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  La rivolta dei Boxer

Il nome dei Boxer è comparso in occidente alla fine del 1899. Veniva usato per designare i membri di una società segreta, nata dalla famosa società del Loto bianco, che reclutava milizie dalle campagne, nel nordest della Cina, principalmente nella regione del Hebei-Shandong. Veniva anche chiamata Società per la Giustizia e l'Armonia, ma esistono anche altre designazioni o traduzioni, come: Il Pugno della Giustizia e della Concordia... la Società del Pugilato giusto e armonioso, o ancora le Milizie della Giustizia e della Concordia. Tra di loro si chiamavano Yi hetuan. Rifiutavano di usare le armi da fuoco, preferendo le armi bianche, e si dedicavano a un'arte marziale fondata su esercizi di scherma e di lotta tradizionale, una boxe rituale, sacra, da cui derivava il loro nome.

Sottoposti all'autorità di giovani medium o maghi, si allenavano e, ingenuamente, si erano lasciati convincere che la loro boxe e i loro amuleti li avessero resi invincibili e refrattari alle pallottole. La grande maggioranza veniva reclutata tra i contadini o i battellieri: da quando si era diffusa la navigazione a vapore, migliaia di piccoli proprietari di giunche erano stati rovinati e stavano vivendo un dramma. Avevano inoltre iniziato a odiare il potere mancese, che accusavano di essere in combutta con gli occidentali, quei "demoni stranieri", o di sottomettersi a loro per debolezza, fatto che ai loro occhi risultava altrettanto offensivo.
I più deleteri, secondo loro, erano i missionari che convertivano al cristianesimo alcuni di loro, ma provavano un odio ancora maggiore nei confronti dei rinnegati fratelli cinesi.

Solidamente stabiliti nel nordest della Cina, come abbiamo già detto, fino dal 1899 i Boxer iniziarono a prendersela con le missioni straniere. Nel giugno 1900 le potenze occidentali reagirono organizzando a Tianjin una spedizione di quasi 2.000 uomini. Comandata dall'ammiraglio inglese Seymour, partì in treno il 10 giugno, diretta a Pechino; la spedizione avrebbe dovuto garantire la sicurezza dei residenti stranieri in quella città.

Il 13 giugno, alcuni contingenti di Boxer entrarono a Pechino e si unirono ai gruppi che si erano già formati nella città. La sera stessa, in seguito a delle provocazioni dei soldati americani, incendiarono alcune chiese e massacrarono dei cristiani. Pechino diventa il centro del movimento. Ma i Boxer erano padroni anche di Tianjin; irruppero Nello Henan, nello Shanxi, in Mongolia Interna, nel Nord-Est.

Terrificata dall’ampiezza del movimento, l’imperatrice Cixi supplicò il corpo diplomatico di fermare la marcia di Seymour, assicurando che le truppe imperiali avrebbero protetto le legazioni contro i Boxer; d’altro lato, inviò alcuni dignitari fedeli perché convincessero i Boxer a disperdersi tranquillamente. Il 16 giugno gli ammiragli europei, che da due giorni avevano perso i contatti con Seymour a causa dell’interruzione della linea telegrafica e temevano che i dispositivi militari cinesi a Dagu potessero impedire loro di inviargli soccorsi, ingiunsero ai comandanti dei forti di Dagu di arrendersi nelle ventiquattro ore successive. L’indomani gli alleati attaccavano i forti e li conquistavano. L’operazione, assolutamente inutile perché gli alleati avrebbero potuto far sbarcare altrove le truppe, aggravò la situazione. Nonostante gli ordini ricevuti, l’esercito cinese si schierò contro gli stranieri: la sera stessa la guarnigione di Tianjin attaccò le concessioni straniere; le truppe imperiali sbarrarono la strada a Seymour, che fu costretto a rientrare a Tianjin.

Quando il 19 giunse a Pechino la notizia della cattura dei forti, l’emozione popolare si fece intensa. A Corte, la fazione conservatrice dei Manciù guidata dal principe Duan, il cui figlio era stato appena nominato principe ereditario, ne approfittò per far presente a Cixi che gli stranieri volevano metterla da parte e restituire il potere a Guangxu (l’imperatore “deposto”). I dignitari che ella aveva incaricato di negoziare con i Boxer l’incoraggiarono ad aver fiducia in questi. L’imperatrice allora invitò i ministri stranieri a lasciare Pechino nelle ventiquattro ore, garantendo loro la sicurezza fino a Tianjin. Il corpo diplomatico perse però ogni fiducia allorché, la mattina del 20 giugno, venne ucciso il ministro tedesco barone von Ketteler. Nel pomeriggio, le truppe cinesi aprirono il fuoco contro le legazioni. L’indomani, il 21 giugno, con un editto di Cixi viene dichiarata la guerra contro le potenze.

