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ECONOMIA E DIRITTO

L'industria del software nella Repubblica popolare cinese. 
 Un quadro del settore

di Marco De Marco

1. L’industria del software

La Repubblica popolare cinese (Rpc), come ogni altro Paese che aspira a competere nel mercato globalizzato, è impegnata in modo determinato nella produzione di software di tutte le specie: sistemi operativi, applicativi gestionali, prodotti per informatica individuale, supporti all’automazione industriale ed altro.
Nel maggio 2006 si è tenuta a Shanghai la 28° International Conference on Software Engineering(ICSE). Si tratta della più prestigiosa conferenza nel settore del software. Il fatto che questo evento, che in genere ha luogo in Paesi all’avanguardia nelle tecnologie informatiche si sia tenuto nella Rpc, è un segnale dell’attenzione che la comunità scientifica internazionale attribuisce alla Cina e un indicatore della diffusione e del livello raggiunto dagli studi e dalle realizzazioni nel settore.
Gli studiosi seguono con interesse le fasi, le modalità e le strutture organizzative attraverso le quali il Paese punta a sviluppare nel settore del software una forte presenza sia nel mercato interno, sia in quello internazionale. La ragione di tale interesse è duplice, da una parte si vuole conoscere la consistenza in questo campo di uno dei maggiori attori dell’economia mondiale, dall’altra, soprattutto in ambito accademico, si cerca di scoprire se il ciclo di sviluppo del settore del software nella Rpc ha seguito il percorso degli altri Paesi che l’hanno preceduta o se sono state adottate vie originali.
Per molti anni, e in modo a volte superficiale, si è arbitrariamente assegnato alla Rpc il ruolo della produzione di beni materiali, secondo uno schema che vedeva nell’India la grande fornitrice di servizi nel campo della tecnologia e nella Cina la fabbrica del mondo per i prodotti a basso valore aggiunto. Questo schema, se mai è stato valido, oggi certamente non lo è più.
Secondo The Economist la parola d’ordine del 2006 nella Rpc è innovazione, termine che figura sempre più spesso nei discorsi ufficiali da quando il Presidente Hu Jintao - sempre secondo The Economist1- ha avviato una campagna per condurre l’economia cinese a operare nei punti più alti di quella che gli economisti chiamano la catena del valore. Il piano cui si fa riferimento è noto in lingua inglese come National Medium and Long Term Programme for Scientific and Technological Development (2006-2020).
Il piano, che prevede di superare lo schema di un’economia basata sulle risorse proprie e sul basso costo del lavoro per collocarsi invece tra le economie che competono perché dotate di risorse umane con alto livello di istruzione, sarebbe stato oggetto di un dibattito interno in cui si sarebbero confrontate due tendenze: i cosiddetti nazionalisti che puntavano allo sviluppo di una tecnologia “indigena”, ed altri più aperti al mercato internazionale. Dal punto di vista operativo, i primi proponevano un’ innovazione incrementale, i secondi puntavano su un numero limitato di grandi progetti. Oggi la Rpc dipende ancora molto dalla tecnologia importata (il piano prevede di ridurre al 30% tale dipendenza), e le 20.000 grandi e medie imprese operanti nell’Information Technology avviano ancora pochi progetti innovativi e generano pochi prodotti nuovi.
Ovviamente iniziative di grandi ambizioni hanno senso solo se adeguatamente finanziate; questo aspetto non manca nel piano visto, che si prevede di passare da un investimento in ricerca e sviluppo pari oggi all’ 1,23% (Italia 1,20%) del PIL al 2,50% nel 20202.
Per avere un’idea delle dimensioni e delle tendenze del settore del software nella Rpc può essere utile riportare qualche dato di sintesi3. Il settore dovrebbe crescere al ritmo del 30% l’anno tra il 2006 e il 2010 raggiungendo un volume d’affari pari a 1,3 trilioni di yuan (162,5 miliardi di dollari al cambio attuale). Secondo Ding Wenwou, Vicedirettore del dipartimento elettronica e Information technology del Ministero per l’industria dell’informazione (MII), nonostante la crescita lusinghiera in termini di volumi - dal 2000 al 2005 si è passati da 44 ,05 miliardi di yuan (5,5 miliardi di dollari) a 390 miliardi di yuan (48,75 miliardi di dollari) - il settore del software in Cina “non è in grado di rispondere alla domanda di sviluppo economico e sociale del Paese” confermando così il divario esistente in questo campo tra la Rpc e gli altri Paesi sviluppati. Va ricordato che settore contava 900.000 addetti destinati a diventare 2,5 milioni nei prossimi cinque anni4.
Uno degli obiettivi del MII è di aumentare il numero di grandi aziende operanti nel software - ovvero quelle con più di 5 miliardi di yuan di fatturato annuo (625 milioni di dollari). Attualmente solo quattro aziende, e precisamente Huawei, Haier, ZTE e UTStarcom superano questa cifra d’affari. 26 sono le aziende che superano il fatturato di un miliardo di yuan l’anno (12 5 milioni di dollari). Gli obiettivi del MII prevedono l’esportazione del 15% del software prodotto entro il 2010, a detta di Yi Xiaozhun, vice ministro del commercio.
Sempre secondo il China daily5, nella Rpc sei sono le zone da cui provengono le esportazioni di software: Beijing, Shanghai, Tianjin, Dalian nella provincia di Liaoning, Shenzhen nella provincia di
Guandong e Xi’an nella provincia di Shaanxi.
Lou Qinjian, del MII, ammette la debolezza dell’export cinese e l’ attribuisce al fatto che finora l’industria locale si è focalizzata sul mercato domestico. Secondo i dati del MII, l’export di software e servizi informatici da parte della Rpc è ancora al disotto dei valori medi mondiali, collocando così il Paese tra quelli a prevalente vocazione manifatturiera. Ma tra gli obiettivi del MII vi è di portare le esportazioni di software dagli attuali 3,59 miliardi di dollari a 12,5 miliardi nel 20106.
Un ruolo in questo piano l’ha senza dubbio l’outsourcing, ovvero la produzione in Cina di beni e servizi per conto di aziende straniere che in genere approfittano del basso costo del lavoro e, in alcuni casi del buon livello di istruzione dei lavoratori del Paese ospitante. Se da una parte si lamenta il fatto che solo il 6% dei telefoni cellulari esportati dalla Rpc (per il 2005 13,2 milioni su un totale di 22 8 milioni) portava un marchio locale, ci si rende anche conto che la pratica della localizzazione in Cina da parte di multinazionali straniere porta know how nel Paese e una familiarizzazione con le cosiddette best practices, ovvero le modalità organizzative e produttive delle grandi aziende mondiali. Di questo fatto sono consapevoli le autorità cinesi e, secondo Yi Xiaozhun, “sviluppare software per terzi è una scorciatoia per l’industria locale del software per raggiungere i Paesi sviluppati. Il coinvolgimento della Cina nell’outsourcing farà assorbire alle imprese cinesi pratiche e prodotti di eccellenza”7. La localizzazione di produzioni estere viene quindi, e a ragione, vista come una strategia di ammodernamento e di crescita per le aziende cinesi.
Lo sviluppo di un’industria del software così diversa per struttura, caratteristiche degli addetti, cicli di vita, e ritorno degli investimenti dai settori più maturi e tradizionali come quello dell’acciaio e dell’elettronica di consumo suscita l’interesse degli studiosi per molti aspetti, uno dei quali, fondamentale per la situazione politica ed economica in cui lo sviluppo avviene, è quello della modalità di rappresentanza presso i poteri costituiti.

