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Cina
Nascita di un impero

Le origini dell'impero cinese
Saggio di Mario Sabbatini
(professore ordinario di Lingue e letteratura cinese, Università Ca’ Foscari, Venezia
Dal catalogo a cura di Maurizio Scarpari e Lionello Lanciotti, edito da Skira)

Le origini dell’impero cinese

La dinastia Zhou è la terza delle Tre Dinastie ereditarie (Sandai: Xia, Shang e Zhou), collocate dalla tradizione alle origini della storia cinese, dopo otto sovrani mitici, cui erano attribuite le “scoperte” e le “invenzioni” fondamentali della civiltà umana. Una delle datazioni delle Tre Dinastie che ci sono state tramandate pone la fondazione della dinastia Xia nel 2205 a.C., quella della dinastia Shang nel 1751 a.C. e quella della dinastia Zhou nel 1122 a.C. Studi recenti hanno collocato negli anni 1046-1045 a.C. la data d’inizio della dinastia Zhou.

La storicità delle prime due dinastie è stata messa in dubbio nel corso del XIX secolo, ma il ritrovamento di un gran numero di ossa oracolari e, soprattutto, gli scavi intrapresi nel 1928 nei pressi di Anyang, nella provincia dello Henan, hanno eliminato ogni dubbio circa la storicità della dinastia Shang, mentre altri scavi realizzati a partire dalla fine degli anni Cinquanta del XX secolo nelle province dello Henan e dello Shanxi, in aree considerate tradizionalmente come centri Xia, hanno fornito nuovi elementi per riattribuire alla prima dinastia un carattere storico. 

La storicità della dinastia Zhou non è mai stata messa in discussione, ma gli straordinari progressi della ricerca archeologica ci consentono oggi di guardare alle origini della civiltà cinese, e quindi anche alla dinastia Zhou, in una prospettiva diversa da quella che emerge dalla tradizione scritta. È probabile che le prime formazioni statali presentassero un carattere multipolare, e che le loro relazioni non fossero da intendersi in senso verticale, lungo una linea ideale di successione dinastica, ma bensì in senso prevalentemente orizzontale, come rapporti tra entità diverse, in cui momenti di conflitto si sarebbero alternati a fasi di supremazia. 

Intorno alla metà dell’XI secolo a.C. il re Wu dei Zhou, dopo aver stabilito la capitale a Hao, nei pressi dell’odierna città di Xi’an, nello Shaanxi, conquistò Yin, l’ultima capitale degli Shang, situata nelle vicinanze di Anyang. Da allora i Zhou esercitarono un dominio su un territorio molto vasto, che nella fase iniziale comprendeva essenzialmente il bacino del Fiume Giallo e gradualmente andò estendendosi anche al bacino dello Yangzijiang. Va precisato tuttavia che l’organizzazione dello stato sotto i Zhou non presentava affatto le caratteristiche che avrebbe assunto in epoca successiva l’impero cinese. I singoli territori erano amministrati autonomamente dai diversi capiclan, che ricevevano l’investitura dai re Zhou in cambio di tributi e di aiuti militari, ove necessario. La distribuzione e la trasmissione del potere erano legittimati da fattori di ordine rituale, che erano espressione dei culti familiari e si conformavano a un sistema detto zongfa, secondo cui, per ciascuna linea di discendenza, si distinguevano un ramo principale, costituito dai figli maggiori nati dalle mogli principali, e dei rami secondari, formati dagli altri figli; ciascun ramo secondario diveniva a sua volta principale rispetto agli altri rami generatisi al suo interno.

Nel 770 a.C. i Zhou, sotto la pressione dei “barbari” Quanrong, trasferirono la capitale a Luoyi (oggi Luoyang, nella provincia dello Henan). Ebbe inizio da allora il periodo detto dei Zhou Orientali. Gradualmente si andarono affermando nel “mondo cinese” nuovi equilibri tra i territori della pianura centrale, che si consideravano depositari della tradizione (il loro nome Zhongguo o “Stati Centrali” è utilizzato oggi per indicare la Cina), e i territori periferici, sempre più estesi e potenti. Nel VII secolo a.C. uno di questi principati, Qi, situato a oriente, nell’attuale provincia dello Shandong, assunse l’iniziativa per imporre la propria egemonia su tutti i territori  del bacino del Fiume Giallo. Il pretesto era l’esigenza di coordinare le difese contro i “barbari” e soprattutto contro il principato meridionale di Chu, sorto sul medio corso dello Yangzijiang. Nel 651 a.C. al duca Huan di Qi, nel corso di una conferenza di principati, fu riconosciuto ufficialmente il titolo di Egemone (ba): era ormai chiaro che il re Zhou, pur essendo ancora la suprema autorità religiosa, era ormai privo di qualunque potere politico e militare.

