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SAGGI

L'emigrazione cinese in Italia: il caso di Milano

di Rodolfo A. Giambelli*

* Colgo qui l'occasione per ringraziare tutti i cinesi della comunità di Milano e in particolare tutti coloro che ho avvicinato e che mi hanno fornito le preziose informazioni senza cui questo lavoro non avrebbe potuto avere luogo a di cui mantengo l'anonimato. Un grazie va anche ai responsabili dell'archivio della parrocchia della SS. Trinità in Milano, all'Istituto Italo Cinese, e al servizio anagrafico del Comune di Milano per avermi messo a disposizione i dati in loro possesso relativi alla comunità.



La comunità cinese di Milano: storia e composizione strutturale - La lingua: un problema irrisolto - La città: i luoghi dell'insediamento cinese a Milano - L'attività lavorativa - Elementi di unità a separazione all'interno della comunità - Conclusioni - Bibliografia.

L'emigrazione cinese in Italia data ormai da molto tempo tanto da essersi consolidata in alcuni grandi centri urbani dove questi emigranti hanno saputo formare comunità stabili e di ampie dimensioni (vedi Bologna, Milano, Roma).
Il fenomeno di questa presenza in Italia non è mai stato oggetto di uno studio sistematico che ponesse in luce le motivazioni di questi emigranti e i problemi da loro affrontati una volta giunti in Italia.
Nella prospettiva di un primo passo verso la conoscenza di questi elementi e quale esempio delle varie comunità cinesi sparse sul territorio nazionale vogliamo proporre in questo saggio un'analisi storico-antropologica della comunità cinese di Milano. La sua evoluzione e i problemi che i cinesi di questa comunità hanno affrontato sono un valido modello dei problemi che in generale questi emigranti hanno dovuto affrontare durante il periodo della loro presenza in Italia e un esempio di come siano stati risolti.
La comunità cinese di Milano rappresenta una delle più grosse comunità emigrate all'interno del tessuto urbano milanese, e in termini di durata della presenza sul territorio è sicuramente una delle più anziane; i primi insediamenti cinesi a Milano risalgono agli anni 1920/1930.
Questi emigrati hanno saputo, al di là delle inevitabili tensioni interne, mantenersi compatti attorno a un nucleo originario che si è via via ingrandito nel corso del tempo, tanto che a distanza di circa cinquanta anni dai primi insediamenti sono riusciti a costituirsi in stabile comunità mantenendo così una propria originalità culturale, sia a non farsi disperdere all'interno della società milanese.
Questa comunità non è mai stata oggetto di uno studio a carattere antropologico, o più in generale a carattere storico-sociale; analogo scarso interesse è stato riservato alle altre comunità cinesi residenti sul territorio italiano. Concordiamo quindi con Ng Kwee Choo, autore di una importante monografia sulla comunità cinese di Londra, quando afferma che la ragione di questo apparente disinteresse relativo all'emigrazione cinese sia dovuta al fatto che queste minoranze, nei paesi europei, non hanno mai posto alcun problema alle autorità locali; questo sia per effetto del basso livello della loro presenza che per effetto della loro alta autosufficienza economica. Questo breve lavoro vuole quindi rappresentare un primo tentativo di esplorazione di un territorio finora a torto trascurato. L'analisi è stata condotta attraverso l'osservazione partecipante e principali fonti informative sono stati i racconti orali degli interessati, gli archivi della parrocchia della S.S. Trinità in Milano e alcuni documenti fornitici dal Comune di Milano.

