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La dinastia Yuan (1271-1368)

Sommario - Premessa - I. L'eredità di Gengis Khan - II. La conquista totale della Cina - III. Il governo - IV. I contatti con l'esterno - V. La vita culturale cinese - VI. Fine della dinastia.

PREMESSA

La dinastia Yuan, che regna in Cina dal 1271 al 1368, è fondata dai mongoli discendenti da Gengis Khan.

Non è la prima che riesce a conquistare il suolo agricolo cinese, in quanto la prassi storica della invasione "barbara" rappresenta una caratteristica delle vicende cinesi sin dal nascere di questa civiltà. A parte gli Xiongnu che non riuscirono a imporre una propria dinastia, abbiamo la dinastia dei Wei settentrionali, fondata dai Toba, che regna dal 386 al 534; quella dei Liao, fondata dai Khitan, che regna dal 947 al 1122, e infine quella dei Jin, fondata dai mancesi Jürched, che dura dal 1122 al 1234. Si tratta nel complesso di tribù nomadi che riescono ad imporre il proprio dominio sui cinesi sedentari, ma che per governare devono rinunciare alla propria identità nomade e acquisire i principi del vivere sedentario.

Questo è anche il destino della dinastia mongola. Ma c'è una differenza fondamentale tra gli Yuan e coloro che li precedettero: mentre le altre dinastie limitano la loro conquista alle zone settentrionali, i mongoli possono alla fine sottomettere tutta la Cina. La dinamica della reazione nomade alla civiltà sedentaria è portata dai mongoli alle sue estreme conseguenze: raggiunge l'apice di un processo, che tenderà ad avviarsi verso la fase discendente.

In questo periodo infatti nascono le armi da fuoco, destinate a battere irrimediabilmente la superiorità bellica dell'arciere a cavallo, che i mongoli sanno sviluppare al massimo. L'arciere, che poggiando il piede sulla staffa metallica scocca le sue frecce all'indietro dalla groppa del cavallo in corsa, resta durante questi secoli il simbolo dell'invincibilità dei guerrieri nomadi, terrore di tutto quanto c'è di civilizzato.

La dinastia Qing, fondata dai mancesi, nel sec. XVII, ricalca le orme dei mongoli, ma su di una scala molto ridotta, in quanto essi non possono vantare un impero che giunga alle porte della cristianità in Europa. Si tratterà in questo caso di una popolazione tungusa con rapporti diretti con la civiltà cinese, senza altre ambizioni.

I. L'EREDITÀ DI GENGIS KHAN

La morte di Gengis Khan avvenne nel 1227, di ritorno da una spedizione nell'India. Aveva condotto una prima campagna contro l'impero fin nel periodo 1211?'15, giungendo a distruggere la capitale e a devastare i territori. Per il momento, egli comunque decise di rivolgersi verso ovest, dove molti erano ancora i nemici che gli insidiavano il potere. Dopo la sua morte l'impero venne diviso in quattro Khanati, quello del Turkestan, quello della Persia, quello della Russia e infine quello dell'Asia orientale, che spettò al suo terzo figlio Ogodai. Sotto costui fu iniziata l'organizzazione delle zone conquistate nel settentrione, valorizzando il talento di elementi che però non erano più nomadi.

Fu questo il caso di Yelü Chucai, già appartenente all'amministrazione dei Jin, il quale seppe con la sua opera convincere il Khan che i metodi di distruzione e rapina applicati sino ad allora dai mongoli non erano più validi in una società sedentaria. Tutta la Cina settentrionale infatti era stata ridotta in uno stato pietoso dalle continue rapine e requisizioni che i capi mongoli attuavano senza ritegno. La tendenza dei mongoli era quella di trasformare i campi coltivati in pascoli per il bestiame. A lungo andare questo andazzo avrebbe condotto alla rovina le popolazioni, che già cominciavano a vagare in bande senza controllo per le campagne. Yelii seppe mostrare che si poteva fare qualcosa di più redditizio dal punto di vista mongolo che non la riduzione a pascoli delle fertili vallate del Fiume Giallo.