2. Il problema della rappresentanza presso i poteri pubblici

L’industria dell’acciaio e quella dell’elettronica di consumo possono contare su canali privilegiati e consolidati per manifestare le proprie esigenze al potere politico e, come avviene in molti altri Paesi del mondo, le aziende di maggiori dimensioni hanno anche contatti diretti con il governo.
L’industria del software si distingue per la caratteristica di essere knowledge-intensive, richiedere pochi investimenti fissi, quindi permettere la presenza di aziende di dimensioni piccole, perché le economie di scala non sono un fattore prevalente come negli altri settori. Si aggiunga a questo che lo sviluppo della produzione locale del software si è avviato in Cina in un momento storico di parziale liberalizzazione del mercato interno e quindi mancano le grandi aziende caratteristiche dell’economia centralizzata. Un ostacolo alla crescita dimensionale delle aziende cinesi proviene senza dubbio dalla diffusa pirateria che colpisce le aziende locali forse più di quelle straniere. Secondo alcuni commentatori cinesi8, le operazioni di Microsoft in Cina sono in utile nonostante la pirateria.
Per avere un’idea delle dimensioni del fenomeno, si ritiene in genere che il numero delle copie illegali (daoban) del software sia superiore a quello delle copie vendute legalmente (zhengban)9. Per completare il quadro del settore si aggiunga che la maggioranza delle aziende operanti in Cina nel settore del software sono private o straniere. La presenza di queste ultime in Cina ha una funzione di sviluppo delle imprese nazionali - anche quando non si pratica l’outsourcing - in quanto i prodotti software devono essere localizzati, analogamente a quanto avviene in Italia per i prodotti stranieri. Localizzazione non vuol dire soltanto tradurre, ma adeguare agli standard e alla regolamentazione del luogo. Questo processo di sinizzazione (han hua) fa sì che il software importato possieda una obusta componente di lavoro cinese.
Per rappresentare gli interessi del settore presso il potere politico vi sono delle associazioni studiate da Kennedy10 e valutate secondo parametri significativi quali:
L’associazione nasce per iniziativa governativa?
E’ affiliata a qualche ente pubblico?
Il personale dell’associazione è di provenienza politica?
L’associazione dipende finanziariamente dallo Stato?
Le associazioni di categoria operanti nel settore di software vengono classificate secondo le caratteristiche suesposte, e il risultato può essere riassunto riprendendo Kennedy nei termini che seguono. La prima associazione è sorta nel 1984, la China Software Industry Association, CSIA, in cinese Zhongguo ruanjian hangye xiehui, affiliata al MII. Lo staff dell’Associazione e i dirigenti provenivano dal MEI (Ministry of Electronics Industry, nel 1998 confluito insieme al Ministero delle poste e telecomunicazioni nell’attuale MII) di cui era in origine responsabile l’ingegner Jiang Zemin prima della sua rapida ascesa politica.
Poco dopo - nel 1986 - erano nate altre due associazioni regionali: Beijing Software Industry Association (BSIA), e Shanghai Software Industry Association (SSIA) entrambe, ma in particolare la prima, con legami molto più laschi con il potere politico, la BSIA addirittura finanziata interamente dai soci.
Nel 1995 nasce la Accounting and Business Management Software sub-Association (ABM) (Caiwu ji qiye guanli ruanjian fenhui), che riunisce le aziende operanti nel settore della contabilità e finanza che aderisce alla CSIA, ma mantenendo un’elevata indipendenza nella scelta dello staff e finanziandosi in modo autonomo. Vi sono poi associazioni costituite da aziende straniere, come la Business Software Alliance (BSA), e la US Information Technology Office - USITO - che sono totalmente indipendenti dal potere politico cinese e, la seconda in particolare, collabora strettamente con la China National Copyright Association per combattere la pirateria informatica. Sempre secondo Kennedy, la CSIA ha il compito di essere il ponte e la cinghia di trasmissione (qiaolong he niudai) tra le aziende di software e il ministero.
Oltre a queste associazioni, fiorisce oggi anche un vasto numero di pubblicazioni commerciali specializzate che contribuiscono a formare l’opinione pubblica.