La comunità cinese di Milano: storia e composizione strutturale

Le prime presenze di cittadini cinesi a Milano risalgono al periodo immediatamente posteriore alla prima guerra mondiale.
Durante il conflitto 1914-1918 la Francia aveva richiesto mano d'opera cinese a basso prezzo da impiegare nelle sue industrie svuotate di personale. Al termine della guerra, molti di tali cinesi, con la perdita del lavoro, si dispersero per tutta l'Europa e alcuni di essi si stabilirono a Milano. Tale è, secondo le testimonianze da noi raccolte e come è confermato da Andrea Tsien (Brivio E., 1980 a) la genesi della comunità cinese a Milano.
Dopo questo primo momento migratorio, il flusso di cittadini cinesi proseguì in modo costante fino agli albori della seconda guerra mondiale.
Definiamo come primo flusso migratorio questo che è compreso nel periodo che va dalla prima guerra mondiale alla fine della seconda.
Attualmente a Milano sono pochi i cinesi la cui data di emigrazione può farsi risalire a questo periodo: i più sono ritornati in Cina dopo anni di lavoro in Italia o sono morti. La maggior parte degli emigrati di questo periodo proviene dalla regione dello Zhejiang (Chekiang) e l'agricoltura e il piccolo artigianato erano i lavori svolti nella madrepatría.
L'emigrazione fu storicamente per le classi povere cinesi una via d'uscita alle precarie condizioni di vita in patria.
La motivazione economica dell'emigrazione non fa da sfondo solo alla comunità milanese ma si può dire comune alla maggior parte delle comunità cinesi emigrate; Ng Kwee Choo nella sua analisi della comunità cinese di Londra mette in evidenza come la pressione economica sia il fattore più importante alla base della decisione di emigrare.
Il periodo che va dalla fine della seconda guerra mondiale agli ultimi anni del decennio 1960/70 è particolarmente importante per il popolo cinese e tutto il Sud-est asiatico. Sono gli anni che vedono il formarsi della Repubblica Popolare Cinese (Rpc), il conflitto coreano e la guerra fredda.
L'emigrazione cinese a Milano subisce agli inizi di questo periodo una battuta d'arresto, per poi riprendere vigore al termine del decennio 1960/70. È durante questo periodo, in coincidenza con i mutamenti politici nell'area del sud-est asiatico, che giungono in Italia i primi cinesi provenienti dalla Cina Nazionalista (Taiwan). Accanto alla sempre presente motivazione economica ad espatriare si fa luce per alcuni emigranti una motivazione politica.
Sempre durante questo periodo si registrano anche arrivi da Hong Kong. Definiamo come secondo flusso migratorio quello relativo agli emigranti che giungono in Italia durante questo periodo, in specifico tra gli anni 1950/70.
Gli emigranti di questo periodo e dei periodi successivi si differenziano dai loro predecessori per un dato fondamentale; la maggior parte di essi sa che a Milano esiste già da alcuni anni una comunità cinese in grado di fornire un primo aiuto e ciò toglie molta della tensione e dell'incertezza nell'intraprendere il viaggio dalla Cina in Italia.
Questi nuovi arrivi si avvalgono dell'aiuto che la già stabile comunità cinese molte volte offre loro per superare le difficoltà del primo impatto con la diversità culturale italiana e milanese in particolare.
Questo aiuto si concreta nella messa a disposizione di alloggi all'arrivo in Italia, di facilitazíoni per il vitto, di un'offerta di posti di lavoro nel settore del pellame e della ristorazione e in un aiuto nell'ottenere i permessi di soggiorno in Italia.
A questo secondo flusso di emigranti ne fa seguito un terzo nel periodo che va dagli anni '70 agli anni '80.
Con il riconoscimento da parte dello Stato italiano della Rpc nel 1970, le difficoltà prima poste all'ingresso dei cinesi della Rpc in Italia vengono a cadere.
Si incrementano durante questo periodo anche gli arrivi di emigranti da Hong Kong e Taiwan.
In generale le caratteristiche motivazionali di quest'ultimo flusso migratorio non si discostano dai precedenti: la fuga da situazioni di indigenza, «la ricerca della fortuna in terra straniera» (con queste parole motivò la sua venuta in Italia un giovane ristoratore cinese), la necessità di stabilità economica, sono le giustificazioni che i più danno alla loro venuta in Italia.
Anche per questi emigranti l'inserimento nella vita milanese è facilitato dalla presenza di una comunità cinese in grado di accoglierli.
Non di rado i cinesi che fanno parte del secondo o terzo flusso di emigranti hanno legami di parentela con gli emigranti del primo flusso e sono imparentati tra loro.
Nei primi tempi dell'emigrazione questa era la norma; non tutta la famiglia emigrava contemporaneamente ma gli arrivi erano scaglionati in un lungo periodo di tempo. Di solito prima giungeva il capo famiglia o uno dei figli maschi, quindi in successione gli altri membri del nucleo familiare; l'arrivo di questi nuovi familiari seguiva un ben preciso ordine ed era in funzione delle possibilità di avere un permesso di soggiorno e di lavoro stabile, quindi una sicura possibilità di poter pervenire a una stabile fonte di reddito, e un'abitazione.
Una volta creato un nucleo della famiglia stabile in territorio di emigrazione era più facile per i parenti rimasti in Cina ottenere il permesso all'emigrazione motivandolo con la necessità del ricongiungimento della famiglia.
In tal modo erano selezionate le persone che immigravano in Italia. Se il capo famiglia e alcuni figli erano già in Italia, la moglie e il resto della famiglia poteva più facilmente ottenere il permesso di emigrare dalla Cina e quello di soggiorno in Italia; in alcune famiglie tale tattica era coscientemente messa in pratica tanto che i membri di queste erano specificatamente divisi al fine di obbedire a questa regola.
Tra l'emigrazione del primo esponente di gruppo e il ricongiungimento di tutta la famiglia in Italia poteva passare molto tempo.
Un ulteriore sistema che permetteva di riunire i membri di una famiglia sfruttava la possibilità che gli emigrati possessori di un laboratorio artigianale o di un ristorante tipico avevano di richiedere in Cina l'arrivo di un operaio specializzato da inserire nei loro organici. La persona che successivamente giungeva dalla Cina quale elemento atto a soddisfare questa richiesta era generalmente un parente del richiedente o un suo amico.
Alla luce di questo background storico definiamo la comunità cinese come l'unione, rafforzata da vincoli di parentela di:

