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DOCUMENTI

Il confronto politico sotteso alla controversia
sulla "Legge sui diritti reali" 

di LIU Xiaobo

Nel numero di aprile di quest’anno, con la consueta sensibilità politica che la contraddistingue, la rivista Zheng Ming ha dedicato un ampio dossier1 a uno dei temi più discussi recentemente, l’approvazione da parte della passata sessione dell’Assemblea nazionale del popolo della “Legge sui diritti reali”
(Wuquan fa)2. Tra gli articoli pubblicati, particolarmente interessante appare questo qui di seguito tradotto, a firma di Liu Xiaobo, noto intellettuale e saggista, oppositore del regime dopo la repressione di Tian’anmen, attualmente Presidente della Sezione cinese dell’International Pen Club (Duli Zhongwen Bihui)3.

Il contributo di Liu chiarisce in modo efficace lo scontro politico all’interno del partito che fa da sfondo alle controversie e difficoltà legate alla lunga gestazione di questa legge; l’importanza di questa sofferta approvazione è ampiamente sottolineata dall’Autore, che non tace però gli evidenti limiti del testo legislativo. Tra i diversi equivoci relativi a questo provvedimento, permane anche un’ambiguità linguistica, dato che la denominazione stessa della legge è stata resa in inglese, proprio da parte delle fonti ufficiali cinesi, come “Property Law”4, termine poi ripreso dalla stampa occidentale5. In origine, come ben spiega Liu, avrebbe dovuto trattarsi di una vera e propria legge sulla proprietà, ma la dicitura adottata, “diritti reali”, è in effetti frutto di un compromesso politico.

Nel propugnare la necessità che si arrivi a una equiparazione reale tra proprietà pubblica6 e proprietà privata, sebbene quest’ultima sia già tutelata dalla Costituzione7, Liu mette in discussione alcuni dei pilastri del sistema socialista, avocando la “restituzione della proprietà al popolo”, contro l’appropriazione da parte dello Stato. L’Autore auspica inoltre l’avvio di una riforma politica in chiave democratico-costituzionale, la cui base di partenza dovrebbe essere il riconoscimento politico e giuridico dei diritti di proprietà della popolazione.

Liu esclude “rivolte violente” e propone “una persistente opposizione non violenta” per i diritti civili, attraverso cui ottenere la graduale estensione di tali diritti a tutti i cittadini. In questa posizione si può cogliere come una sorta di evoluzione nell’analisi politica di Liu, una trasformazione che lucidamente osserva i radicali mutamenti della società cinese. Secondo quanto affermato precedentemente dall’Autore, nel corso degli anni ’90 gli intellettuali liberali erano “rimasti in silenzio sotto il giogo del potere e dei favoritismi”8: ora forse sembrerebbe che i tempi siano maturi perché questo atteggiamento di resistenza, inaugurato dai zhishi fenzi, possa essere adottato anche da altri e nuovi strati sociali. Il fatto che tale prospettiva sia avanzata da uno studioso profondo conoscitore della realtà contemporanea, ancora residente in Cina popolare, ci induce a ipotizzare l’embrionale formazione se non proprio di una società civile, almeno di una sorta di coscienza civile, che sembra stia maturando tra alcuni strati della popolazione.
M.M.
**********

[Liu Xiaobo, “Wuquan fa zhenglun beihou de zhengzhi jiaoliang”,
Zheng Ming, n. 4 (354), aprile 2007, pp. 45-48.]

In questi ultimi anni, in Cina, si stanno levando molte voci discordanti,espressione sia dell’importante dibattito sulla direzione delle riforme, sia delle insoddisfazioni accumulate da tempo dalla nuova e vecchia sinistra, che hanno trovato sfogo soprattutto nell’opposizione alla “Legge sui diritti reali”. Queste opinioni contrastanti dimostrano come i motivi di crisi e di malcontento sociale accumulatisi in seguito a una politica di riforma monca siano così intensi da rendere ormai del tutto inefficace il monito di Deng Xiaoping che esortava a “non discutere [le questioni sensibili]”. L’acceso confronto sull’orientamento a favore delle privatizzazioni e alla “Legge sui diritti reali”, tesa a salvaguardare i diritti di proprietà, in sostanza non è altro che uno scontro sulla direzione e il percorso delle riforme stesse. Queste controversie non nascono solo in seno alla società, ma anche tra i vertici del Partito comunista cinese.

Dopo una lunga fase di gestazione e una serie incalcolabile di intralci, la Sessione plenaria dell’Assemblea nazionale del popolo (Anp)9 di quest’anno ha finalmente esaminato e approvato con un ampio margine di maggioranza il disegno della “Legge sui diritti reali” (Wuquan fa)10. Trattandosi della prima legge tesa in modo esplicito a salvaguardare il diritto di proprietà privata a partire dall’ascesa al potere del Partito comunista cinese ed essendo stata al centro di controversie sempre più accese, la “Legge sui diritti reali” è diventata l’argomento più importante dibattuto dalla Sessione dell’Anp di quest’anno. La discussione è stata seguita con attenzione dai maggiori organi di informazione internazionali e il confronto non è diminuito di intensità neanche dopo che la legge è stata approvata.