3. Successo delle associazioni di imprese di software

Dopo aver descritto, se pur in maniera sintetica la struttura attraverso la quale le aziende operanti nel software in Cina fanno sentire la propria voce è opportuno vedere quali risultati hanno prodotto le associazioni.
Nel 1994 viene introdotta in Cina una radicale riforma del sistema fiscale che comprende tra l’altro l’introduzione di un’imposta simile all’IVA. Questa colpisce tutte le vendite con un’aliquota pari al 17%, ma il calcolo avviene con un meccanismo che, se pur non volutamente, danneggia le società di software11 . Infatti il 17% viene calcolato sulla differenza tra fatturato e costi di produzione, quindi il principio è quello di una imposta sul valore aggiunto, ma la modalità di calcolo prevedeva, secondo l’interpretazione del momento solo i beni materiali acquistati per la produzione. Chi produceva software in casa, come spesso avviene nelle aziende di questo tipo, si trovava gravato di un’imposta del 17% del fatturato, non più quindi un prelievo sul valore aggiunto, ma una vera e propria imposta sulle vendite che, in un clima di guerra dei prezzi tra le imprese produttrici, si traduceva in un aumento di costi e riduzione e/o annullamento degli utili. Su questo argomento uscì nel 1999 un articolo sul China Business Times, dove si dichiarava che l’industria del software cinese non avrebbe potuto reggere un tale aggravio12 . Comprensibile fu la reazione delle associazioni di categoria anche con argomenti molto validi che mettevano in luce l’ostacolo che tale imposta poneva ad un’attività critica per lo sviluppo del Paese. Si faceva notare inoltre come le piccole dimensioni del settore rendessero la nuova imposta assai onerosa per le aziende senza però apportare grandi benefici allo Stato. Si chiedeva quindi a gran voce la riduzione della tassazione. Comprensibile fu l’opposizione del governo a un provvedimento del genere: se si iniziavano a fare distinzioni tra i vari settori di attività si sarebbe creata un giungla di eccezioni a scapito delle entrate dello Stato.
La partita sembrava persa finché, nel 1999, l’Amministrazione finanziaria decise che l’imposta per le aziende nell’area di Pechino sarebbe stata ridotta al 6% e contemporaneamente furono introdotti sgravi fiscali per i dipendenti delle aziende di software: una manovra di politica industriale che indicava chiaramente attenzione e interesse per lo sviluppo del settore. Poco dopo tali agevolazioni furono estese a tutta la Rpc.
Questo episodio, molto simile a quanto avviene nei Paesi a economia di mercato, ha valorizzato le associazioni di categoria che hanno potuto vantare il successo con i propri iscritti, a differenza delle analoghe associazioni operanti nel settore dell’acciaio e dell’elettronica di consumo che per anni hanno chiesto, senza ottenerlo, che fossero fissati dei prezzi minimi sui loro prodotti. A seguito del miglioramento del trattamento fiscale, vi è stato un altro episodio significativo: la BSIA (Beijing Software Industry Association), aderente alla CSIA, ma non finanziata dallo Stato ha elaborato un piano e lo ha proposto al governo per determinare quali aziende e quali prodotti potessero avvalersi del vantaggio fiscale: la classica collaborazione tra autorità governative e associazioni di categoria comunemente praticata nei Paesi a economia di mercato13.