a) un primo flusso di emigranti che si situa tra gli anni 1920/1950,
b) un secondo flusso di emigranti che si situa tra gli anni 1950/1970,
c) un terzo flusso di emigranti molto recente che si situa a partire dagli anni 1970 ad oggi.

Da questi tre gruppi principali derivano quindi:
a 1) la prima generazione di cinesi (nati da genitori entrambi cinesi) nati in Italia e direttamente discendenti dal primo flusso; in questo specifico caso questa discendenza forma un gruppo esiguo;
b 2) La seconda generazione di cinesi nati in Italia e direttamente discendenti dal secondo flusso di emigranti.

Dato il lungo lasso di tempo che poteva intercorrere tra l'emigrazione dei diversi membri di una stessa famiglia, succedeva che questi fossero sparsi in modo disomogeneo all'interno dei vari flussi migratori; pertanto abbiamo collegato con delle linee questi gruppi e tali unioni sono un simbolo dei legami parentali che esistono tra questi insiemi.
Accanto a questo gruppo, comprendente i cinesi, esiste, minore per numero dei suoi componenti, il gruppo degli italo-cinesi. Sia gli immigrati cinesi del primo flusso che, in numero minore, i cinesi giunti in epoca successiva, si sono sposati con partner italiani. Il gruppo degli italo-cinesi va considerato sotto molti aspetti esterno alla comunità, in quanto tende a separarsi dalla stessa per integrarsi nella società italiana.
L'analisi diacronica, nell'evidenziare la struttura della comunità, ci permette di osservare come il secondo flusso migratorio coincida con la crescita di una prima generazione di cinesi nati a Milano e come tale evento si riproduca anche nel caso della seconda generazione di cinesi nati a Milano e il terzo flusso migratorio.
Da questo schema emerge l'immagine di una comunità fittamente percorsa al suo interno da legami di parentela che rappresentano uno degli elementi di unità e coesione più forti per un gruppo di emigranti.
A ulteriore chiarificazione di questo schema dobbiamo aggiungere i seguenti elementi:
- fanno parte del primo flusso migratorio esclusivamente persone provenienti dalla Cina quale questo Stato era prima del 1950;
- fanno parte del secondo e terzo flusso sia cittadini della Rpc, sia della Cina Nazionalista (Taiwan), che di Hong Kong.
Non esistono dati esatti sulla consistenza numerica della comunità cinese di Milano in quanto non esiste un censimento generale degli stranieri a Milano e in particolare cinesi; le valutazioni degli appartenenti alla comunità che abbiamo intervistato sono discordanti tra loro, ma si può ritenere che attualmente le presenze siano nell'ordine di 2000/3000 persone.

