tuttocina
Google Web https://www.tuttocina.it

 

INDICE>FRAMMENTI D'ORIENTE>L'ORCHIDEA CHE DIVENNE IMPERATRICE

L'orchidea che divenne imperatrice

a cura di Mauro Pascalis

Quando la Cina si considerava ancora il Paese di Mezzo (Zhongguo) e il Mandato Celeste era nelle mani dell’imperatore Daoguang della dinastia Qing, da una famiglia manciù non ricca, il cui capofamiglia era un funzionario di mediocri capacità, nacque Lan’er (Piccola Orchidea).

Era il decimo giorno della decima luna (il 29 novembre) del 1835.

Data fatidica poiché, se da una parte Lan’er iniziava un cammino che l’avrebbe portata a raggiungere il gradino più alto del potere divenendo Cixi (Materna e Propizia), l’Imperatrice Madre, dall’altra per il suo paese era l’inizio di un rapido e inesorabile declino.

 Alta soltanto un metro e cinquanta, anche da ragazza Cixi (d’ora in poi la chiameremo col nome con cui è passata alla storia) aveva dei lineamenti alquanto marcati e irregolari che venivano però addolciti da un’espressione vivace e da un sorriso che, improvvisamente, le illuminava il viso. I suoi capelli erano serici, folti e scurissimi e, naturalmente, lunghissimi. Aveva mani delicate e di forma armoniosa, le unghie del mignolo e dell’anulare erano lunghe 10 cm, come si usava fra le persone che vivevano in ozio, per una sorta di snobismo. Queste unghie lunghissime erano protette da copriunghie di giada e filigrana.

Come tutte le ragazze manciù, Cixi era brillante e appariscente: si copriva il viso con una cipria che le conferiva un pallore di morte; le guance erano chiazzate di un vivace color vermiglio, il labbro inferiore, dipinto di rosso, a forma di lacrima, sembrava una ciliegia. A volte si truccava anche le palpebre con l’ombretto e evidenziava il contorno degli occhi con il kohl.

Per Cixi, suo padre aveva importanza solo perché era Manciù e Portabandiera. Infatti, dopo lo statuto del 1661, proprio fra le ragazze manciù venivano scelte le dame di corte della Città Proibita e, cosa ben più importante, le concubine dell’Imperatore.
Nel 1851, l’Imperatore Daoguang morì e gli succedette il figlio Xianfeng.
Alcuni mesi più tardi, gli inviati dell’imperatore, preceduti da araldi e su carri giallo imperiale, si fermarono davanti alla casa della famiglia di Cixi.
A lei, che aveva circa 15 anni, a sua sorella e ad altre 58 ragazze venne ordinato di presentarsi a Corte dove si sarebbe scelto l’harem di Xianfeng per il giorno in cui, due anni e tre mesi più tardi, sarebbe finito il lutto per la morte del padre.
La scelta avveniva in base al rango, al senso della dignità, al lignaggio manciù e al giudizio dell’Imperatrice Madre e non secondo i sentimenti dell’Imperatore che non presenziava nemmeno.

Il 14 giugno 1853, appena terminato il periodo di lutto per la morte di Daoguang, Cixi venne nominata guiren, persona onorevole, ossia concubina di 5° rango, il più basso. Le venne dato il nome concubina Yi.
Sua sorella venne respinta e più tardi sposò il principe Qun.

Nell’agosto di tre anni dopo il suo arrivo nella Città Proibita, la perseveranza di Cixi fu ricompensata: l’Imperatore la elevò di un rango nominandola concubina Pin.
La motivazione ufficiale fu la commemorazione della morte della matrigna dell’Imperatore, la vedova di Daoguang. Comunque quella data cadeva anche nove mesi prima della nascita del figlio di Cixi. Infatti il 27 aprile 1856 venne alla luce un maschio, Tongzhi, il solo figlio maschio dell’Imperatore Xianfeng. Ciò le valse il titolo di Guifei, concubina di secondo rango.

Gli anni che andarono dal 1851 al 1862 videro Cixi dedicarsi diligentemente allo studio dei classici che pur non permeando il suo spirito di raffinatezza ed eleganza, le lasciò quel tanto di cultura e di sapienza da aiutarla nel perseguire i suoi fini durante i suoi oltre 40 anni di regno: la sua abilità nel far uso di luoghi comuni confuciani e di cliché storici era tale che spesso riusciva a confondere i suoi ministri e, sempre, a far arrossire qualche poveretto superandolo nei cerimoniali richiesti dal li.

Il 22 agosto 1861, poche ore dopo aver nominato Tongzhi suo erede legittimo, Xianfeng moriva. E nel 1862, dopo intrighi e complotti di corte, Cixi riuscì a farsi proclamare Imperatrice reggente. Le vennero conferiti i suoi primi titoli onorifici "Materna e Propizia" , Cixi, appunto. Sarebbero stati i primi di una lunga lista e le avrebbero reso 100.000 tael ciascuno (circa 30.000 sterline) all’anno.