La “Legge sui diritti reali ”: un provvedimento estremamente significativo
La “Legge sui diritti reali” è una legge sul diritto di proprietà formulata sulla base del principio di salvaguardia della proprietà privata introdotto nella Costituzione nel 2004; lo scopo del provvedimento è
di rendere più espliciti e circostanziati il diritto di proprietà e la tutela della proprietà privata da un punto di vista giuridico. Naturalmente,in una realtà politica nella quale il sistema di dittatura del partito unico non ha ancora visto alcun sostanziale cambiamentoistituzionale, la “Legge sui diritti reali” presenta senza dubbio ancora numerose imperfezioni relative alla definizione e alla salvaguardia della proprietà privata. In primo luogo, la legge riafferma il modello di proprietà statale della terra, senza attuare alcuna “restituzione della terra al popolo”: per quanto riguarda la definizione del diritto di proprietà del suolo, i diritti sanciti con chiarezza si limitano ai diritti d’uso del suolo (inclusi il diritto d’uso del suolo occupato dalle abitazioni dei contadini, il diritto d’uso dei campi a destinazione agricola, il diritto d’uso del suolo delle aree urbane edificabili, ecc.); per cui, in un contesto di sfruttamento dei fondi rustici e di radicali trasformazioni delle aree urbane, è tuttora praticamente impossibile evitare varie forme di saccheggio da parte dei potenti burocrati alla testa di imprese statali ai danni degli strati più deboli della popolazione. In secondo luogo, a causa della nettissima opposizione della nuova e vecchia sinistra, il disegno della “Legge sui diritti reali” sottoposto quest’anno all’esame dell’Anp aveva già subito delle modifiche che ribadivano l’incontestabilità del sistema economico di base, rappresentato dal “modello socialista della proprietà pubblica dei mezzi di produzione” e la subordinazione dei diritti di proprietà privata ai diritti di proprietà statale. Così il provvedimento, che avrebbe dovuto chiamarsi “Legge sul diritto di proprietà” (Caichan quanli fa), per stornare eventuali sospetti di natura ideologica, è stato ribattezzato, invero piuttosto goffamente, con il nome di “Legge sui diritti reali”. Terzo, restano ancora lontani da una soluzione i problemi inerenti all’interazione tra le varie normative e cioè il modo in cui, sulla base del principio della tutela della proprietà sancito dalla Costituzione, dovrebbe agire l’insieme delle leggi per la salvaguardia della proprietà costituito dalla “Legge sui diritti reali” e dalle norme del Diritto amministrativo, del Diritto penale e del Diritto economico. Irrisolta è anche la questione di come, nei casi di violazione della proprietà privata, il Diritto amministrativo e il Dir itto penale dovrebbero stabilire concretamente le sanzioni nei confronti dei trasgressori.

Tuttavia, sebbene nella cornice dell’attuale sistema cinese non sia ancora possibile formulare una volta per tutte una “Legge sui diritti di proprietà”, questa “Legge sui diritti reali” è comunque estremamente significativa.

Innanzi tutto, la definizione più circostanziata e precisa di ogni genere di diritto reale ha chiarito gli ambiti dei diritti di proprietà, la cui definizione troppo a lungo era rimasta vaga e confusa. La definizione chiara dei diritti di proprietà renderà più difficoltosa la violazione dei diritti dei cittadini da parte dei funzionari statali e l’appropriazione indebita dei beni della popolazione e delle proprietà dello Stato a opera dei potenti. In secondo luogo, realizzare delle garanzie legali paritetiche nei confronti dei diritti di proprietà statale, della proprietà collettiva e di quella privata garantisce lo status giuridico di tutti i principali soggetti del mercato e rappresenta un cambiamento rispetto all’annosa discriminazione a livello legislativo nei confronti del diritto di proprietà privata e dell’economia legata all’iniziativa privata. Arricchendo di nuovi contenuti l’inventario dei diritti della gente comune, il provvedimento mette in gioco nuove risorse istituzionali nella partita tra diritti dei cittadini e potere dei funzionari statali.

Il terzo e più importante aspetto della questione è rappresentato dal fatto che, per la prima volta nella storia legislativa della Cina dall’ascesa al potere del partito comunista, è stata data una definizione chiara del diritto di proprietà privata sancendone la salvaguardia legale. Questo provvedimento porta dei benefici nella tutela, nel rispetto della legge, dei diritti reali delle persone aventi diritto e fa in modo che la proprietà privata non possa più essere discriminata o messa in dubbio in modo sostanziale; esso favorirà anche la graduale canalizzazione delle riforme economiche adottate nel corso del passaggio all’economia di mercato su binari di sviluppo positivo. Quarto, dopo l’approvazione della “Legge sui diritti reali”, quando inizierà la fase attuativa e si attraverserà una fase di sperimentazione, la popolazione potrà usufruire di questa normativa per proteggere la proprietà individuale e l’applicazione concreta della legge favorirà nei cittadini una presa di coscienza riguardo ai diritti di proprietà e al principio dell’imparzialità della legge, contribuendo a formare comportamenti e abitudini caratterizzate dal rispetto dei diritti individuali e dell’ordinamento legale.

