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SAGGI

I diritti umani nella Costituzione cinese

di Piero Corradini

Lavoro eseguito nel quadro delle ricerche sulle «Libertà civili in Cina», finanziate dal Consiglio Nazionale delle Ricerche presso il Centro Studi Ricciani di Macerata.

SOMMARIO: 1. Legalità e pena di morte. - 2. Le violazioni del passato: il rapporto di Amnesty International. - 3. L'affermazione della parità dei diritti. - 4. Il potere al popolo: l'elezione dei rappresentanti. - 5. Le libertà fondamentali. - 6. La libertà religiosa.

1. Legalità e pena di morte

"Per realizzare la modernizzazione dobbiamo continuare a rafforzare l'edificazione della democrazia e della legalità socialiste, intensificare il lavoro giudiziario, sforzarci di eliminare i fenomeni nefasti dell'infrazione delle leggi e della trasgressione della disciplina che si manifestano nella vita politica e sociale, realizzando un miglioramento radicale dei costumi sociali, per consolidare e sviluppare la situazione politica caratterizzata dalla stabilità e dalla unità": così Zhao Ziyang, primo ministro della Repubblica Popolare Cinese, si esprimeva il 6 giugno 1983 davanti alla VI Assemblea nazionale del popolo (Anp)1, indicando subito dopo le principali manchevolezze riscontrate nel campo dell'ordine pubblico e della lotta contro la criminalità2 e concludendo, infine, col sottolineare la necessità di formare personale sempre più specializzato nel lavoro giuridico e proponendo all'Assemblea l'istituzione di un Ministero per la Sicurezza dello Stato, avente il compito di "garantire la sicurezza dello Stato e di rafforzare il controspionaggio"3.

L'esigenza di dare una stretta di freni al dilagare della delinquenza comune, oltre che ai "sabotaggi" politici e alle "attività controrivoluzionarie", è stata presa in esame dal Comitato Permanente dell'Anp nella sessione autunnale immediatamente successiva. All'apertura della sessione Peng Zhen, presidente del Comitato stesso, rilasciava una dichiarazione nella quale invocava maggiore severità nella punizione dei delinquenti, specie per i recidivi e per coloro che spingevano i giovani ad attività delittuose; Wang Hanbing, segretario generale del Comitato, giungeva fino ad invocare modifiche al Codice Penale che prevedessero la pena di morte per i capi delle bande di rapitori e di teppisti4 e ciò a causa dell'"indignazione generale" provocata dai loro delitti. Si dimostra, così, che permane in Cina la tendenza a risolvere con la pena di morte non soltanto i casi delittuosi gravi per se stessi, ma soprattutto quelli che suscitano il desiderio di vendetta popolare, come del resto aveva affermato Mao Zedong nel 1956 quando da un lato aveva invitato alla moderazione ma dall'altro aveva chiaramente indicato che, per placare l'ira delle masse, la pena di morte era assolutamente necessaria e andava irrogata senza esitazioni5.

Queste tendenze inquietanti dei legislatori cinesi se possono apparire, se non giustificate, spiegabili di fronte all'esigenza di mantenere l'ordine in un paese di dimensioni smisurate e dalla popolazione in continua crescita e che ha già superato il miliardo, dimostrano pure che ancora molta strada resta da percorrere in Cina, prima che si giunga alla piena affermazione dei diritti umani della persona ed alla conseguente abolizione, nel futuro, della pena di morte che rende definitiva ogni decisione giudiziaria6.

Ma pur nella facilità con cui tale pena viene irrogata (e si tende, anzi, ad ampliarne la casistica) all'osservatore della realtà cinese non può sfuggire come i legislatori si sforzino continuamente di adattare le leggi in vigore verso un sempre maggiore rispetto di questi diritti, quali riconosciuti dalla comunità internazionale, della quale la Cina fa parte a pieno titolo, e sono stati consacrati dal "Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici" del 19 dicembre 19667. Esso, ad esempio, pone come requisito essenziale perché la pena di morte possa essere civilmente irrogata, nei paesi dove non è stata abolita, che essa sia pronunciata a seguito di un regolare processo fondato su specifiche prescrizioni dell'ordinamento giuridico vigente e che sia sempre ammessa, per il condannato, la possibilità di domandare la grazia o la commutazione della pena8.