Nella seconda metà del VII secolo a.C. fu il principato di Jin, situato nell’odierna provincia dello Shanxi, ad assumere l’egemonia e a porre la corte Zhou sotto il proprio diretto controllo, ma successivamente dovette venire a patti col principato di Chu. Tra la fine del VI e l’inizio del V secolo a.C., i conflitti tra i principati periferici s’andarono rapidamente radicalizzando. Mentre in precedenza essi avevano subito in qualche modo i freni dettati dai rituali, ora il loro obiettivo appariva in modo sempre più esplicito quello dell’annessione territoriale e dell’annientamento degli avversari.

Tale evoluzione era il risultato di profondi mutamenti in ambito economico, sociale e istituzionale. Nei principati erano in atto una serie di riforme che modificavano la distribuzione del potere tra i lignaggi aristocratici, violando le regole stabilite dal sistema zongfa. Attraverso il nuovo strumento della legge i principi limitavano le prerogative nobiliari e affermavano il potere dello Stato. Ciò fu reso possibile anche da quella che è stata definita rivoluzione tecnologica: grazie al grande sviluppo conosciuto dalla metallotecnica, fu possibile realizzare la fusione del ferro oltre un millennio e mezzo prima che in Europa. La produzione in serie di utensili agricoli a buon mercato ebbe effetti dirompenti sull’economia e sulla società dell’epoca, così come la comparsa delle prime armi in acciaio e l’invenzione di un’arma micidiale come la balestra determinarono una vera e propria trasformazione dell’organizzazione e delle tecniche militari, con il progressivo declino dei carri, che in passato avevano costituito il nerbo degli eserciti ed erano diventati un simbolo di status sociale, essendo il loro uso tradizionalmente riservato all’aristocrazia.

In questo periodo di transizione, tra il VI e il V secolo a.C., visse Confucio (551-479 a.C.). Di origini aristocratiche, egli, dopo aver ricoperto alcune cariche nel piccolo principato di Lu (nell’odierna provincia dello Shandong), peregrinò in numerosi territori cinesi, cercando di diffondere la propria dottrina etica, che voleva essere una strenua difesa delle antiche tradizioni contro le degenerazioni del presente. Alla lotta e alla competizione, che caratterizzavano l’atteggiamento dei governanti dell’epoca, Confucio contrapponeva un ordine morale fondato sul rispetto di alcune virtù fondamentali. In quest’ottica l’etica finiva col rappresentare un requisito indispensabile per qualsiasi attività di governo, dal livello familiare a quello dello Stato, e la dimensione aristocratica perdeva la sua connotazione di classe per estendersi all’umanità intera.

La storiografia cinese tradizionale ha attribuito agli anni compresi tra il 453 e il 221 a.C. il nome di periodo degli Stati Combattenti. La scelta della data d’inizio è significativa: in quell’anno il principato di Jin si divise in tre entità statali distinte – Zhao, Wei e Han – con una serie di atti che violavano apertamente i riti e risultavano pertanto illegittimi. Sarebbero dovuti trascorrere ancora cinquanta anni perché la spartizione venisse riconosciuta formalmente dal re Zhou.

In questo periodo la crisi del sistema politico e religioso tradizionale toccò il suo culmine, e gradualmente si crearono le condizioni ideologiche e materiali per la creazione delle nuove istituzioni imperiali. In generale si può notare che il numero delle entità politiche del “mondo cinese” si andò riducendo drasticamente. I principati minori furono annessi uno dopo l’altro dai maggiori stati periferici, e la stessa sorte toccò anche ai gloriosi territori della pianura centrale. I sovrani degli stati maggiori, inoltre, assunsero unilateralmente, uno dopo l’altro, il titolo di “re” (wang), che in passato aveva costituito una prerogativa esclusiva del sovrano Zhou. La dinastia continuò però a sopravvivere, ormai priva di qualsiasi potere, fino a che, nel 256 a.C., il regno di Qin, annettendosi i resti del dominio Zhou, non si assunse il compito di porre termine definitivamente alla finzione.