Un’economia di mercato sana deriva da una definizione chiara dei diritti di proprietà e dalla loro tutela legale e la “Legge sui diritti reali” rappresenta un grande progresso in questa direzione. Così, nella storia legislativa del paese a partire dall’inizio delle riforme, nessun altro provvedimento ha avuto una importanza pari a questa legge, ma nessun altro provvedimento ha mai neanche suscitato una controversia così accesa e duratura. Questo progetto di legge ha avuto tredici anni di gestazione ed è stato modificato ben sette volte in cinque anni; l’intero processo è stato accompagnato dagli attacchi della nuova e vecchia sinistra, attacchi che non si sono ancora placati. Eppure i rappresentanti della nuova e vecchia sinistra non sono altro che un esempio dello scollamento tra parole e azioni: essi, cioè, sono socialisti solo nella teor ia, mentre nella pratica propugnano il capitalismo. In altre parole, nella vita concreta i membri della nuova e vecchia sinistra, come la stragrande maggioranza della popolazione, hanno a cuore la proprietà privata e anche i rappresentanti più prestigiosi della sinistra gestiscono i propri capitali come un qualsiasi commerciante. […]

Il richiamo a “non discutere” (bu zhenglun)di Deng Xiaoping è ormai inefficace

Negli ultimi anni, sia il grande dibattito sulla direzione delle riforme suscitato dal “Tornado Lang” (Lang xuanfeng)11, sia le insoddisfazioni accumulate da tempo da parte della nuova e vecchia sinistra, che hanno trovato sfogo aperto nell’opposizione alla “Legge sui diritti reali”, hanno dimostrato che la crisi sociale e i motivi di malcontento popolare, emersi a seguito di una politica di riforma monca, sono già così violenti da rendere completamente inefficace il monito di Deng Xiaoping che esortava a “non discutere [le questioni sensibili]” (bu zhenglun)12. Innanzi tutto, non è possibile sfuggire ai problemi reali: mentre la crisi sociale generatasi dalle riforme monche si aggrava sempre di più facendosi via via più tangibile, i ripetuti tentativi da parte della popolazione di proteggere i propri diritti hanno evidenziato gravi forme di ingiustizia sociale e forti motivi di insoddisfazione tra la gente; si tratta di una realtà che non può assolutamente essere rimossa attraverso una repressione autoritaria. In secondo luogo, non è ormai possibile sedare le lotte per il potere in atto tra gli oligarchi. L’uscita di scena dell’uomo forte Deng Xiaoping ha provocato nei vertici del Pcc la perdita di una figura carismatica capace di dirimere ogni genere di controversia e le lotte per il potere tra gli oligarchi sono arrivate al punto in cui nessuno riesce più a divorare l’altro. In un sistema di dittatura oligarchica, che ha perduto la sua autorità assoluta, è molto difficile tenere a bada le voci discordanti nelle varie correnti del partito. 

Infine, il controllo sull’opinione pubblica è ormai inadeguato: internet offre un canale di informazione e una piattaforma per l’espressione dell’opinione pubblica molto difficile da bloccare. Se il controllo sui mezzi di informazione tradizionali da parte delle autorità è ancora efficiente, quello su internet, benché si intensifichi di giorno in giorno, si dimostra sempre più vano. Grazie alla rete, i lati oscuri e le insoddisfazioni della società sono continuamente sotto gli occhi di tutti, mentre le opinioni politiche delle varie correnti trovano uno spazio di espressione pubblica. Impedire l’espressione pubblica del dissenso tra la gente comune e delle idee divergenti in seno alle istituzioni è diventato ormai estremamente difficile.

  
Il dibattito sulla direzione e la strategia politica delle riforme è già iniziato da tempo. Nel 1999, la “dichiarazione di guerra” dell’accademico Li Shenzhi, intitolata “Cinquant’anni di orrori e calamità”13, ha rappresentato il momento più alto della contestazione del modello di Deng Xiaoping da parte dei liberali; in essa l’anziano studioso criticava le riforme monche e invocava una riforma politica,proclamando con forza: “Le condizioni per una riforma che dia il via alla democratizzazione politica sono già mature!”. Successivamente, il “Documento di diecimila caratteri”, di Deng Liqun14 e altri, che metteva in discussione il “pensiero delle tre rappresentatività”15,è stato il manifesto politico con cui la nuova e vecchia sinistra ha preso posizione contro le riforme; le tesi principali in esso contenute erano la critica al passaggio all’economia di mercato, alle privatizzazioni e alla globalizzazione, in nome della fedeltà al pensiero di Mao Zedong, mentre lo slogan di maggiore richiamo per la gente era: “Le riforme in Cina sono arrivate al punto di massima crisi”. Dopo il XVI Congresso del Pcc16, una delle questioni che hanno coinvolto maggiormente l’opinione pubblica del paese è stata l’acceso dibattito sulle riforme legate ai diritti di proprietà. Gli intellettuali liberali invocavano con forza il completamento delle riforme sui diritti di
proprietà attraverso emendamenti costituzionali, mentre la nuova e vecchia sinistra si opponevano recisamente a che la menzione della tutela della proprietà fosse introdotta nella Costituzione. La lotta che si combatte adesso intorno alla “Legge sui diritti reali” non è altro che la prosecuzione di questa controversia.