In effetti, con l'approvazione della Costituzione del 19829, la legislazione cinese si va sempre più orientando verso una piena applicazione ed il riconoscimento dei diritti sanciti dalla tradizione del diritto moderno occidentale, dalle prime enunciazioni della Rivoluzione Americana fino alla Carta delle Nazioni Unite ed al Patto sopraricordato. Diritti provenienti da un contesto culturale diverso da quello della tradizione cinese che aveva sempre messo al primo posto gli interessi del gruppo di appartenenza anziché quelli dell'individuo10.

2. Le violazioni del passato: il rapporto di Amnesty International

Alla fine del 1979 Amnesty International pubblicava un rapporto, ampio e circostanziato11 sui diritti umani in Cina e le relative violazioni, sulla situazione nelle carceri, la deportazione, i lavori forzati. Pubblicato nello spirito costruttivo consueto alla benemerita organizzazione che non usa distinguere tra paesi di diverse ideologie dominanti, il rapporto - peraltro inviato preventivamente, ma senza ottenerne risposta, alle Autorità cinesi12 - faceva giustizia di tante interpretazioni e presentazioni della realtà giudiziaria e repressiva cinese che, o ingenuamente o in malafede, avevano cercato di accreditare in occidente l'immagine di una Cina all'avanguardia nel campo delle libertà civili, dove, se pene venivano irrogate, esse tendevano sempre alla rieducazione dell'indîviduo deviante mentre le rappresentazioni di segno contrario derivavano da visione incompleta della medesima realtà, in quanto non avrebbero tenuto conto delle leggi cinesi e delle affermazioni di quei dirigenti13.

Ma a ben vedere, i dirigenti cinesi non avevano mai nascosto che le libertà e i diritti umani andavano visti solo nel senso che fossero garantiti a chi stava dalla loro parte, cioè ai "rivoluzionari" e non ai "controrivoluzionari", come dimostrò, fino dal 1942, una polemica (privata, ma venuta in luce in seguito) tra Mao Zedong e Peng Dehuai, assertore quest'ultimo di una politica più liberale14.

Ma il Rapporto di Amnesty International prendeva in esame una situazione cinese ancora profondamente influenzata dagli eccessi e dalle cosiddette deviazioni di sinistra che erano imperversate durante la "Rivoluzione Culturale" e nelle precedenti, numerose campagne politiche.

Dopo la morte di Mao Zedong e l'arresto della "Banda dei Quattro", la nuova dirigenza cinese, pur tra resistenze e difficoltà causate dall'atteggiamento degli ancora attivi dirigenti maoisti, aveva posto mano ad un imponente lavoro di elaborazione di leggi e di ricostituzione degli organismi giudiziari, sfociato nella emanazione della Costituzione del 197815. Questa, pur se molto più liberale di quella, in trenta articoli, del 197516, ancora giustificava le critiche di Amnesty International quando, ad esempio, a proposito della libertà religiosa sanciva, sì, il diritto a credere in una religione ma non specificava nulla a proposito della possibilità di praticare il culto e, mentre garantiva il diritto alla propaganda ateistica taceva sulla propaganda religiosa e la diffusione delle fedi17.

Lo stesso dicasi per l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge che, in accordo con le sopracitate direttive ed idee di Mao Zedong, la Costituzione del 1978, come quella del 1975, non riconosceva.

3. L'affermazione della parità dei diritti

Le tre prime Costituzioni della Repubblica Popolare Cinese, del 1954, 1975 e 1978, ponevano il capitolo sui "Diritti e Doveri Fondamentali dei Cittadini" dopo quello sulla "Struttura dello Stato". Quella del 1982, invece, ha invertito quest'ordine.

Il cambiamento nell'ordine degli articoli e della trattazione, pur non avendo alcun significato sostanziale, assume un valore formale e simbolico, in quanto le "Strutture dello Stato", posposte ai "Diritti e Doveri" vengono viste come i mezzi attraverso i quali quei diritti possono essere esercitati e i doveri adempiuti.