Ritiratisi nel quartiere delle Legazioni, a sudest della Città proibita, i residenti stranieri organizzarono la propria difesa con i pochi soldati incaricati della sicurezza delle Legazioni, e con l'aiuto di un vecchio cannone che risaliva ancora al tempo dei gesuiti. Resistettero accanitamente per varie settimane e si salvarono soltanto grazie all'arrivo, il 14 agosto, di un secondo contingente internazionale, questa volta più nutrito.

I 55 giorni di Pechino

Per due mesi, a Pechino il quartiere delle legazioni, dove, insieme ai 473 civili stranieri (di cui 149 donne e 79 bambini), si erano rifugiati oltre 3000 cristiani cinesi con i loro servitori, fu difeso da 451 guardie straniere (Un gruppo proveniente da Tianjin era riuscito ad arrivare poco prima: 75 francesi, 75 britannici, 75 russi, 50 americani, 40 italiani e 25 giapponesi).All'angolo opposto della Città proibita, a nordovest, a ponente del parco Beihai, ci fu un altro focolaio di resistenza, ancora più eroico, quello della cattedrale cattolica di Beitang, dove Monseigneur Alphonse Favier, vicario apostolico di Pechino, si trincerò con dei membri della comunità cristiana cinese (circa 3.500 persone), sotto la protezione di 43 marinai francesi e italiani, comandati dal sottotenente di vascello Paul Henry, di 23 anni. Avevano da difendere un perimetro di 1.360 m, e lo fecero quotidianamente, per due mesi!

Bisogna dire che, per quanto terribili possano essere il fuoco continuo, il completo isolamento dal mondo esterno, le condizioni igieniche deplorevoli e la penuria di viveri e munizioni, gli assediati di Pechino vennero in un certo senso risparmiati. Ronglu, che aveva il comando supremo di tutte le forze armate della Cina settentrionale ed era convinto che la politica della Corte porti alla rovina, rifiutò agli assedianti l’uso delle armi moderne, in particolare l’artiglieria, la quale avrebbe polverizzato ogni resistenza. Nell’assedio persero la vita 76 combattenti e 6 bambini stranieri e qualche centinaio di cristiani cinesi; le perdite furono ben più gravi per gli assedianti. Ma nelle province del Nord-Est vennero sterminati dai Boxer, in modo spesso atroce, più di 200 missionari cattolici e protestanti e 32.000 cristiani cinesi. Per tutta la durata dell’assedio, i diplomatici della Corte di Pechino rassicurarono i governi stranieri sulla sorte delle legazioni, facendo comprendere che Cixi è prigioniera dei Boxer.

Tuttavia, le notizie allarmistiche che giungevano dalla Cina del Nord, la pressione dell’opinione pubblica sobillata dalla stampa e dalle comunità religiose, il timore di veder annullati, senza alcun compenso per l’avvenire, i risultati acquisiti in mezzo secolo di penetrazione economica e politica, indussero i governi stranieri a mettere da parte le rivalità e a unirsi per un intervento armato

Questa volta il corpo di spedizione fu costituito per l'intervento di Guglielmo II e affidato al maresciallo tedesco von Waldersee; vi presero parte truppe europee (tedesche, austriache, italiane, inglesi, francesi e russe), ma anche americane e giapponesi. Ai primi di agosto, i contingenti internazionali (16000 uomini) se concentrarono a Tianjin e il 14 agosto entrarono a Pechino, liberando le legazioni e la cattedrale di Beitang, mentre Cixi, travestita da contadina, con la sua corte, fuggì fino a Xi'an (nello Shaanxi). Da li negò la propria responsabilità e tentò di accreditare la tesi di un'insurrezione popolare spontanea e incontrollabile. Nel settembre 1901, sarà costretta a firmare il pesante “Protocollo dei Boxer".

All’entrata del contingente a Pechino ebbe inizio una carneficina e un saccheggio sistematici che superarono di gran lunga tutti gli eccessi commessi dai Boxer. Gli edifici reali, i templi più maestosi, i più sontuosi palazzi furono saccheggiati e divennero alloggio per le truppe. Le banche e i numerosissimi Monti di Pietà furono ripuliti dai reparti che conoscevano meglio la città, e quindi sapevano bene dove mettere le mani. Per molti giorni Pechino fu solo un gran traffico di carretti pieni di argento e mercanzie pregiate. La moneta cinese si svalutò così tanto che per una sola sterlina i soldati davano 40 e anche 50 taels d’argento, dato che non si potevano trasportare i pesanti sacchi d’argento. Gli stupri e le violenze varie e donne e ragazze non si contavano neppure.
Un’analoga situazione si produce a Tianjin e a Baoding. Spedizioni “punitive” vengono intraprese nelle zone rurali dello Zhili, dove i missionari erano stati attaccati; i soldati stranieri bruciano interi villaggi e non risparmiano nulla.
Tale cieca repressione sarà un terrore per il futuro nazionalismo cinese, a cui conferì i primi martiri.