4. Copyright e standard

Vi sono altri due aspetti importanti per le prospettive di sviluppo del settore del software: la protezione della proprietà intellettuale (Diritti di Proprietà Intellettuale, DPI) e gli standard.
Oggi da più parti si levano proteste a causa della violazione dei DPI che avviene spesso in Cina. I DPI sono un tema complesso e delicato, da una parte danno garanzia a chi effettua investimenti in nuove idee di avere un ritorno, dall’altra possono trasformarsi in una “tassa” per i Paesi in via di sviluppo. Da qui l’esigenza di contemperare la protezione degli inventori con le esigenze di sviluppo della collettività. Ricordiamo infatti che la Costituzione americana, articolo 1, sezione 8 recita “garantire il progresso della scienza e delle arti utili assicurando per un periodo di tempo limitato agli autori e agli inventori il diritto esclusivo sui loro scritti e scoperte” si noti l’aggettivo “limitato”.
E vale ancora la pena di ricordare che nel XIX secolo l’editoria americana si fondava sulla pirateria di opere europee, e che gli Stati Uniti, oggi grandi sostenitori dei diritti della proprietà intellettuale, rifiutarono per circa un secolo di sottoscrivere la convenzione di Berna del 1886 con la quale ciascun Paese si impegnava a rispettare i DPI degli altri14 . Anche l’industria editoriale tedesca ha avuto verso la fine del 1800 uno sviluppo basato sulla contraffazione di operare letterarie di altri Paesi.
Oggi, in Cina, la pirateria informatica rappresenta senza dubbio un danno per le aziende straniere, ma strangola quelle locali. Nell’articolo citato sopra (nota 3), si riportano affermazioni di autorità governative a sostegno della protezione della proprietà intellettuale motivandola con il fatto che questo farà migliorare l’intero settore del software e aumentare la domanda.
Nel 2001 il MII ha emesso, insieme ad altri due ministeri, un documento per incoraggiare l’uso di software autentico nell’abito della pubblica amministrazione.
Nell’aprile 2006 una direttiva del MII e della National Copyright Administration richiede che tutti i PC prodotti in Cina debbano essere dotati di sistemi operativi autentici. Nonostante ciò, prodotti ritenuti unanimemente di buona qualità, come l’Internet browser prodotto da SRS e lo word processor prodotto da Kingsoft non riescono a generare un fatturato sufficiente a causa dell’elevato numero di copie illegali in circolazione. Questa situazione scoraggia l’industria nazionale a investire in prodotti di largo consumo nonostante l’evidente vantaggio di una barriera d’ingresso dovuta alla lingua cinese e alla necessità per i prodotti stranieri di adeguarsi.
La diffusione delle copie illegali, come si è detto, scoraggia le aziende locali dall’investire e ciò si riflette sulla struttura del fatturato dell’IT cinese, dove le vendite dell’hardware sono per volumi un multiplo (vi è chi sostiene 10 volte) le vendite del software, mentre nel resto del mondo le aziende spendono più in acquisti di software che di hardware15.
Le aziende cinesi, in pratica, sono le maggiori danneggiate di questa situazione ed hanno fondato un’associazione: la China Software Alliance - CSA - sul modello della Business Software Alliance americana con lo scopo mettere un freno alla pirateria del software e le due entità hanno iniziato a collaborare. Kennedy, nel suo libro The Business of Lobbying in China, riferisce che alla seconda sessione della IX Assemblea del popolo, marzo 1999, su iniziativa di Wang Wenjing per la UFPSoft, Wang Xuan della Founder e Liu Chuanzhi della Legend, è stata approvata una mozione contro la contraffazione16. Qiu Bojun, fondatore della Kingsoft, azienda cinese leader nel software di word processing ha lanciato più volte appelli alle autorità chiedendo misure contro la contraffazione.
La Microsoft, che tra le aziende straniere è forse la più colpita dalla pirateria informatica, ha attivato una serie di iniziative e collaborazioni per arginare il fenomeno.