La prima cosa che si deve notare nell'esaminare questo capitolo della Costituzione del 1982 è l'affermazione che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge (art. 33). Questa affermazione, pur se redatta in forma leggermente diversa, era presente nella prima Costituzione (art. 85) ma era stata omessa nelle due redatte dopo la "Rivoluzione Culturale". Questo grandioso e, sotto molti versi, disastroso movimento politico aveva posto l'accento, in maniera estrema, sulle differenze tra cittadini, specie per quanto riguardava l'origine e la collocazione di classe, per cui tale enunciazione di parità sarebbe stata in pieno contrasto con tutta la teoria e la pratica della "Rivoluzione" stessa. Ora la lotta di classe, invece, è stata dichiarata formalmente e praticamente terminata; non dovrebbero più esistere ragioni, per discriminare tra cittadini. Se discriminazioni possono verificarsi, esse a questo punto vanno considerate semplicemente violazioni della legalità e della Costituzione: non si tratta più di una questione giuridica che investe lo status dei cittadini ma soltanto di un problema di prassi politica e bisognerà verificare nella pratica come questa uguaglianza verrà realizzata.18

4. Il potere al popolo: l'elezione dei rappresentanti.

Conseguenza diretta dell'uguaglianza riconosciuta a tutti i cittadini è l'elettorato attivo e passivo per tutti coloro che hanno raggiunto i diciotto anni, eccettuato chi è stato privato per determinati casi stabiliti dalla legge dei diritti politici (articolo 34). Questa limitazione, ripresa anche dall'art. 3 della "Legge elettorale" vigente19, esisteva anche in tutte le costituzioni precedenti20; la Costituzione del 1954 escludeva anche i malati di mente dall'elettorato, disposizione che è caduta nell'attuale testo costituzionale ma che è stata, però, inclusa nella "Legge elettorale" (art. 23, 2° comma) quando dice che questi malati non vengono inclusi nelle liste elettorali.

Il sistema elettorale, regolato dalla legge sopracitata, si fonda sull'elezione diretta dei rappresentanti soltanto per i livelli di base21 mentre per i livelli superiori, fino a quello dell'Anp, l'elezione è sempre indiretta. Il numero dei candidati (art. 27, "Legge elettorale") deve essere superiore a quello dei rappresentanti da eleggere ed essi possono essere proposti tanto dal Partito Comunista quanto da altri partiti o organizzazioni come pure da un minimo di tre elettori (art. 26, "Legge elettorale"). Di tutti deve essere presentato un curriculum e sulla loro personalità debbono svolgersi ampi dibattiti.

Il fatto che l'elezione diretta sia limitata al solo ambito locale impedisce, evidentemente, la possibilità di una campagna elettorale su scala provinciale, o, neanche a dirsi, nazionale, impostata su ampi temi politici e sociali, coinvolgente, eventualmente, le grandi scelte della nazione. Questi problemi, del resto, sono già impostati e risolti dalla stessa Costituzione, che indica la meta finale che si propone di raggiungere la Repubblica Popolare Cinese (realizzazione del socialismo e, poi, del comunismo), sicché un'eventuale campagna elettorale di candidati dell'opposizione sarebbe, per se stessa, "controrivoluzionaria" e, come tale, cadrebbe sotto i fulmini delle proibizioni contenute nei "Principî Generali" e potrebbe essere perseguita a norma di Codice Penale.

Con l'elezione dei rappresentanti ai diversi livelli si intende realizzato quanto previsto dall'art. 2 della Costituzione che afferma appartenere ogni potere al popolo, che a sua volta lo esercita attraverso i suoi rappresentanti nelle assemblee dei diversi livelli.

Il sistema elettorale viene presentato all'opinione pubblica cinese come uno dei più progrediti e democratici del mondo, superiore a quello dei paesi occidentali, in quanto sarebbe il solo a garantire la massima partecipazione popolare22. Ma resta il fatto che non è ammessa alcuna opposizione, anche da parte dei pur tollerati piccoli partiti non comunisti e che, dato il sistema di elezione diretta solo nell'ambito locale, ogni discussione e propaganda elettorale è, anch'essa, necessariamente limitata.

5. Le libertà fondamentali

L'art. 35 della Costituzione garantisce libertà di parola, di stampa, di riunione, di associazione, di spostamento23 e di dimostrazione: una gamma di libertà che, se pienamente attuate, dovrebbero essere sufficienti alla piena realizzazione dei diritti umani. Però è chiaro che questo articolo va letto in connessione con i "Principî Generali" che vietano ogni sabotaggio ed opposizione al sistema socialista e quindi solo in quest'ambito e con queste limitazioni tutte queste libertà possono essere esercitate.