Nel periodo degli Stati Combattenti furono sette i regni che si contesero il dominio sul mondo cinese. I primi a uscire di scena furono i regni sorti dalla divisione di Jin, impegnati a combattersi principalmente tra di loro; alla fine del IV secolo a.C. le maggiori potenze erano Qin nello Shaanxi, Qi nello Shandong e Chu nell’area del medio Yangzijiang. Nel III secolo a.C. Qin, la cui capitale si trovava nei pressi dell’odierna città di Xi’an, non lontano da Hao, l’antica capitale dei Zhou Occidentali, riuscì a estendere progressivamente il proprio territorio facendo ricorso a ogni mezzo, dall’azione militare alla manovra diplomatica, dall’inganno all’assassinio degli avversari. Quando nel 246 a.C. Ying Zheng salì sul trono di Qin all’età di tredici anni, la superficie dello Stato superava già per estensione quella complessiva di tutti gli altri. Il nuovo sovrano, appena raggiunta la maggiore età, mostrò prontamente grandi capacità organizzative e un eccezionale senso strategico. Sotto la sua guida, Qin riuscì in pochi anni a realizzare l’unificazione dell’impero, dando inizio nel 221 a.C. a una nuova era della storia cinese.

Negli ultimi secoli del periodo Zhou si ebbe in Cina una grande fioritura intellettuale, che accompagnò le profonde trasformazioni economiche e sociali di cui si è fatto cenno. Si può affermare che le radici più profonde della civiltà cinese quale si sarebbe sviluppata nei secoli successivi affondino proprio in questi anni, caratterizzati da una grave incertezza politica, ma aperti al tempo stesso alle soluzioni più originali. Maestri di morale e teorici della politica si recavano da una corte all’altra per prestare la loro opera di consiglieri, e i più famosi tra loro avevano al seguito gruppi di discepoli. I capi di stato li ospitavano e cercavano di sfruttare al massimo il loro insegnamento, nel tentativo di individuare gli strumenti di governo più idonei e le tecniche più efficaci per fiaccare gli avversari. Era un’epoca di ricerca e di esperimenti, perché il vecchio mondo era crollato e si cercava di costruirne uno nuovo.

Tra le correnti di pensiero fiorite in questo periodo, le più importanti erano quella dei letterati o ru, che si rifaceva all’insegnamento di Confucio, quella taoista e quella legista. La prima privilegiava l’etica e considerava il perfezionamento interiore una condizione irrinunciabile per il perfezionamento della società; per Mencio, vissuto tra il IV e il III secolo a.C., in ogni uomo era presente un’inclinazione naturale verso il bene, che doveva essere coltivata, mentre per Xunzi, vissuto nel III secolo a.C., gli uomini erano inclini a soddisfare i propri desideri individuali, e solo l’educazione era in grado di controllare e superare le loro tendenze egoistiche.

Xunzi ebbe come allievi due importanti esponenti della corrente legista: Han Feizi, che ne fu il principale teorico e Li Si, che poté metterne in pratica i precetti come primo ministro di Qin. Il legismo condivideva il pessimismo di Xunzi sulla natura umana, ma, invece di tentare di superarne i difetti con l’educazione, intendeva servirsene per rafforzare lo Stato ed esaltare il sovrano. Attraverso lo strumento delle pene e delle ricompense e mediante un’applicazione spregiudicata della “tattica”, il sovrano avrebbe potuto utilizzare a proprio vantaggio la vanità e le debolezze umane, lasciando sempre i sudditi all’oscuro delle proprie reali intenzioni.

I taoisti dedicarono solo un’attenzione marginale alle questioni politico-sociali, mentre erano interessati principalmente alla salvezza individuale; propugnavano il ritorno alla natura e il superamento di tutti i vincoli imposti all’uomo dalla società e dallo Stato, e per questo ritenevano che il governo sarebbe dovuto intervenire il meno possibile nella vita degli uomini e, allo scopo di impedire ogni competizione, avrebbe dovuto evitare di innalzare le persone più valide.

Nel 221 a.C. il sovrano del regno di Qin, Ying Zheng, si proclamò Primo Augusto Imperatore (Qin Shi Huangdi). Per realizzare l’unificazione dell’impero dopo le vittoriose campagne militari, egli adottò una serie di misure radicali, suggerite dal suo primo ministro, il legista Li Si: abolizione dei vecchi stati, esautorazione dell’antica aristocrazia ereditaria, suddivisione dell’intero territorio in governatorati e distretti, retti da funzionari di nomina imperiale, unificazione della scrittura e delle misure di peso, capacità e lunghezza, imposizione di un unico scartamento assiale per i carri. Inoltre furono abbattute tutte le fortificazioni interne e venne costruita ai confini settentrionali la prima Grande Muraglia, collegando le fortificazioni già erette dagli Stati del Nord per difendersi dai nomadi delle steppe.