Nel 1876, dopo la morte - causata da una salute cagionevole e da una condotta dissoluta - del figlio, Cixi fece proclamare imperatore Guanxu, suo nipote, di quattro anni, per conservare tra le sue mani il potere.

Durante gli anni di governo e anche durante quelli del ritiro, l’Imperatrice iniziava la sua giornata molto presto. Dormiva in modo irregolare, alzandosi alle due del mattino per passeggiare tra le rupi bizzarre del giardino roccioso che si trovava dietro ai suoi appartamenti nella Città proibita, o nei giardini del Palazzo d’Estate, in mezzi a salici piangenti, alberi di ginepro e di cassia e boschetti di bambù.
Dormiva con un pigiama di seta su di un Kang (un letto di mattoni in uso nel nord della Cina sotto il quale d’inverno veniva acceso il fuoco per rendere più confortevole il sonno) lungo più di tre metri. I cuscini, pieni di petali di rosa o di foglie di tè, erano bucherellati affinché ne uscisse un piacevole aroma che si diffondeva per la stanza; il copriletto era imbottito di piume e i drapeggi del letto erano di crespo bianco e di satin color albicocca, recanti disegni di fenici e simboli propizi e tra le loro pieghe venivano nascosti sacchettini di aromi.
Accanto al letto c’erano un ritratto della regina Vittoria e più di dodici orologi, alcuni dei quali di John Cox di Londra, che ticchettavano. Una cameriera giaceva su un letto accanto al suo nella stessa stanza e sei eunuchi montavano la guardia davanti alla porta.
Appena sveglia, arrivavano le cameriere con bacinelle di bronzo piene di acqua calda e asciugamani per lavare il viso e le mani. Quindi faceva una colazione frugale che consisteva in una tazza di latte caldo addolcito con miele e mandorle e un po’ di porridge di radici di loto.

Anche se alle vedove erano proibito far uso di cosmetici, Cixi lo faceva adducendo che nella sua posizione vi era costretta. Dapprima si spruzzava sul viso una mistura di sua invenzione a base di glicerina e di caprifoglio, e poi, dal momento che la sua carnagione scura non piaceva ai cinesi, si metteva un velo di cipria rosata e si dipingeva con il rossetto il labbro inferiore e le guance; quindi si profumava con essenza di muschio, probabilmente perché in Cina non esistevano lavanderie a secco (gli stranieri si lamentavano che i cinesi, anche quelli di alto lignaggio, puzzavano di sporco); infine si rinfrescava l’alito con noci di betel che teneva sempre accanto a sé in borsetta, insieme a uno specchietto tempestato di pietre preziose e a un ventaglio.
Poiché era scrupolosamente attenta ai particolari, quando i suoi capelli iniziarono a incanutire, li tinse. Ma la tintura che usava tingeva anche la cute, e fu pertanto molto felice quando le venne portata da Parigi una tintura che lasciava intatta la pelle. La sua toilette durava almeno un’ora e si cambiava anche più volte al giorno.
Cixi era molto meticolosa e schizzinosa: dopo aver accarezzato uno dei suoi prediletti pechinesi si puliva le mani con un fazzoletto e prima di mangiare si appuntava al petto un tovagliolo con una spilla d’oro.
Tutte queste minuziose vanità trovavano fondamento negli insegnamenti di Confucio: trascurare il corpo, che era un dono dei genitori, significava mancare loro di rispetto e dimostrare scarso affetto nei loro confronti.
Il pranzo e la cena dell’Imperatrice consistevano sempre negli stessi piatti, molte centinaia, tra i quali sceglieva i suoi preferiti. E poiché mangiava sempre le stesse cose i cuochi avevano preso ad intascare gran parte del denaro che veniva dato loro per la spesa e poi servivano tutti i giorni gli stessi piatti che l’imperatrice non assaggiava nemmeno, sino a quando andavano a male e si riempivano di vermi.
Cixi sedeva a tavola sola, con tutte le vivande davanti a sé. A volte per dimostrare la sua simpatia nei confronti di una sua dama, offriva a costei un boccone prelibato ma che non veniva scelto dai suoi piatti preferiti. Quindi il cibo che la dama doveva ingerire era verosimilmente stantìo di una decina di giorni e Cixi molto probabilmente lo sapeva perfettamente.
L’imperatrice era una ghiottona estremamente vorace. Benché le province meridionali inviassero a Pechino, come tassa, enormi quantità di riso, Cixi mangiava solo pane, confezionato nelle forme più svariate (draghi, fiori, farfalle), fritto o cotto al vapore con zucchero, pepe e sale. Beveva molto raramente il vino cinese, il samshu, e insaporiva il suo tè con petali di fiori, caprifoglio, rosa o gelsomino; faceva infusi con una tisana ricavata da un crisantemo coltivato nei suoi giardini. Inventava marmellate e ordinava ai cuochi di immergere foglie di loto e di magnolia nel burro e poi di friggerle; dalle province le venne inviato uno speciale fungo chiamato "testa di scimmia" che si gonfiava nell’acqua; prediligeva i cibi delicati e prelibati quali il cocomero di mare (che in realtà era una lumaca di mare), le pinne di pescecane, le labbra di pesce, le lingue d’anatra cotte al vapore - arrivava a mangiarne anche trenta alla volta -; adorava la carne di maiale, specialmente la cotenna tagliata in pezzetti piccolissimi e fritta, un piatto che si chiamava "campanelli tintinnanti". Alla fine del pranzo, si ritirava per riposare circa un’ora mentre le dame di compagnia si sedevano a tavole, finalmente sole. Ma prima di sera venivano nuovamente chiamate per occuparsi dell’Imperatrice.
Ogni anno, nel giorno del suo compleanno, in onore di tutte le creature viventi e come gesto simboleggiante la sua benevolenza, Cixi riscattava diecimila uccelli in gabbia, gli animali domestici preferiti dai cinesi, lasciandoli liberi nei giardini del Palazzo d’Estate.