L'art. 87 della Costituzione del 1954 dava le stesse garanzie, aggiungendo, anzi, che lo Stato avrebbe dato ai cittadini i mezzi per potersene avvalere. Gli avvenimenti successivi, ed in ispecie la "Rivoluzione Culturale", hanno dimostrato che spesso, se non sempre, queste libertà sono state garantite assai poco e, comunque, costantemente a senso unico.

Sulla spinta dell'anarchia e del libertarismo della "Rivoluzione Culturale", le costituzioni del 1975 e del 1978 avevano anche allargato, almeno formalmente, la gamma delle libertà promesse ai cittadini. Quella del 1975 aveva anche contemplato il diritto di sciopero e Zhang Chunqiao, nel suo "Rapporto sulla Revisione della Costituzione" aveva riferito che ciò era avvenuto per espressa volontà del Presidente Mao24; inoltre la stessa Costituzione, all'art. 13, aveva affermato che la libera espressione, la piena manifestazione delle opinioni, i grandi dibattiti ed i dazibao (manifesti a grandi caratteri) erano "forme nuove create dalle masse popolari per condurre la rivoluzione socialista". Pertanto lo Stato avrebbe assicurato il diritto di utilizzarle, ma sempre al fine di contribuire "al consolidamento della direzione del Partito Comunista Cinese sullo Stato e al consolidamento della dittatura del proletariato"25. Le cosiddette "quattro grandi libertà", erano, così, anch'esse concepite a senso unico ed il dissenso veniva ammesso soltanto nella discussione dei modi con cui raggiungere i fini predeterminati.

Le "quattro grandi libertà" furono recepite, comunque, anche dalla Costituzione del 1978 ma il loro esercizio, in un clima politico mutato e più tollerante, dette luogo a manifestazioni di segno opposto a quello per cui erano state concepite ed enunciate: il "muro della democrazia", il movimento per i diritti umani. Nel 1980 la Costituzione venne emendata e le "quattro grandi libertà" vennero abolite, per non più ricomparire nel testo successivo.

Per quanto riguarda il diritto di sciopero, anch'esso non più contemplato dalla nuova Costituzione, la sua abolizione era stata preconizzata ed anticipata da diversi giuristi cinesi, con la giustificazione che, essendo la Cina governata dalla classe lavoratrice, l'interesse nazionale si identificava con quello dei lavoratori stessi mentre per combattere eventuali soprusi derivanti dal burocratismo ed altre disfunzioni del sistema sarebbero bastati i normali mezzi di trattativa sindacale26.

6. La libertà religiosa

Nell'ambito delle libertà fondamentali dell'uomo, un discorso a parte merita quello della libertà religiosa: non soltanto per l'importanza, in sé, del problema ma anche perché alla soluzione che di esso si dà in Cina è legata, in buona parte, l'immagine internazionale della Cina stessa.

Alla libertà religiosa è dedicato l'art. 36 della Costituzione che va letto comunque - come del resto gli altri che trattano dei diritti dei cittadini - congiuntamente ai "Principî Generali".

La formulazione dell'articolo è nuova, rispetto alle Costituzioni precedenti. Vi manca, in particolare, l'affermazione della libertà di diffondere l'ateismo, il che poneva la libertà religiosa, pur proclamata ma alla quale non corrispondeva alcuna libertà di propaganda, in una condizione di svantaggio rispetto all'ateismo ufficiale. Ora, invece, almeno sul piano legale e delle affermazioni costituzionali, religiosità ed ateismo sono posti sullo stesso piano: si afferma che il cittadino è libero di credere o di non credere, non può subire costrizioni per abbracciare o abbandonare una religione; se la propaganda religiosa non è citata nella Costituzione, non lo è nemmeno quella antireligiosa.