Di fatto a questo punto la rapina assunse forme più civilizzate, in quanto i prelievi avvennero per via legale, attraverso le tasse, le imposte e l'istituzione di monopoli statali del sale, dell'aceto, del vino e dei minerali. I mercanti venivano tassati sul volume degli affari, mentre i sacerdoti e i templi venivano esentati da qualsiasi pagamento e prestazione. L'amministrazione venne centralizzata con l'istituzione di un organo centrale presieduto dal Khan. Era quindi stato realizzato il primo compromesso tra i due modi di vita completamente differenti. I Jin furono definitivamente sconfitti nel 1234, con la morte del loro ultimo sovrano, grazie ad un'alleanza tra i mongoli e i Song meridionali. Dopo di ciò però i rapporti tra mongoli e cinesi peggiorarono e molte delle riforme di Yelii vennero abrogate. La corruzione divampò a causa della riscossione delle tasse che veniva affidata ai mercanti, in maggioranza musulmani, i quali nulla avevano da invidiare in fatto di rapacità. Il risultato fu che la situazione interna peggiorò decisamente e l'inimicizia tra conquistatori e conquistati si accrebbe notevolmente.

Mongka, succeduto a Ogodai, intraprese nuove campagne di conquista verso il sud, sottomettendo il regno Dai di Nanchao la cui popolazione emigrò andando a fondare l'attuale Thailandia. I mongoli, all'apice della loro forza espansiva, si spinsero fino al Vietnam settentrionale. Di fatto ora il regno dei Song meridionali si trovava di fronte dei vicini ben più pericolosi dei Jin. I mongoli con le loro campagne verso sud avevano ormai accerchiato lo Stato.

La conquista vera e propria dei Song fu differita solo per motivi di successione, in quanto il fratello minore di Mongka, che si trovava al sud, dovette correre a Karakorum per affermare la sua successione al trono vacante di suo fratello. Egli si chiamava Qubilay e sarebbe diventato uno degli imperatori più potenti della storia cinese.

II. LA CONQUISTA TOTALE DELLA CINA

Già da tempo il sud della Cina, governata dai Song meridionali, da zona quasi incolta e poco popolata si era trasformata in un vero giardino, con belle città e una popolazione colta e intraprendente. C'era un contrasto significativo tra il nord spopolato e ridotto in miseria e questa parte, in cui si coltivava il riso e si potevano ottenere più raccolti all'anno.

Ma anche qui si palesava quel verme corroditore innato alla civiltà sedentaria: la difficoltà di governo e la corruzione dell'apparato statale. La guerra contro i mongoli aveva richiesto molti fondi, spremuti dai sudditi dell'impero. Per di più l'evasione fiscale da parte dei grandi proprietari era la norma; tanto che si dovette ricorrere all'esproprío forzato di gran parte di essi. Queste riforme furono applicate soprattutto nella ricca provincia del Zhejiang. Queste riforme però provocarono grande impopolarità al governo e gli alienarono le simpatie della classe dirigente, sia tra i grandi proprietari che tra i militari. Una grossa emissione di carta moneta, a cui non corrispondeva più una ricchezza effettiva, servì a provocare un'inflazione e un'insicurezza senza pari.

Qubilai, una volta eletto Gran Khan, si trovò di fronte uno Stato pieno di contraddizioni politiche ed economiche, che non era neppure in grado di cogliere l'occasione di un'alleanza, che egli era in un primo momento disposto a concedere. Ma nonostante queste debolezze la conquista della Cina meridionale non fu affare da poco per i nomadi mongoli, i quali dovettero aver a che fare con la rigogliosa vegetazione e gli acquitrini meridionali, dove il cavallo era di ben poca utilità. Nonostante la Cina meridionale fosse molto più vicina al centro della potenza mongola degli imperi dell'Asia occidentale, ci vollero parecchi decenni prima che fosse ridotta all'impotenza.

Nel 1276 Hangzhou, capitale dell'Impero Song, fu conquistata dal generale mongolo Bayan e membri della corte furono portati prigionieri a Pechino. Più tardi anche Canton venne sottomessa e la flotta fatta prigioniera. Gli ultimi superstiti cercarono inutilmente salvezza nel mare. Una fine tragica di una dinastia brillante, sebbene non scevra da debolezza e corruzione.
Intanto già del 1271 Qubilai aveva assunto il titolo dinastico di Yuan, che significa «principio primo» o «origine».