Vi è infine un altro aspetto fondamentale nello sviluppo del software ed è quello degli standard. Uno dei primi problemi da affrontare per poter raggiungere una diffusione di massa dei PC in Cina fu quello della codificazione di migliaia di caratteri cinesi in sequenze di battute di tasti della tradizionale tastiera  QWERTY in modo da far corrispondere a ciascuna combinazione, in modo univoco, un carattere. Jian Wang17 ci informa che, negli ultimi 20 anni, più di un migliaio di varianti di sistemi di codificazione da carattere cinesi a tastiera QWERTY sono stati proposti e una decina sono ancora in uso. Attualmente vi sono fondamentalmente due sistemi: uno che si basa sulla pronuncia (pinyin) e uno basato sull’analisi dei tratti. Quest’ultimo, pensato ed usato per persone con un particolare addestramento, permette di introdurre 120 caratteri cinesi al minuto.
La possibilità di digitare caratteri cinesi mediante una tastiera tradizionale è stato un elemento chiave per la diffusione dei PC in Cina. Altri studi sono in corso per ottimizzare le tecniche di introduzione di dati mediante altre interfacce (es. tastiera di cellulare).
Ma oltre alle modalità di introduzione del dati vi è il problema dello standard nel campo delle funzionalità che ha dato luogo a un episodio emblematico che mette in luce da un parte la forza del sistema di relazioni in Cina, dall’altra il ruolo delle forze di mercato.
Nel descrivere le associazioni di categoria si è menzionata prima l’Accounting and Business Management sub-Association (ABA), aderente alla CSIA, ma per molti aspetti indipendente. Per alcuni anni Xu  Liangang è stato un alto funzionario della sezione automazione del Ministero delle finanze e anche il responsabile della ABM secondo la prassi di collocare al vertice delle associazioni di categoria esponenti della Pubblica Amministrazione.
Verso la fine degli anni ’80, il Ministero, nell’attuazione di una politica di modernizzazione delle proprie attività si impegnò a eliminare i supporti cartacei e incoraggiò anche le aziende a introdurre la  contabilità elettronica. A questo fine istituì un sistema di valutazione (pingshen zhidu) per approvare i software compatibili. Furono certificati, da parte della divisione contabilità del Ministero delle finanze, prodotti che potevano essere venduti ovunque, altri, certificati dalle autorità provinciali, potevano essere venduti solo nell’ambito della provincia. Le aziende il cui software non fu certificato ritennero di aver subito un’ingiustizia e considerarono Xu e il suo staff come sostenitori, a volte scorretti, della UPSoft che già deteneva il 40% del mercato in questione. Nel 1999 Xu venne rimosso dalla carica e il ministero soppresse la certificazione. Un esempio, questo, di tentativo di indirizzare il mercato mediante l’introduzione di standard, ma anche di capacità di resistenza da parte delle associazioni.
Come in molti altri Paesi, per noi europei la Francia è un esempio, i poteri pubblici, a volte tentano mediante l’introduzione di standard di privilegiare le aziende locali. Periodicamente in Cina vengono emanate direttive in tal senso, come anche vengono inviti a utilizzare Linux al posto dei prodotti Microsoft. Il forte radicamento della Microsoft in Cina fa sì che molto spesso queste direttive siano disattese a causa  del forte coinvolgimento delle aziende cinesi in iniziative originate da Microsoft. Nonostante ciò l’IDC citata dal China daily18 stima la crescita di Linux pari al 27,1%, soprattutto a causa degli acquisti della pubblica amministrazione.
Recentemente è stata varata una riforma del sistema bancario che implica un pesante rifacimento dei sistemi informativi delle aziende di credito. Lu Yu, Direttore generale del China Center of Information Industry Development (CCID), lamenta che i sistemi attualmente in uso siano inadeguati o fungano da freno allo sviluppo delle banche. Il rifacimento dei sistemi informativi delle banche costituisce un mercato ambìto per i produttori di software e in particolare una partita aperta tra Linux e Microsoft. Secondo il CCID il 40% delle banche sta cambiando, o ha piani per rinnovare il proprio sistema informativo e il 42 % vi stanno pensando. Ebbene, la base installata presenta un così forte radicamento in Microsoft che, come riporta il China daily19 attribuendo il giudizio a Lu “i costi elevati sono il maggior fattore che limita il passaggio a Linux nelle banche”. Secondo la CCID il passaggio a Linux costa il 21 % di più della scelta Microsoft.

