carattere riassuntivo, con particolare riguardo all’identità del traduttore “responsabile, a volte ancora più dello stesso autore, della ricezione e del successo delle opere letterarie presso i lettori non specialisti i quali costituiscono la stragrande maggioranza dei fruitori”.
Naturalmente, gli interventi più attesi sono stati gli interventi degli scrittori cinesi, protagonisti, a conclusione del convegno, di una vivace Tavola Rotonda. 
Al narratore Ma Yuan è spettato il compito di mettere a fuoco il cammino della narrativa cinese negli ultimi vent’anni. Egli ha indicato nel 1985 l’annocerniera, tra la letteratura di testimonianza del periodo della Rivoluzione culturale conclusosi dieci anni prima e la nuova fase letteraria in cui ci si poteva porre, di nuovo, il problema della forma, del “come scrivere”. Ricordiamo che, appunto, nel 1986, l’allora Ministro della cultura cinese, il grande scrittore Wang Meng, promosse un convegno Internazionale sulla Letteratura Cinese Contemporanea che si svolse a Shanghai al quale presero parte molti di quegli autori che costituiscono, per dirlo con le parole di Ma Yuan, “l’orgoglio della narrativa cinese”. Han Shaogong (tradotto in italiano da Maria Rita Masci per Theoria già nel 1992) ha messo, diciamo così, il dito nella piaga dell’omologazione, del conformismo e dell’aridità di sentimenti della editoria di consumo. “Si stanno perdendo - egli ha detto - emozioni importanti (…) sebbene la luce del sole, l’aria e l’acqua siano condizioni essenziali per l’esistenza del genere umano, esse sono ormai lontane dai nostri sensi. E sempre più deboli si sono fatte le nostre sensazioni nei confronti dei deboli, dei diseredati.” Ed ha offerto, come testimonianza esemplare, l’episodio di un incidente mortale al quale ha assistito, provocato da una macchina di lusso che ha investito, uccidendolo, un operaio in bicicletta. Un incidente davanti al quale i passanti hanno manifestato commenti di un cinismo e di un’aridità impressionanti. La conclusione, amara e profonda, di Han Shaogong è stata che “se la letteratura ha ancora un significato, dovrà essere un fascio di luce che illumini le zone sconosciute dell’animo umano, il rimedio ad un’epoca in cui si sono deformati i sensi dell’umanità”. Su Tong, il più noto dei tre scrittori, sia per le numerose traduzioni, sia per la fortunata trasposizione cinematografica dei suoi romanzi (basti ricordare il film Lanterne rosse del regista Zhang Yimou, tratto da Mogli e concubine, tradotto da Maria Rita Masci nel 1992 per Theoria) ha scelto per il suo intervento una linea narrativa, costruendo un vero e proprio racconto autobiografico, per tocchi leggeri e allusivi, intorno al ricordo della giara per l’acqua che nella sua infanzia di bambino di famiglia semplice e povera, in un paese dominato da ideologica uniformità, assume un carattere simbolico, dischiudendo sensazioni preziose e mondi fantastici, secondo la più vitale tradizione cinese. 

 

 

MONDO CINESE N. 128, LUGLIO-SETTEMBRE 2006

Note

1 Si veda Mondo Cinese, n.125, ottobre-dicembre 2005, pp.68-72. 

 

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