III. IL GOVERNO

Contrariamente ai suoi predecessori, Qubilai Khan cercò di instaurare una politica di intesa nei confronti della popolazione cinese, circondandosi di consiglieri e di amministratori non mongoli, sia cinesi che musulmani, i quali per l'amministrazione erano senz'altro più capaci dei suoi connazionali. Ci volle del tempo prima che i mongoli prendessero familiarità con i principi elementari dell'amministrazione, anche se bisogna dire che essi dimostrarono senz'altro un grande talento pure in questo campo. Essi dovettero alla fine convincersi che se l'impero era stato conquistato a cavallo, non poteva continuare ad essere governato a cavallo.

Non poterono che ereditare il sistema amministrativo istituito dai Tang e dai Song. Le attività governative vennero ripartite in sei ministeri, con una Cancelleria centrale che costituiva il vertice della amministrazione civile, affiancata da un Ufficio per gli affari militari e da un Ufficio dei censori. Le province vennero subordinate alla Cancelleria centrale e vennero fatte corrispondere a delle regioni naturali. In ogni provincia c'erano dei distaccamenti militari mongoli che servivano a far rispettare le direttive centrali.

La frattura etnica e culturale esistente tra i due popoli era praticamente insanabile, nonostante gli sforzi della corte di Qubilai. I mongoli continuavano ad avere le loro preferenze culturali, si vestivano di pelli, si cibavano principalmente di latte, di formaggio ed erano ghiotti del latte fermentato, il kumys. Non usavano lavarsi, come retaggio della vita della steppa, dove l'acqua è scarsa e preziosa, o tutt'al più si lavavano con l'urina. La donna presso di loro aveva una maggiore libertà, ciò che scandalizzava i cinesi. Dal meridione più evoluto e colto veniva un disprezzo particolare per i barbari mongoli; un disprezzo che non si estinse mai e che fu la causa di molte sedizioni e rivolte.

I mongoli dovettero ricorrere ai servigi degli stranieri, che in questo periodo raggiunsero in Cina un numero considerevole. Ciò contribuì non poco a quel sentimento di xenofobia che sarà d'ora in poi caratteristica cinese. Si vennero così a creare delle stratificazioni sociali rigidamente delimitate, alla cui sommità stavano ovviamente i mongoli conquistatori. Il fatto stesso che potessero circolare dei libercoli in cinese, dove gli oppressori venivano disprezzati e derisi era segno non già di una possibilità di critica quanto di un totale disinteresse della classe dominante nei confronti dei cinesi.

Si cercò di ripristinare gli esami di Stato, basati sui classici confuciani; ma l'iniziativa non riscosse molto successo. Ai meridionali veniva attribuito un testo più difficile che al nord, e dopo tutto nessun letterato confuciano riuscì a raggiungere cariche molto importanti. In religione, i mongoli furono molto tolleranti. Inizialmente avevano seguito la predicazione nestoriana; ma poi furono conquistati dal buddhismo nella elaborazione tibetana, lamaista, che presentava tratti in comune con le forme religiose mongole originarie sciamaniste, ma ammisero per gli altri qualunque tipo di religione. Favorirono per i cinesi una rinascita taoista e lo sviluppo del buddhismo Chan (Zen).

Di questo periodo è lo sviluppo in Cina del teatro e del romanzo (letteratura). Seppero creare un regime culturale cosmopolita. Il commercio ebbe grande incremento sotto gli Yuan, grazie anche ai commercianti musulmani. La capitale venne ingrandita e diventò l'attuale Pechino, per rifornire la quale venne esteso il sistema fluviale del Gran Canale dal Fiume Giallo fino a Pechino, chiamata anche Khanbaligh, la Cambalik di Marco Polo.

Dopo la morte di Kubilai, avvenuta nel 1294, si incominciano a scorgere i segni del declino di questa gloriosa e movimentata dinastia: lotte e intrighi di corte; inflazione causata da troppa emissione di carta moneta; calamità e devastazione nell'area agricola settentrionale e del fiume Yangzi.