È interessante confrontare il testo del "Progetto di Costituzione", quale venne presentato nel maggio 198227 e quello definitivamente adottato dall'Assemblea nazionale del popolo. Due sono le principali modifiche apportate in sede di approvazione. Il "Progetto", al 3° comma diceva: "Nessuno può far uso della religione per portare avanti attività controrivoluzionarie (enfasi aggiunta, n.d.a.) o attività che turbano l'ordine pubblico" mentre il testo approvato dice: "Nessuno può far uso della religione per impegnarsi in attività che turbano l'ordine pubblico". È caduto, quindi, l'esplicito riferimento alle attività controrivoluzionarie che, pur restando sempre esplicitamente proibite in forza dell'art. 28, non vengono considerate più necessariamente connesse, anche se in termini di semplice possibilità, con le attività religiose28.

Invece all'ultimo comma, che nel "Progetto" suonava: "Gli affari religiosi non possono essere dominati da alcuna potenza straniera", è stata fatta un'aggiunta, specificando che il dominio straniero non può esercitarsi, oltre che sugli "affari", anche sulle "organizzazioni religiose", quasi che la prima formulazione mancasse di chiarezza e fosse necessario ribadire in ogni modo il concetto.

Mentre Peng Zhen, nel presentare il "Progetto" e nel commentare questo passo si limitava a ripetere l'affermazione delle "tre autonomie" (di propaganda, amministrazione e finanziamento) che sono da sempre il cardine della politica religiosa della Repubblica Popolare Cinese29, alcuni esponenti del cattolicesimo cinese, in dichiarazioni rese pubbliche dalla stampa, alludevano più o meno chiaramente al fatto che tale disposizione era ed è intesa ad evitare eventuali interferenze di chiese straniere30 e, in termini più espliciti, a sottrarre la Chiesa Cattolica Cinese dal controllo del Vaticano31.

Però il problema delle interferenze e del cosiddetto dominio straniero sulle attività religiose e del relativo atteggiamento del governo cinese non va visto soltanto nella prospettiva dei rapporti tra cattolici cinesi e Sede Apostolica nonché tra protestanti cinesi e protestanti d'Inghilterra, di Germania o d'America. I cristiani in Cina, cattolici e protestanti, sono una minoranza trascurabile, che assume importanza politica soprattutto per l'attenzione rivolta loro dai correligionari all'estero. Maggiore e più rilevante importanza politica hanno, invece, i musulmani che costituiscono gruppi compatti, godono dello status di minoranze nazionali32. Questi vivono in gran parte, come gli Uighur del Xinjiang, in regioni strategicamente importanti, confinanti con l'Unione Sovietica e pericolosamente vicine all'Afghanistan ed all'Iran da dove potrebbero giungere in Cina tentazioni integraliste. E le autorità cinesi certamente non dimenticano che le grandi rivolte islamiche che ebbero luogo durante l'ultima dinastia imperiale trassero ispirazione anche da contatti con i musulmani d'occidente33.

I musulmani, peraltro, come pure i buddisti lamaisti di Tibet e di Mongolia, dallo status di minoranza nazionale traggono maggiori possibilità di esercitare la libertà religiosa. Così è possibile ad essi impartire anche ufficialmente l'insegnamento religioso ai bambini, in quanto alle minoranze è riconosciuto il diritto di conservare i costumi tradizionali e la fede islamica o quella buddista ne sono considerate parte integrante.

Una direttiva del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, del 31 marzo 1982, ancorché precedente l'emanazione della Costituzione, esplicita i limiti della libertà religiosa, quale viene attualmente intesa e concessa dalle autorità cinesi34.