Le cause dell ’opposizione alla “Legge sui diritti reali ” da parte della sinistra
I motivi principali sollevati dalla nuova e vecchia sinistra in opposizione alla “Legge sui diritti reali” sono due: primo, questo provvedimento è fondamentalmente espressione del regime e della volontà di dare enfasi a determinati gruppi ed è inteso soprattutto a salvaguardare le ricchezze della classe dei funzionari più influenti e a fornire una veste legale alla polarizzazione della distribuzione della ricchezza e alle ingiustizie sociali. Secondo, questo provvedimento nei fatti protegge il peccato originale del capitalismo e i guadagni ottenuti attraverso la corruzione e in particolare dà statuto legale alle “privatizzazioni” derivanti dall’appropriazione illegittima delle proprietà dello Stato, per cui di conseguenza velocizzerà il processo di dissoluzione della proprietà statale. Sotto questo aspetto, l’opinione più rappresentativa è quella del professore Gong Xiantian, docente della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pechino. Inizialmente, l’Assemblea nazionale del popolo aveva pianificato di esaminare la “Legge sui diritti reali” lo scorso anno, ma una lettera aperta in opposizione al provvedimento pubblicata da Gong Xiantian ha inaspettatamente provocato la sospensione della procedura di esame della legge. Nella sua lettera, egli indicava tre gravi irregolarità nella “Legge sui diritti reali”: primo, essa avrebbe infranto l’articolo della Costituzione che afferma: “La proprietà pubblica socialista è sacra e inviolabile”; secondo, avrebbe favorito solo la tutela dei diritti di proprietà della minoranza ricca e avrebbe condotto a una ulteriore erosione delle proprietà dello Stato; terzo, questa bozza di legge sarebbe stata una deviazione dai principî del socialismo, inaugurando una retromarcia storica.

Il primo sentimento che ho provato nel leggere la lettera aperta di Gong Xiantian è stato un senso di vergogna per la Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pechino: un docente come Gong Xiantian
dovrebbe fare il funzionario presso qualche ufficio ideologico e non il professore in una delle maggiori università cinesi! Sebbene nella sua lettera abbia citato la Costituzione, in tutto il testo non ha mai
discusso la questione da un punto di vista giuridico ma, al contrario, ha solamente dato sfogo al suo odio ideologico, al suo odio verso il passaggio all’economia di mercato e la politica delle privatizzazioni.
Egli afferma addirittura: “Il bastone che un povero usa per picchiare un cane non può avere la stessa salvaguardia della BMW o della villa di un ricco”. Secondo questa logica, solo il bastone del povero può ricevere una speciale protezione, mentre la villa del ricco non deve essere tutelata in alcun modo. Come è possibile che un professore dell’Università di Pechino non arrivi a capire che il criterio della salvaguardia della proprietà non deve essere determinato dalla ricchezza o dalla povertà, ma dalla legalità o illegalità della proprietà stessa? Se la proprietà è ottenuta in ottemperanza alla legge, anche se può sembrare eccessiva, va comunque salvaguardata, mentre una proprietà illecita, per quanto modesta, non va mai protetta, ma al contrario va perseguita dagli organi giudiziari.

 
Quest’anno gli oppositori alla “Legge sui diritti reali” hanno ripetutamente sollevato delle ondate di protesta di grandi proporzioni e 3500 tra alti funzionari in pensione e studiosi hanno sottoscritto una lettera aperta in cui pregavano l’Anp di votare una risoluzione che permettesse di rivedere in modo deciso la privatizzazione delle imprese statali. Sebbene in questa lettera aperta non vi fossero riferimenti espliciti all’opposizione all’esame della “Legge sui diritti reali” in seno all’Assemblea, l’espressione di questa forte tendenza contraria al passaggio all’economia di mercato e alle privatizzazioni ricalca perfettamente i toni della lettera aperta di Gong Xiantian. Han Deqiang17, rappresentante della nuova sinistra, ha criticato la “Legge sui diritti reali”, affermando che essa “legalizzerà i profitti illeciti” e che essa è “troppo liberale, troppo di destra e che significa un ritorno al laissez-faire del capitalismo del XVIII sec.”