IV. I CONTATTI CON L'ESTERNO 

Nel periodo mongolo, come in parte durante i Tang e i Song, la Cina si aprì all'influenza delle grandi civiltà occidentali. Durante questo periodo molti viaggiatori occidentali poterono viaggiare con relativa sicurezza negli immensi territori dominati dai mongoli. Dall'Occidente ci furono parecchie strade che portavano in Cina, una dalla Russia, una dalla Persia e una dall'India. Il più famoso di questi viaggiatori fu l'italiano Marco Polo, che seppe raccogliere le cose che aveva visto nel suo famoso libro Il Milione. Altri viaggiatori europei furono i missionari mandati dal Papa per convertire i cinesi. Fra essi abbiamo Giovanni dal Pian dei Carpini, Giovanni da Montecorvino, Odorico da Pordenone e Giovanni dei Marignolli. Probabilmente comunque furono i musulmani coloro che più a fondo conobbero la Cina: il racconto di viaggio più diffuso è quello di Ibn Batuta nel 1325-'35. Per i viaggiatori da parte cinese non abbiamo molte notizie, anche se è probabile che molti siano stati i vagabondi spinti da curiosità nelle contrade dell'impero mongolo.

In questo periodo molte conquiste tecniche della civiltà cinese raggiunsero l'Occidente, quali la porcellana, la polvere da sparo, la stampa, la carta moneta, i tessuti, le carte da gioco. Il servizio postale mongolo, che poteva esercitarsi da un punto nell'Estremo Oriente fino all'Europa tramite un sistema puntualissimo di cavalli da posta con ricambi e stazioni, fu una delle cose più rinomate del periodo.

V. LA VITA CULTURALE CINESE

Nonostante questo cosmopolitismo, la cultura tradizionale conservò gelosamente il suo retaggio e le sue caratteristiche, tanto da attirare nel suo ambito letterati di provenienza straniera che ne vollero imitare i modi e le tecniche. Fu un periodo di trapasso, in cui si affermarono delle tendenze decisive. Il teatro fiorì nelle maggiori città, destinato ad un pubblico più colto, ed i suoi temi trattano il contrasto, tra le passioni umane e i sentimenti di pietà filiale o di fedeltà coniugale. Lo svolgimento dell'azione teatrale era accompagnato dalla musica; mentre gli atti e i movimenti diventarono simbolici e stereotipati.

A causa dell'emarginazione dei letterati, i quali si vedevano preclusa ogni possibilità di carriera pubblica, andò sviluppandosi un nuovo tipo di espansione artistica, il romanzo. Il linguaggio adoperato è meno elevato che nelle opere d'arte del passato, anche in considerazione della destinazione sociale di esso. Il letterato cercava ormai di usare la propria cultura per dilettare una cerchia più o meno ampia di conoscenti, che non era più la corte imperiale. La stessa condizione sociale dei protagonisti dei romanzi è significativa; si tratta di uomini di bassa estrazione, di militari. L'anonimato era una regola di tali romanzi, anche perché si aveva vergogna di manifestare la propria identità. Possiamo quindi dire che in questo periodo i letterati si avvicinano di più al popolo cinese, a causa della loro emarginazione dalla cerchia della classe dominante.

Nell'arte si afferma un genere di pittura che possiamo definire letterario ed i paesaggi sono un oggetto preferito. In questo periodo si affermano i maggiori paesaggisti cinesi, come Ni Zan.

VI. FINE DELLA DINASTIA

Nel 1368, con la conquista di Pechino da parte di Zhu Yuanzhang fondatore della dinastia Ming, termina la dinastia Yuan.

A partire dal 1340 le rivolte antimongole si erano moltiplicate in tutte le province cinesi. Come accadde in tutti i periodi interdinastici, i pretendenti al trono si combattevano tra di loro, mentre lottavano contro i mongoli. Ma anche i generali mongoli si facevano la guerra l'un l'altro indebolendosi a vicenda. La dinastia Yuan non resiste all'urto delle forze di Zhu, animato dal nazionalismo.

G. Casu

BIBL.: 
J. Dardess, Conquerors and Confucians, Columbia U. Presa, New York 1973.
R. Grousset, L'empire des steppes, Payot, Parigi 1948.
H.H. Howorth, History of the Mongols, from the 9th to the 19th Century, 5 voll., Longmans Green, Londra 1876-1927.
H.F. Schurmann, Economic Structure o/ the Yuan Dynasty, Harvard U. Presa, Cambridge 1956.
Cfr. BIBL. Gengis Khan, Storia.

 

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