5. Conclusioni

In tempi relativamente brevi è decollata in Cina un’industria del software che ha delle grandi opportunità generate da:
La dimensione del mercato
La disponibilità di personale con alto livello di istruzione
Una domanda interna sostenuta per un lungo periodo a venire
La sensibilità dei poteri pubblici ai temi dell’innovazione20
Un forte impegno accademico nel settore.
Come fatto notare all’inizio, il fatto che la “28th Conference on Software Engineering” si sia tenuta a maggio 2006 a Shanghai è la prova che molti studiosi si stanno dedicando a questi temi in Cina e che la comunità scientifica internazionale dà credito alla ricerca e all’impegno della Rpc in questo campo. 
I dati complessivi indicano una tendenza a un forte sviluppo dell’intero settore. 
Vi sono alcuni fattori che possono rallentare la crescita, il primo è quello della contraffazione che potrebbe strangolare sul nascere molte piccole aziende. Ma sembra evidente la consapevolezza del problema sia da parte delle autorità sia da parte delle aziende e alcuni passi concreti sono già stati effettuati per affrontare la situazione. Entro la fine del decennio, la Cina dovrebbe qualificarsi come un Paese leader nel campo della produzione di software e questo sarebbe coerente con la tendenza ad allontanarsi dalle produzioni a basso valore aggiunto per dedicarsi a quelle knowledge intensive. 

 

 

MONDO CINESE N. 128, LUGLIO-SETTEMBRE 2006

Note

1 “Something new-Getting serious about innovation” in The Economist, 5.8.2006. 
2 S. Lernon, IDG News Service, 9.2.2006 (www.infoworld.com/article/06/02/09/7521 8).
3 Zhang Di, “High growth expected in software field” in China daily, 2.6.2006, mimeo.. 
4 Ibid. 
5 Le notizie sono tratte da: Zhan Di, “Software Industry gets help”, China daily, 26.6.2006, mimeo.  
6 Ibid.  
7 Cfr. nota 3.
8 R. Meredith, “Long March”, Forbes, 17.2.2003.  
9 “Pirates prey in world’s software”, CBS News, (www.cbsnews.com/stories// 2004/07/07/tech/main628008).
10 Scott. Kennedy, The Business of Lobbying in China, Harvard University Press, Cambridge, Massachussetts, 2005, p. 134. 
11 Ibid., p. 149. 
12 Hu Yingnan e Xiao Shinfeng, “Ruanjiaye bukan shuifu” (L’industria del software non può sopportare il peso fiscale), Zhonhua gongshang shibao (China business times), 26.1.1999. Citato da S. Kennedy, op.cit, vedi nota n.6. 
13 13 Ibid., p. 150. 
14 14 P. Drahos, J. Braithwaite, Information Feudalism, Earthscan, Londra, 2002, p. 32.  
15 15 Pirates prey in world software, op.cit.
16  S. Kennedy, op. cit., p. 153. 
17 Jian Wang “Human-Computer Interaction Research and Practice in China”, International Conference on Software Engineering, Shanghai, 26-28 maggio 2006.
18 18 Cfr. nota 3.
19 “Bank reforms spark software war in China”, China daily, 17.3.2006, mimeo. 
20 Si veda in proposito “Hi-Tech Research and Development Program”, www.863org.cn e anche www.973.gov.cn. 

 

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