Il dibattito politico sulla direzione e il percorso delle riforme
La bizzarria della politica cinese si evince dal fatto che l’anno scorso è bastata la lettera aperta di un professore universitario per sospendere l’esame della “Legge sui diritti reali”, mentre quest’anno una lettera aperta sottoscritta da 3500 persone non è riuscita a evitare che la stessa legge fosse presa in esame e approvata. Questo dimostra che l’accesa controversia riguardante l’orientamento favorevole alle privatizzazioni assunto dalle riforme economiche e la “Legge sui diritti reali” è a tutti gli effetti uno scontro politico sulla direzione e il percorso delle riforme in Cina. Questo scontro non coinvolge solo tutti gli strati della società, ma anche gli alti vertici del partito al loro interno. Il fatto che la “Legge sui diritti reali” sia stata sottoposta all’esame dell’Anp e la sua conseguente approvazione è dipesa da una decisione politica presa in seno alla nomenklatura del partito comunista: i deputati dell’Anp in sostanza non hanno giocato un ruolo di grande peso.

 
Dietro l’avanguardia dell’opposizione alla “Legge sui diritti reali” costituita dal gruppo di Gong Xiantian c’è la corrente conservatrice del partito rappresentata da Li Peng. È stato grazie all’appoggio del gruppo capeggiato da Li Peng che, prima della sessione plenaria dell’Anp e della Conferenza politica consultiva, Gong Xiantian ha potuto far recapitare una lettera al presidente del Comitato permanente dell’Anp, Wu Bangguo, facendo in modo che il disegno di legge fosse bloccato. Quest’anno egli ha scritto numerose altre lettere a Li Peng, il quale, dopo averle opportunamente emendate, le ha trasmesse a Wu Bangguo, che a sua volta le ha recapitate a Hu Jintao e Wen Jiabao. Ma questa volta Hu Jintao e Wen Jiabao non hanno più ritenuto opportuno mostrarsi tanto cerimoniosi e hanno emanato l’ordine di garantire che la “Legge sui diritti reali” fosse approvata con un largo margine. Prima della sessione plenaria dell’Anp e della Conferenza politica consultiva, la corrente di Hu e Wen ha inviato dei gruppi di pressione in ogni parte del paese, con lo scopo di assicurarsi l’appoggio dei rappresentanti dei due organismi: dopo che, all’inizio di marzo, le delegazioni di ogni regione sono giunte a Pechino, poco prima di scendere sul campo di battaglia, Hu e Wen hanno organizzato una mobilitazione in cui chiedevano ai membri del partito di dare un voto favorevole alla “Legge sui diritti reali”.


Contemporaneamente, l’Ufficio propaganda del Comitato centrale del partito ha imposto ai media di non fomentare in alcun modo il dibattito sulla “Legge sui diritti reali” e, per il momento, di limitare lo spazio anche alle voci in appoggio alla legge. Questo è il motivo per cui la nota rivista Caijing (Economia e finanza) è uscita in ritardo.prima della sessione plenaria dell’Anp e della Conferenza politica consultiva, le autorità competenti hanno incontrato Gong Xiantian intimandogli di tenere chiusa la bocca, di cessare di promuovere petizioni, di non concedere interviste agli organi di informazione e di non diffondere i suoi scritti sulla rete. Di conseguenza, nel corso degli incontri dei due organismi, non si è più udita la voce di Gong Xiantian.

Sebbene personalmente non approvi la sinistra, mi oppongo risolutamente al fatto che le autorità abbiano represso il dibattito intorno alla “Legge sui diritti reali”: sia la sinistra che si oppone alla legge, sia i liberali che l’appoggiano hanno il diritto di sostenere le proprie opinioni e di diffonderle pubblicamente. Inoltre, solo una libera discussione permetterà alla verità di emergere e farà in modo che l’intera società possa seguire il corso di questa legge che riguarda i beni di ogni singola famiglia del paese.

Il boicottaggio della “Legge sui diritti reali” da parte della sinistra non nasce solo all’interno dell’ala conservatrice degli alti vertici del partito, ma ancora di più deriva dall’insistenza del regime di Hu e Wen sull’ideologia ortodossa del partito. All’interno del processo delle riforme economiche, in corso da quasi trent’anni, sebbene il passaggio all’economia di mercato e la privatizzazione siano delle realtà ormai indiscutibili, il regime comunista cinese nella teoria è ancora indissolubilmente legato a una concezione ortodossa del socialismo che sottolinea il ruolo centrale dell’economia statale. Ad esempio, nel 2004, quando è stata emendata la Costituzione, basandosi sul principio giuridico che garantisce la parità dei diritti, in molti hanno sollevato la questione che, poiché nella Costituzione si legge “La proprietà pubblica socialista è sacra e inviolabile”, una volta introdotto nella Costituzione il concetto di “tutela della proprietà privata”, si sarebbe dovuto o scrivere “la proprietà privata è sacra e inviolabile”, o cancellare direttamente dal testo il termine “sacro” e scrivere semplicemente “si deve tutelare allo stesso modo la proprietà pubblica socialista e la proprietà privata”. Ma nell’emendare l’articolo della Costituzione, l’espressione “la proprietà pubblica socialista è sacra e inviolabile” è rimasta inalterata, mentre la formula riguardante la proprietà privata aggiunta ex novo recita: “la proprietà privata è inviolabile”, senza l’aggettivo “sacro”. Ciò significa che, nella scala di valori espressa dalla Costituzione, si riafferma la supremazia della proprietà pubblica socialista rispetto alla proprietà privata, tanto che quando durante la trasformazione di un’impresa statale si verifica un qualsiasi danno alla proprietà statale, questo è considerato un reato, mentre il fatto che una attività a monopolio statale, facendo leva sui propri privilegi, riesca a spodestare un capitale di privati cittadini e a rapinare gli stessi delle loro ricchezze è del tutto legittimo e viene interpretato o come un mezzo per rivalutare le proprietà dello Stato o come un modo per mantenerne il valore.