Dopo avere chiarito che è necessario prendere atto dell'esistenza del fenomeno religioso, destinato ad esaurirsi e scomparire con la trasformazione della società ma per il quale sono assolutamente inutili e dannose le misure coercitive sperimentate in passato, la direttiva passa ad esaminare la situazione religiosa in Cina. I musulmani sarebbero oltre dieci milioni; tre milioni i cattolici e tre milioni i protestanti; buddisti quasi tutti i Tibetani, i Mongoli, i Thai ed altre minoranze nazionali; al buddismo e al taoismo viene attribuita ancora una certa influenza tra gli Han che, inoltre, credono in gran parte "agli spiriti e ai fantasmi". Con quest'ultima espressione si intende la religiosità tradizionale cinese, quel complesso di credenze che gli osservatori e gli studiosi occidentali, da Matteo Ricci in poi, liquidarono sbrigativamente come superstizione ma che, in realtà, costituiscono la vera, originale religiosità cinese35. A questa religiosità, che anche il Partito Comunista Cinese considera una volgare superstizione, non viene lasciata alcuna libertà: geomanti, medium, indovini (praticanti la divinazione con l'Yijing, il "Classico della Mutazione") debbono essere tutti rieducati e la loro attività non è assolutamente permessa. Per quelle che, invece, sono ritenute "autentiche credenze religiose" (buddismo, taoismo, islam, cristianesimo), purché l'attività dei credenti non sconfini nel sabotaggio e nell'attività controrivoluzionaria, la libertà di culto è concessa, all'interno dei templi e delle chiese. Non vi si potranno far accedere i giovani al di sotto dei diciotto anni, per evitare eventuali costrizioni (ma abbiamo visto che, per le minoranze nazionali, il caso è diverso), ma sono ritenute legittime (e normali, come dirà il testo costituzionale), anche se praticate consuetudinariamente in casa, funzioni come venerare il Buddha, recitare i sutra, bruciare incenso, tenere servizi religiosi, spiegare i sutra, predicare, celebrar messa, battesimo, ordinazioni, festività religiose, estreme unzioni, cerimonie funebri. In pratica gli atti di culto sono tutti ammessi, purché praticati nei templi, nelle chiese o in casa dei credenti.

Una successiva direttiva del 2 aprile 198236, riferita soprattutto all'attività delle chiese protestanti, chiariva meglio quali erano le attività religiose legali e quelle illegali, preannunciando l'emanazione di appositi testi legislativi. In base ad essa vanno considerate legali le seguenti attività:
(1) credere in una religione;
(2) studiare la Bibbia, pregare e tenere servizi religiosi in casa;
(3) prendere parte a funzioni religiose nei luoghi di culto;
(4) organizzare, da parte del clero, attività religiose nei luoghi di culto.

Vengono considerate invece, illegali, attività e comportamenti come:

(1) diffondere il credo religioso tra i giovani e gli adolescenti che non hanno ancora raggiunto i diciotto anni o indurli a prendere parte ad attività religiose;
(2) interferire con l'amministrazione, l'educazione, il matrimonio;
(3) mettere in pericolo la produzione e l'ordine sociale;
(4) darsi allo sfruttamento economico, sottrarre danaro alla gente, o danneggiarne la salute (sic) col pretesto di accettare donazioni;
(5) usare le proprietà collettive per attività religiose;
(6) rimettere in vigore i privilegi feudali delle religioni e il sistema di oppressione e sfruttamento religioso che è stato abolito;
(7) accettare doni da stranieri e materiale di propaganda da Hong Kong e da Macao;
(8) stabilire accordi per la libera predicazione.

Anche in questa direttiva che, pur lasciando ampia discrezionalità d'interpretazione alle autorità - specie per le proibizioni (2), (3), (6) - concede un certo spazio alle religioni riconosciute, viene penalizzata soprattutto la religiosità tradizionale. Infatti "coloro che diffondono falsità per ingannare il popolo" - ed il riferimento è chiaramente rivolto a geomanti, medium ed indovini - "non rappresentano un problema religioso ma un problema politico".

***

Questa la situazione, quale risulta dai testi legislativi e dai documenti del Partito. Per quanto riguarda l'attuazione pratica dei principi enunciati non c'è che attendere ulteriori notizie, in una situazione che si sta continuamente evolvendo.