Il Protocollo dei Boxer

II Protocollo dei Boxer impose alla Cina una pesante indennità (450 milioni di tael, pagabili in oro in trentanove annualità), garanzia per il ripristino delle dogane, che del resto erano già in mano agli occidentali dal 1859. Le somme venivano prelevate alle dogane, direttamente dagli occidentali; la dipendenza della Cina nei riguardi degli occidentali era completa. Il quartiere delle legazioni, al centro della capitale, viene ingrandito e vietato ai residenti cinesi; esso è posto sotto il controllo permanente delle truppe straniere, al pari di dodici punti sulle vie di accesso da Pechino al mare. Inoltre il principe Duan fu mandato in esilio nel più profondo della Cina, a 4.000 chilometri dalla capitale, nella zona di Kashgar.
Vari responsabili del massacro di Pechino “Furono autorizzati...! dall'imperatrice a suicidarsi". Qua a là caddero altre teste.

L'impero smembrato

Comunque, piuttosto impressionate dalle insurrezioni dei Boxer e dagli avvenimenti precedenti, le potenze straniere moderarono ormai le loro pretese territoriali sulle province cinesi, ma non certo i propri appetiti commerciali, sebbene le loro esigenze si facessero più discrete. Perché, bisogna ammetterlo, a parte il fallimento dei battellieri, a cui si è già accennato, la rivolta dei Boxer ha comunque delle cause più profonde, anche se relativamente recenti. Non erano stati risparmiati gli abusi e le umiliazioni a questo popolo fiero che da alcuni decenni stava attraversando una grave crisi economica e terribili carestie. E che umilianti ritirate!

Nell'agosto 1884, l'ammiraglio Courbet bombardava l'arsenale di Fuzhou, bloccava Formosa, mentre la Francia confiscava l'Indocina, un protettorato cinese.

Nell'aprile del 1895, perdevano la Corea, e Formosa veniva ceduta ai Giapponesi.

Tra il 1896 e il 1902, la Germania, la Russia, l'Inghilterra e la Franciasi insediarono autoritariamente nella maggior parte delle città attive dell'Impero e formarono delle "aree d'influenza", protette e difese da contingenti militari, solidamente stanziati in "territori in affitto". La Francia si riservava le tre province sud occidentali (Sichuan, Yunnan e Guangdong) vicine al Tonchino e disponeva inoltre del porto di Guangzhouwan.

Nei quattro angoli della Cina venivano prese in concessione miniere, messe in cantiere ferrovie. Il commercio principale, le fabbriche, le banche, le dogane erano per lo più in mano agli europei. Si capisce quindi il soprassalto di orgoglio nazionale di un popolo consapevole della grandezza della sua civiltà, e il suo smarrimento, la sua collera, davanti a questo smembramento in piena regola, definito dagli storici inglesi "Break-up of China".

Lo scrittore Pierre Loti fu testimone della seconda incursione militare, quella che, nel bel mezzo del 1900, volò a soccorrere gli assediati di Pechino. Ci ha lasciato una specie di reportage estremamente vivace del suo soggiorno in Cina, tra il settembre del 1900 e il maggio del 1901, nel libro Gli ultimi giorni di Pechino. Scrive a nome dei sopravvissuti all'assedio, e racconta l'episodio della morte eroica del giovane sottotenente di vascello Paul Henry, già citato a proposito della difesa del settore della cattedrale Beitang: "E rimasto in piedi a lungo, con due ferite mortali, sempre al comando, correggeva il tiro dei suoi uomini. Alla fine del combattimento è lentamente disceso dalla breccia, ed è venuto ad accasciarsi tra le braccia di due dei nostri preti; tutti noi piangevamo, in quel momento". Più avanti Loti racconta le circostanze della morte del generale tedesco Schwarzhof, nell'incendio accidentale dei suo palazzo, a Pechino: "Non è bruciato tutto il palazzo, ma soltanto la parte superba, quella in cui abitavano lui e il maresciallo (von Waldersee), gli appartamenti dagli innumerevoli rivestimenti in legno d'ebano e la sala dei trono, piena di capolavori d'arte antica".

Fu in occasione della guerra dei Boxer che si diffuse in Europa la celebre idea acquisita del “perico1o giallo”, frase coniata dall'imperatore tedesco Gugliemo II. In fin dei conti i vincitori di questa guerra furono i Russi. Si piazzarono in Manciuria e fecero orecchi da mercante quando i cinesi li invitarono a ritirarsi.

Sfruttarono il paese, e in particolare le foreste. Ma i Giapponesisi affrettarono a farli parzialmente sloggiare (1904-1905), mentre a Pechino, impotente, la dinastia mancese stava a guardare, come uno spettatore, mentre questi stranieri smembravano la loro provincia d'origine! Avevano ancora soltanto sei anni di regno prima del crollo definitivo, la Rivoluzione del 1911.

Vedi anche:
"Il contributo italiano alla liberazione delle legazioni straniere assediate a Pechino dai Boxer", di Clara Bulfoni.
Giuseppe Messerotti Benvenuti - "Un italiano nella Cina dei Boxer"
 

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