In occasione di questa sessione dell’Assemblea nazionale del popolo, anche Wang Zhaoguo18, nel suo commento al “Progetto di legge sui diritti reali”, ha più volte sottolineato: “La formulazione di una legge sui diritti reali è necessaria per mantenersi fedeli al sistema economico fondamentale del socialismo. Sostenere un sistema di proprietà collettiva come fondamento e lo sviluppo comune di una economia legata a varie forme di proprietà è il sistema economico di base di un paese allo stadio iniziale del socialismo.”

Ed è stata proprio la difficoltà di superare le restrizioni dell’ideologia tradizionale a offrire un supporto “politicamente corretto” alla posizione di strenua opposizione alle privatizzazioni e alle relative leggi assunta dalla nuova e vecchia sinistra, spingendola a osare di parlare apertamente e senza inibizioni e a raccogliere le firme di 3500 persone, con il risultato di creare grandi difficoltà al lavoro di rettifica delle leggi riguardanti il passaggio all’economia di mercato e le privatizzazioni. La voce che si è levata tra i rappresentanti della nuova e vecchia sinistra in opposizione alla “Legge sui diritti reali” è forse anche espressione dell’indignazione popolare, ma il modello di proprietà pubblica e la proprietà dello Stato che essi propugnano nei fatti sono già ridotti a “principî” giusti solo in apparenza.

A livello mondiale, l’esperimento del modello di proprietà pubblica ha già dimostrato come la cosiddetta “proprietà statale” sia in realtà una proprietà che non può essere collocata con chiarezza all’interno
di nessun diritto di proprietà; di conseguenza, generalmente nessuno si sente responsabile della proprietà statale e la produttività che deriva dalla sua gestione è estremamente limitata. Inoltre, si tratta di una proprietà di cui le classi influenti che detengono il potere di uno Stato possono disporre arbitrariamente. In ultima analisi, la proprietà pubblica socialista non è altro che “proprietà del potere” e l’economia statale non è altro che “economia del potere”; il controllo e la distribuzione dei beni sono completamente accentrati nelle mani dei funzionari e le masse hanno solo il dovere di creare ricchezza, ma non hanno il diritto di distribuirla o di goderne i frutti. Il sistema di proprietà pubblica socialista, l’economia pianificata e la proprietà dello Stato non solo portano verso la schiavitù, ma sono anche terreno fertile per l’attecchimento di una classe al potere corrotta e degenere.

Il contrasto tra la giustizia sulla carta e l’ingiustizia della realtà
La comparsa della “Legge sui diritti reali” rappresenta indubbiamente una legittimazione giuridico-istituzionale dei risultati concreti delle trasformazioni economiche e permette al diritto di proprietà privata di liberarsi dell’annosa e pesante duplice discriminazione legata al sistema e alla morale. Ma in un sistema giudiziario controllato dal partito, quando una legge diviene operativa, per i promotori di una riforma permane il gravissimo problema della ricomposizione dell’enorme asimmetria tra la “giustizia sulla carta” e l’“ingiustizia della realtà”. In particolare, la riforma dei diritti di proprietà deve affrontare una serie di peccati originali, di cui la proprietà privata si è macchiata a causa del sistema stesso: l’approvazione della “Legge sui diritti reali” non deve rappresentare un condono dei reati legati all’arricchimento illecito, né interrompere il dibattito sulla direzione delle riforme.