Il nuovo imperatore volle anche rispondere in modo spietato a quei letterati che condannavano il presente richiamandosi all’antica tradizione, ordinando il primo grande “rogo di libri” della storia cinese: tutti gli antichi testi in possesso di privati, fatta eccezione per quelli di argomento scientifico e tecnico, furono distrutti. In ciò egli si conformava pienamente alla concezione evoluzionistica dei legisti, secondo cui ogni epoca aveva una propria specificità ed era errato pensare di poter risolvere i suoi problemi guardando al passato.

La dinastia Qin non sopravvisse alla morte del Primo Augusto Imperatore, avvenuta nel 210 a.C. Una serie di rivolte scoppiate a partire dal 209 a.C. dilagarono in tutto l’impero. Il centro dell’insurrezione si trovava nel territorio del vecchio regno di Chu, e inizialmente la guida venne assunta da un aristocratico locale. Poteva apparire che fossero riapparsi i fantasmi del passato, che il Primo Imperatore di Qin aveva cercato di abbattere. Ma non fu così, perché alla fine tra i ribelli si impose Liu Bang, un uomo nuovo, di umili origini, che, pur essendo originario di Chu, non aveva nessuna intenzione di restaurare gli antichi regni pre-imperiali.

Liu Bang assunse lo stesso titolo coniato dal sovrano di Qin (Huangdi o Augusto Imperatore) e fondò la nuova dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.), che avrebbe regnato per oltre quattrocento anni, lasciando un’impronta indelebile nella storia cinese. La capitale venne riportata nell’area dell’odierna Xi’an, nello Shaanxi, e le fu attribuito il nome di Chang’an (“lunga pace”). Inizialmente, il nuovo imperatore assegnò dei territori ai propri familiari e compagni d’armi, conferendo loro il titolo di “re” o wang, che in precedenza era stato utilizzato dai re Zhou e dai sovrani degli stati pre-imperiali, ma la centralizzazione del potere introdotta dal Primo Augusto Imperatore di Qin non venne abbandonata: fu mantenuto in parte il sistema amministrativo dei governatorati e dei distretti, sottoposti al controllo diretto del governo centrale, e anche nei confronti della nuova aristocrazia fu attuata una politica di contenimento, che sarebbe riuscita a sventare qualsiasi velleità centrifuga o indipendentista.

Il nuovo governo assunse inizialmente un indirizzo moderato, mirante a consolidare le basi finanziarie dell’impero e ad alleviare il peso insostenibile che sotto il Primo Augusto Imperatore dei Qin aveva gravato sulla popolazione, e principalmente sui contadini. Con l’avvento al trono dell’imperatore Wu, nel 140 a.C., l’idea imperiale fu rilanciata in tutti i campi, con una grandiosità che in qualche misura ricordava il Primo Augusto Imperatore dei Qin. L’imperatore Wu si guardò bene però dal restaurare il legismo, anche se alcuni elementi di questa dottrina furono mantenuti perché funzionali all’organizzazione dello Stato; egli esaltò invece il confucianesimo come dottrina ufficiale dell’impero, e ne fece il cardine su cui fondare la sua unità ideologica e culturale. Da allora i letterati confuciani, che erano stati perseguitati dal Primo Augusto Imperatore dei Qin, si trasformarono gradualmente in una classe di burocrati, vera e propria ossatura dell’amministrazione imperiale. Per comprendere l’importanza dell’opera realizzata in campo culturale dall’imperatore Wu, basterà ricordare che fu soprattutto nei cinquant’anni del suo regno che venne costruita l’immagine dell’antichità cinese che sarebbe stata tramandata fino a noi.

In questo periodo fu avviata inoltre una politica espansionistica nella Cina meridionale, che fino ad allora era stata toccata solo marginalmente dalla civiltà sviluppatasi nel bacino del Fiume Giallo, e verso nord, oltre la Grande Muraglia, inizialmente per bloccare le scorrerie dei nomadi Xiongnu e successivamente per stabilire un controllo sui traffici commerciali con l’Occidente.

Intervenendo in Asia Centrale, gli Han aprirono quel ponte tra Oriente e Occidente noto col nome di Via della Seta, lungo la quale sarebbero avvenuti scambi culturali decisivi per lo sviluppo della civiltà cinese e di tutte le civiltà dell’Asia Occidentale e dell’Europa. 

 

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