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HAMBURGERS E CAFFÈ

All’inizio dell’avventura commerciale di McDonald’s a Pechino dieci anni or sono, nutrivo parecchi dubbi sulle reali possibilità di affermazione della burger-culture nel ‘Regno di Mezzo’. La Cina è un paese poco propenso a lasciarsi persuadere da tentazioni culinarie estranee all’immensa, deliziosa, millenaria tradizione gastronomica locale, per altro, non nuova al concetto di ristorazione veloce, infarcita com’è di una sterminata serie di prelibati spuntini assai economici reperibili a ogni angolo di strada.

Tuttavia, in dieci anni di sfrenata attività commerciale, il buon vecchio ‘Mac’ si è ritagliato una sostanziosa porzione di mercato mordi-e-fuggi, consolidando in maniera imponente la sua presenza nel territorio e sbaragliando nel contempo la pur pugnace concorrenza di altre famose catene americane come il Kentucky Fried Chicken al punto che, nella sola Pechino, operano attualmente più di 60 ristoranti McDonald’s.

Per raggiungere tali risultati, McDonald’s ha adottato una strategia di marketing già sperimentata con successo in altre nazioni: puntare con decisione sulle giovani generazioni, con riguardo particolare verso quelle in tenera età.

Non è quindi casuale notare che la clientela che affolla i McDonald’s di Pechino sia in gran parte composta da studenti in età adolescenziale e bambini puntualmente accompagnati da genitori pronti a soddisfare con rassegnata acquiescenza la capricciosa brama di Happy Meal con giochini annessi dei propri marmocchi. Per un numero non trascurabile di studenti medi pechinesi, McDonald’s funge spesso da sala studio. Sgranocchiando patate fritte tra un’equazione e un capitolo di storia, i ragazzi trascorrono parte del pomeriggio intorno ai tavolini in plastica gialla, iniziando a svolgere i compiti assegnatigli per il giorno seguente. Tutto ciò avviene nonostante i pressi di un pasto da McDonald’s siano da considerarsi non proprio economici per il consumatore medio cinese, soprattutto se minorenne. Un Happy Meal inclusivo di Big Mac, Coca e patate fritte costa 16,80 yuan (2,17 €). Tre baozi (ravioloni cotti al vapore ripieni di carne e verdura) e una Coca in lattina acquistati a un banchetto per strada costano tre volte meno.

L’innegabile innalzamento del livello di vita medio e del potere d’acquisto ha necessariamente contribuito a modificare le abitudini e, soprattutto, le ambizioni consumistiche di vasti strati della popolazione urbana cinese, che ha raggiunto livelli di benessere impensabili fino a quindici anni fa. Gran parte del successo registrato da catene alimentari americane come McDonald’s, Pizza Hut e, più recentemente, Starbucks Coffee, è da addurre a questo tipo di considerazione. Tale fenomeno spiega quindi la tendenza del ceto medio urbano cinese ad assimilare e apprezzare le nuove opportunità di consumo offerte  a piè sospinto dal mercato, anche quando esse possano in un primo tempo apparire distanti da tradizioni e usanze radicate e apparentemente incrollabili.

Il caso Starbucks ne rappresenta un ulteriore esempio.
Il gigante delle caffetterie di Seattle ha di fatto introdotto nel mercato locale un modello di ‘cultura del Caffè’ (inteso come luogo di ritrovo sociale oltre che di mero consumo) assolutamente nuovo per i cinesi, per tradizione inclini a trattenere le proprie relazioni sociali nei ristoranti, chiacchierando tra un pollo Gong Bao e tazze di tè piuttosto che tra una brioche e un cappuccino dai prezzi proibitivi. Eppure, a poco più di tre anni dall’apertura del primo Starbucks a Pechino, in città ce ne sono ora più di venti, di cui uno situato all’interno della Città Proibita. Ma c’è di più.
Gli Starbucks della capitale si distinguono nell’attirare differenti tipologie di clientela: quello al China World Trade Center è frequentato dai colletti bianchi; quello nel centro commerciale Full Link attira artisti, scrittori e registi; quello al Pacific Place pullula di ‘techies’ provenienti dagli uffici Nokia e IBM situati nei piani superiori dell’edificio, mentre lo Starbucks di Dong Dan si riempie di semplici passanti che optano per un caffelatte durante una pausa tra una compera e l’altra.
Spostandoci da Pechino all’elegante Shanghai la storia non cambia. Anche qui il successo di Starbucks è stato talmente fulminante che nel giro di pochi mesi sono apparse in città le immancabili imitazioni ‘made in China’. ‘Discovery Coffee’ e soprattutto ‘U-Like Coffee’ hanno plagiato la formula Starbucks fin nei minimi dettagli: dal logo, all’arredamento, ai tipi di caffè e dolci messi a disposizione della clientela.

« Se chiedi a un cinese perché scelga questo tipo di caffè invece di un altro non ti saprà dare una risposta – afferma Xiao Jiang, una giovane pechinese impiegata presso un quotidiano della capitale – personalmente, non so che differenza passi tra una miscela italiana e una brasiliana. Noi scegliamo di consumare il caffè non per la bevanda in sé, ma per il fatto di consumarlo in un posto come questo, per l’atmosfera, la musica e lo stile. Tutto qui. »

Mauro Marescialli

(Per gentile concessione di MONDO CINESE)


Frammenti d'Oriente, dicembre 2002

 

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