A mio avviso, nella realtà cinese, la riforma dei diritti di proprietà e la tutela del diritto di proprietà privata hanno innanzi tutto due ordini di ragioni, legate alla logica e all’esperienza. In linea di principio, il diritto di proprietà privata può essere definito come l’utero dove la civiltà materiale, spirituale e politica trova il suo nutrimento; è il diritto basilare grazie al quale l’umanità può garantirsi la sussistenza e tendere verso il progresso ed è il fondamento della salvaguardia della libertà e della dignità dell’uomo. Osservando un sistema dal punto di vista del suo livello di civiltà, possiamo affermare che il diritto di proprietà privata è la pietra angolare di un governo costituzionale, è uno scudo protettivo per i diritti umani, è il cuore del mercato, è la garanzia del dinamismo della forza motrice di un paese e di lunghi periodi di pace e ordine. In un sistema dove il diritto di proprietà privata gode di una tutela legale, ogni persona è in grado di arricchirsi grazie alle proprie capacità individuali; la proprietà privata garantisce una autonomia economica ai singoli e stimola quindi nella gente l’iniziativa a produrre benessere, provocando una crescita continua della ricchezza dell’intera società e l’aumento costante delle opportunità di lavoro. La maggior parte della popolazione si trasforma in borghesia benestante e il benessere dei cittadini porta inevitabilmente a un rafforzamento dell’intero paese.


In altre parole, la riforma dei diritti di proprietà non è affatto una mera questione di salvaguardia della proprietà privata, ma coinvolge direttamente la questione dei diritti dei cittadini e della giustizia sociale. La tutela dei diritti e degli interessi dei gruppi più deboli e la realizzazione della giustizia sociale devono essere il principio imprescindibile al centro della riforma dei diritti di proprietà. La salvaguardia del diritto di proprietà privata è il primo passo verso la questione cruciale dell’indebolimento del potere dei funzionari statali. Rinsaldare il sistema dei diritti di proprietà non significa solo riaffermare dei diritti di cui i cittadini dovrebbero già godere, ma è anche un prerequisito istituzionale affinché il governo con il suo potere si ritiri dal mercato, fatto che favorirà la crescita di un mercato sano e di una società di cittadini autonomi.

L’esperienza insegna che la formazione dei sistemi di governo democratico-costituzionali in qualsiasi paese del mondo, senza eccezioni, è stata il risultato di interminabili confronti tra le varie forze politiche e di reciproci compromessi. Per quanto riguarda la Cina, la regolamentazione dei conflitti di interessi attraverso il metodo del compromesso, lasciando ampi spazi di manovra anche ai gruppi più potenti, potrebbe incoraggiare la decisione di questi ultimi di promuovere le riforme politiche, mentre per quanto riguarda gli strati più deboli della popolazione, i diritti ottenuti grazie alle lotte saranno più preziosi del pane dispensato dai funzionari statali. Il metodo migliore che i ceti sociali più deboli possano adottare nel confronto con la classe al potere non è quello della rivolta violenta o della supplica della concessione del favore imperiale, ma bensì tentare di ottenere la graduale estensione dei diritti dei cittadini attraverso una persistente opposizione non violenta, facendo in modo che la lista dei diritti tutelati dalla legge si accresca ininterrottamente.

La riforma del diritto di proprietà rappresenta indirettamente una trasformazione del sistema

Intanto, lo sviluppo della società e la maturazione continua della popolazione porteranno a una riorganizzazione differenziata delle varie forze politiche e di conseguenza muteranno anche gli equilibri
tra le forze: i gruppi più influenti al momento non potranno sempre occupare una posizione di superiorità. Così, di fronte a una realtà in cui sembra impossibile avviare delle riforme politiche, la riforma dei diritti di proprietà può essere considerata indirettamente un elemento di trasformazione del sistema e può costituire un supporto fondamentale alle riforme politiche stesse. Inoltre, la riforma dei diritti di proprietà, che ha portato anche ad effettuare alcuni emendamenti alla Costituzione e la tutela del diritto di proprietà privata, che coinvolge il Codice civile, hanno un significato ancora più profondo nel promuovere dei miglioramenti all’interno del sistema, in quanto contribuiscono ad accelerare il processo che va verso la salvaguardia dei diritti umani, la maturazione sociale della popolazione e la limitazione dei poteri del governo.

Dal punto di vista della giustizia sociale, soltanto l’affermazione della parità dei diritti può garantire il rispetto dei diritti umani, uno sviluppo economico e una stabilità sociale dalle caratteristiche positive. Gli strati sociali più deboli hanno bisogno di diritti paritari garantiti dalla legge: solo grazie ad essi, infatti, anche i comuni cittadini potranno avere le risorse per contrastare i gruppi di potere.

 Una volta che il principio del diritto di proprietà privata è stato introdotto nella Costituzione ed è stata perfezionata la “Legge sui diritti reali”, il problema di come garantire che questi diritti stabiliti per legge trovino attuazione concreta richiederà una conseguente riforma del relativo sistema giudiziario: i diritti sulla carta dovranno ottenere una corrispondente garanzia legale. Per realizzare la trasparenza e l’imparzialità della salvaguardia del diritto di proprietà privata bisogna che vi sia il prerequisito delle corrispondenti riforme del sistema giudiziario e del sistema politico. La restituzione della proprietà al popolo, realizzata con equità, può contribuire alla tutela dei diritti di ciascun individuo, ma a questo deve necessariamente affiancarsi una serie di riforme politiche che prevedano anche la restituzione del governo al popolo, la concessione della libertà di opinione, libere elezioni, ecc., per garantire a tutti i cittadini i diritti stabiliti dalla legge, in modo che infine la giustizia della legge abbia come suo frutto un governo democratico-costituzionale.
Pechino, 18 marzo 2007
(traduzione dal cinese e note a cura di Anna Di Toro)

MONDO CINESE N. 131, APRILE - GIUGNO 2007

Note

1 Lo speciale “Zhengyi ‘Wuquan fa’” (“Il dibattito in merito alla ‘Legge sui diritti reali’”) ha occupato le pp. 37-48 del numero di aprile (n. 4-354, 2007) della rivista Zheng Ming (ZM)..