MONDO CINESE N. 46, GIUGNO 1984

Note

1 Cfr. Zhao Ziyang, "Rapport sur les activités du gouvernement", Document Officiel, in Beijing Information, XXI, n. 27, 4 juillet 1983; v. in particolare pp. XX-XXI.
2 Sugli sviluppi della criminalità in Cina, negli ultimi anni, cfr. P. Corradini, Crolla il mito maoista di una Cina senza criminali, in Prospettive nel mondo, VII, n. 67, 1982, pp. 116-120.
3 Cfr. Zhao Ziyang, Rapport..., cit., p. XXI. In realtà il Ministero per la Sicurezza dello Stato era stato istituito alcuni mesi prima del rapporto, di Zhao Ziyang: cfr. Chang Ching-Li, Ministry of State Security Set Up on Mainland China, in Issues and Studies, XIX, n. 7, july 1983, pp. 5-8.
4 Cfr. Loi: plus de severité, in Beijing Information, XXI, n. 37, 12 septembre 1983, p 5.
5 Cfr. Mao Zedong, I dieci grandi rapporti...: 8. Rapporto tra rivoluzionari e controrivoluzionari, in S. Schram (a cura di), Mao Tse-tung - Discorsi inediti, Milano, Mondadori, 1975. pp. 60-62.
6 Sul concetto dei diritti dell'uomo in occidente si vedano le relazioni raccolte in S. Cotta, G. Bognetti, G.B. Ferri, G.M. Flick, Diritti fondamentali dell'uomo, Milano, Giuffrè, 1977.
7 Ratificato in Italia con Legge 25 ottobre 1977, n. 881. Se ne veda il testo in G. De Matteo-A. Di Majo (a cura di), I codici e le leggi speciali, Milano, Giuffrè, 1982, pp. 39-46.
8 Cfr. art. 6, n. 2, Patto cit., ibidem, p. 41.
9 Per il testo della Costituzione cinese del 1982 si fa riferimento alla traduzione a cura di G. Melis, in questa Rivista, n. 43, 1983.
10 Per una discussione sul concetto dei diritti umani in Cina si vedano: Tseng Hsu-pai, The Concept of Human Right in China, in Chinese Culture, XXII, n. 2, june 1981, pp. 29-30 e Lee Hsueh-teng, The Earlier Concepts of Human Rights and their Implementation, in Chinese Culture, XXIII, n. 1, march 1982, pp. 47-59.
11 V. Amnesty International, Rapporti, 3, Cina, Roma, Studio Tesi, novembre 1979.
12 lbidem, p. VIII.
13 Caso esemplare di questo modo di presentare la realtà cinese, almeno in Italia, è l'articolo di M. Scarpari, Recenti discussioni sull'amministrazione della giustizia in Cina, in Cina-13, Roma, Is.M.E.O., 1970, pp. 127-140.
14 Cfr. Mao Tse-tung, Lettera di critica al "Discorso sull'insegnamento democratico" di Peng Dehuai, 6 maggio 1942, in Vento dell'Est, IX, n. 35-36, dicembre 1974, pp. 131-132.
15 Per il testo della Costituzione cinese del 1978 si fa riferimento alla traduzione a cura di G. Melis, in questa Rivista, n. 22, 1978.
16 Se ne veda il testo in Documenti della Prima Sessione della IV Assemblea Popolare Nazionale della Repubblica Popolare Cinese, Pechino, Casa Ed. in Lingue Estere, 1975, pp. 3-31.
17 Cfr. Amnesty International, Rapporto cit., p. 7.
18 Uno degli esempi più evidenti di come questa uguaglianza non sia stata messa in pratica è quello del trattamento riservato alla "Banda dei Quattro", specie nel periodo antecedente al processo. A questo proposito vale la pena di riportare lo scambio di opinioni tra una delegazione dell'Istituto Politico-Culturale Edizioni Oriente di Milano e un gruppo di professori della Facoltà Giuridica dell'Università di Jilin, avvenuto a Changchun il 17 luglio 1978: «D. ... Sono stati arrestati i "quattro" della "banda" e altri loro seguaci. Vogliamo sapere: esiste un provvedimento di arresto nei loro confronti? Cioè, viene rispettata la legalità socialista anche nei confronti della "banda" e di tutti i suoi segnaci? R. Teoricamente si dovrebbero prendere anche tali provvedimenti, ma per quanto riguarda la "banda dei quattro" si tratta della lotta fra le due linee del partito in seno allo stesso Comitato Centrale; quindi toccava al Comitato Centrale del partito trattare tale caso in quel periodo, prima di abbattere la "banda dei quattro". D. Questo vuol dire che il principio di legalità va applicato nei confronti di tutti i cittadini cinesi ma non dei componenti del CC del PCC? R. Non si può dire così, perché la lotta contro la "banda dei quattro" era una lotta