Durante gli anni della sua seconda reggenza i disastri si succedettero senza tregua: nel 1885 ci fu la guerra franco-cinese e tra il 1894 e il 1895 quella cino-giapponese.
Il giovane Tongzhi tentò nel 1898 di sottrarre se stesso e il paese dal giogo della madre adottiva Cixi cercando di regnare.
Fece un appello al popolo: "Le nazioni occidentali accerchiano il nostro impero. Se non ci decidiamo ad adottare i loro metodi, la nostra rovina è ineluttabile".
Era l’ultima possibilità della dinastia. Il giovane imperatore la tentò e la perdette in cento giorni, tra l’11 giugno e il 20 settembre 1898. Ispirandosi a Pietro il Grande e al Meiji fece delle autentiche riforme innovatrici: invio di studenti all’estero, bilanci resi pubblici, soppressione dei saggi letterari nei concorsi, fondazione di un’università a Pechino, creazione del ministero dell’Agricultura, delle Tecniche, del Commercio, delle Ferrovie, leggi relative alle invenzioni e alle iniziative commerciali, riunioni dei tribunali, distribuzione ai contadini di terreni militari non utilizzati, incoraggiamento al giornalismo politico, diritto, per qualsiasi suddito dell’impero, di mandare una richiesta all’imperatore...

La corte dell’imperatrice reggente si scandalizzò per tutto ciò, definito diabolico. Cixi lo fece interdire e rinchiudere fino alla sua morte in un padiglione, in mezzo al lago dell’attuale Palazzo d’Estate; la stanza che gli era stata concessa era chiamata la "Camera vuota". Fece arrestare e giustiziare i riformisti.

L’Imperatrice regnò da sola, da perfetta doppiogiochista fece leva ora sul nazionalismo cinese, sfruttando la xenofobia, ora sulla collaborazione con l’Occidente. Tutto e solo per salvare la dinastia mancese.

Morì il 15 novembre 1908 all’ora della Capra (1 - 3 pomeridiane), il giorno seguente, ironia della sorte, la morte dell’Imperatore Tongzhi. Il suo funerale costò al paese un milione e mezzo di tael, quello dell’Imperatore un terzo. La fortuna della defunta imperatrice venne stimata intorno a 22 milioni di sterline in verghe d’oro e d’argento.

La dinastia Qing sopravvisse a Cixi solo tre anni: PuYi , "l’ultimo imperatore", abdicò nel 1912 rimanendo come "ospite di rango" nella Città Proibità fino al 1924 per poi terminare i suoi giorni, dopo l’inevitabile rieducazione, come giardiniere di quello che fu il suo palazzo.

 La storia di Cixi termina definitivamente nel luglio del 1928, a vent’anni dalla sua morte. Alcuni banditi fecero saltare con la dinamite il sontuoso mausoleo nella campagna a est di Pechino e penetrarono nelle cripte per svuotare le bare degli imperatori di tutti i tesori che contenevano; fecero a pezzi Qianlong, le sue mogli e concubine. Cixi venne denudata fino alla cintola, e gettata da parte, con il viso voltato all’ingiù, i pantaloni di seta ornati di nastri mezzo abbassati.

Sarà poi la Commissione d’inchiesta a ridare dignità ai resti dell’Imperatrice Cixi.


Frammenti d'Oriente, febbraio 1998

 

CENTRORIENTE - P. IVA 07908170017
Copyright Centroriente 1999-2018