2“Zhonghua Renmin Gongheguo Wuquan fa” (Legge sui diritti reali della Rpc), Renmin Ribao, internet ed., 19.3.07..
3 <http://www.chinesepen.org/; http://www.pen.org/>.
4 “Full Text: Explanation on China’s draft property law”,
People’s Daily online, 8.3.07.
.5 Irene Wang, “Passing of Property Law to usher in new era”,
South China Morning Post, internet ed., 5.3.07; “New law strengthens China’s private property rights”,
The Guardian, internet ed., 16.3.07..
6 La proprietà pubblica socialista (
gonggong suoyouzhi) si compone di due differenti livelli: la proprietà “di tutto il popolo” (quanmin suoyouzhi), che è la proprietà statale vera e propria e la proprietà “collettiva delle masse lavoratrici” (laodong qunzhong jiti suoyouzhi)..
7 Marina Miranda, “‘Sviluppo scientifico’ ed emendamenti costituzionali - I lavori della 2° Sessione della X Assemblea nazionale del popolo ”,
Mondo Cinese (MC), n. 118, gennaio-marzo 2004, pp. 3-15; Id., “Stabilità e riforme ‘con caratteristiche cinesi’ - la 2° Sessione della IX Assemblea nazionale del popolo”, MC, n. 100, gennaio-aprile 1999, pp. 3-12..
8 Da
Kaifang, n. 5, 2001, pp. 45-48; testo pubblicato in M. Miranda, “Gli intellettuali e la riforma del sistema politico in Cina secondo Liu Xiaobo”, MC, n. 112, luglio-settembre 2002, pp. 43-57.
9 La V Sessione plenaria della X Assemblea nazionale del popolo si è svolta a Pechino dal 5 al 14 marzo 2007..
10 Per una panoramica sulla bozza della “Legge sui diritti reali” nella versione pubblicata nell’agosto 2005, si veda Gabriele Crespi Reghizzi, “Proprietà e diritti rea. li in Cina”,
MC, n. 126, gennaio-marzo 2006, pp. 26-40.
11 Fenomeno che ha preso il suo nome da Lang Xianping (n. 1956), economista nato a Taiwan, formatosi negli USA e attualmente professore di finanza presso l’Università Cinese di Hong Kong. Il cosiddetto “Tornado Lang” è l’acceso dibattito suscitato dall’economista soprattutto attraverso il talkshow da lui condotto, tra il 2004 e il 2006, su un canale televisivo di Shanghai, nel quale ha denunciato la diffusione dell’arricchimento illecito ai danni dei beni dello Stato e ha invocato un passaggio graduale all’economia di mercato..
12 Slogan diffuso da Deng Xiaoping negli anni ’80 che esortava a sospendere ogni genere di discussione pubblica sulle questioni sensibili, in nome della ritrovata unità e stabilità del Paese dopo il decennio della rivoluzione culturale.
13 Su Li Shenzhi (1923-2003) e sul suo accorato saggio, si veda Maria Rita Masci, “Cinquant’anni di Partito al potere: le amare riflessioni di Li Shenzhi, un intellettuale ‘contro’”,
MC, n. 113, ottobre-dicembre 2002, pp. 39-46.
14 Deng Liqun (n. 1915), ex direttore dell’Ufficio Propaganda del Pcc, ideologo della corrente di sinistra, è ritenuto autore o ispiratore di alcuni dei “documenti di diecimila caratteri” non ufficiali (
dixia wanyanshu), diffusi tra il 1995 e il 2001..
15 In base al “pensiero delle tre rappresentatività”, il Pcc rappresenterebbe “le esigenze di sviluppo delle forze produttive più avanzate, gli orientamenti della cultura più avanzata e gli interessi fondamentali della larga maggioranza della popolazione”; si veda M. Miranda, “Il Partito comunista cinese da ‘partito rivoluzionario’ a ‘partito di governo’”,
MC, n. 113, ottobre-dicembre 2002, pp. 15-28..
16 Il XVI Congresso del Pcc si è tenuto a Pechino dall’8 al 15 novembre 2002.
17 Nato nel 1967, Han Deqiang è docente di economia all’Università Aeronautica di Pechino; contrario alla globalizzazione, vede con occhio critico l’ingresso della Cina nel WTO..
18 Nato nel 1941, è Vice presidente del Comitato permanente dell’Anp.

 

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