politica». (Cfr. F. Marrone (a cura di), Materiali d'inchiesta - La Giustizia, in Vento dell'Est, XIV, n. 51-52, febbraio 1979, pp. 60-77, in particolare p. 71). Commentando questo colloquio il Marrone nota una contraddizione "dal punto di vista legalitario" tra l'art. 47 della Costituzione (del 1978) allora vigente, in base al quale "nessun cittadino può essere arrestato senza la decisione di un tribunale popolare o l'approvazione della procura popolare" e l'arresto e la detenzione, fino allora senza processo, della "Banda dei Quattro" (ibidem, p. 62). Egli però non tiene conto del fatto che, all'epoca dell'arresto, vigeva la Costituzione del 1975 che, all'art. 28, riteneva sufficiente, per arrestare un cittadino, "l'approvazione di un organo di pubblica sicurezza" e che l'ex-primo ministro Hua Guofeng, che ordinò l'arresto, era, allora, proprio Ministro della Pubblica Sicurezza! Quindi la contraddizione "dal punto di vista legalitario" era, se del caso, sorta soltanto in un secondo tempo.
19 Approvata il 1° luglio 1979 ed emendata il 10 dicembre 1982. La si veda, nella traduzione di M. Cigliano, in P. Corradini (a cura di), Testi legislativi della Repubblica Popolare Cinese, Macerata, CO.S.U.R., 1984, pp. 63-75.
20 Art. 87, Costituzione 1954; art. 27, Costituzione 1975; art. 44, Costituzione 1978.
21 Originariamente soltanto al livello di comune agricola o di quartiere urbano; dal 1979 è in atto un esperimento per le elezioni dirette a livello di distretto (cfr. B. Wemack, Electoral Reform in China, in Chinese Law and Government, XV, Fall-Winter 1983, n. 3-4, pp. 7-14.
22 Si veda, in proposito, l'interessante antologia di articoli cinesi in Chinese Law and Government, vol. cit.
23 Si noti che, per libertà di spostamento, s'intende libertà di viaggiare, non di cambiare residenza. Questa libertà, garantita dalla Costituzione del 1954 non è più ricomparsa nei testi costituzionali successivi (cfr. Chang Chen-pang, PRC's Fourth Constitution, in Issues and Studies, XIX, n. 1, january 1983, pp. 3-4).
24 Cfr. Zhang Chunqiao, Rapporto sulla Revisione della Costituzione, in Documenti, cit., p. 42.
25 Cfr. Documenti, cit., p. 17.
26 Si vedano i passi della relazione dal titolo La revisione costituzionale deve comprendere i quattro principi base, presentata da Zhang Youyou alla Conferenza Giuridica Annuale della Municipalità di Pechino il 26 febbraio 1981, riportati in Inside China Mainland, january 1983, Supplement, pp. 8-9.
27 Cfr. Draft of the Revised Constitution of the People's Republic of China, in Beijing Review, vol. 25, n. 19, may 10, 1982, pp. 27-47. Nel Progetto l'articolo sulla libertà religiosa portava il n. 35 (cfr. ibidem, p. 34).
28 Si vedano le osservazioni in proposito di A.S. Lazzarotto, Religious Believers and the "Socialist Spiritual Civilization", in Ding-Tripod, 13, 1982, pp. 64-79 (in particolare pp. 68-69).
29 Cfr. Peng Zhen, Explanations on the Draft of the Revised Constitution of the People's Republic of China, in Beijing Review, vol. 25, n. 19, may 10, 1982, pp. 18-26 (in particolare p. 23).
30 Così il vescovo di Pechino, Fu Tieshan, nella dichiarazione riportata in Xinhua News Agency, may 10, 1982. V. anche A.S. Lazzarotto, art. cit., p. 69.
31 Cfr. Xinhua News Agency, july 1, 1982 e A.S. Lazzarotto, l.c.
32 Sulle minoranze islamiche in Cina, stimate a circa tredici milioni, cfr. P. Corradini, L'Islam in Cina, oggi, in AA.VV., Aspetti dell'Islam marginale, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1983, pp. 45-57.
33 Cfr. D. Giuli Tozzi, L'Islam in Cina. La nascita della Nuova Setta, in op. supra cit., pp. 25-44.
34 Riportato come Documento Zhongfa n. 19, in Issues and Studies, XIX, n. 8, august 1983, pp. 72-90.
35 Sull'argomento, di estremo interesse, si veda, da ultimo, K. Schipper, Le Corps Taoïste, Paris, Fayard, 1982.
36 Cfr. On strenghtening control over Protestant Churches, in Issues and Studies, XIX, n. 10, october 1983, pp. 88-92.

 

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