La lingua: un problema irrisolto

La quasi totalità degli emigrati al loro ingresso in Italia non possedeva nessuna conoscenza della lingua italiana. Anche oggi, a ormai molti anni di distanza dal loro arrivo, non sono pochi i cinesi che hanno difficoltà di carattere linguistico; se la conoscenza della lingua parlata è diffusa, non così si può dire per la lingua scritta: difficoltà nella lettura e nella scrittura dell'italiano sono comuni nei cinesi.
Alcuni anziani, di recente emigrazione, conoscono solo la loro lingua madre. I grossi agglomerati familiari, ancora presenti all'interno della comunità, tendono a segregare linguisticamente le persone più anziane in quanto è la famiglia nel suo complesso che tende ad assolvere ai bisogni di questi ultimi. I contatti con la società ospitante da parte di queste persone sono molto limitati e qualora sorgano particolari problemi o difficoltà c'è sempre un parente disposto a prestarsi come interprete.
In generale gli adulti o le persone giunte a Milano in età lavorativa hanno appreso la lingua italiana tramite il contatto con la popolazione locale; pochi hanno frequentato una scuola regolare e quando ciò è avvenuto il periodo di frequenza è stato sempre molto breve. Nondimeno, abbiamo notato una certa sensibilità al problema dell'apprendimento della lingua da parte dei ristoratori, alcuni dei quali prendono lezioni private.
Era ed è comune l'aiuto linguistico che i figli che frequentano scuole italiane danno ai genitori nella comprensione di un articolo di giornale o programma televisivo. A tali difficoltà si sta ora ponendo riparo con l'istituzione di una specifica scuola per l'insegnamento dell'italiano ai cinesi.
I problemi relativi alla comunicazione non si limitano a quanto sopra specificato ma coinvolgono anche la conservazione del patrimonio linguistico degli emigrati.
I cinesi nati in Italia e in special modo i cinesi della seconda generazione e i figli di cinesi a italiani, dimenticano, a favore della lingua italiana, la conoscenza e l'uso della lingua cinese.
Il fenomeno si va evidenziando nelle nuove generazioni nate in Italia ed è aggravato dalla mancanza di una scuola che serva a tramandare la conoscenza della lingua madre.
La comunicazione in lingua cinese all'interno della comunità è altresì resa difficile dal fatto che non tutti i cinesi provengono dalla stessa regione linguistica.
Seppure è comune a tutti i cinesi l'uso degli ideogrammi, la pronuncia degli stessi varia da regione a regione.
Solo la conoscenza del cinese ufficiale o «mandarino» rende possibile la comunicazione verbale tra due persone appartenenti a due diverse regioni, ma il «mandarino» non è diffusamente conosciuto.
La gran parte degli emigrati di questa comunità proviene dalla regione dello Zhejiang (Chekiang); all'interno del gruppo di cinesi di Milano più diffusi sono alcuni dei dialetti parlati in quella regione della Cina.
Questi dialetti sono il Wenzhou e il Qingtian. Gli emigrati che provengono da Formosa conoscono invece il «Mandarino»; pure conosciuti ma da ristrette frange della popolazione sono il «Cantonese» e il dialetto di Shanghai.
Le differenze tra questi dialetti sono così profonde che alcune volte, due persone che desiderano comunicare tra loro ma che provengono da regioni linguisticamente lontane sono costrette a usare la lingua italiana.
Importante a questo proposito è il considerare come avvenga la trasmissione della cultura linguistica dai genitori ai figli.
Se entrambi i coniugi sono di madre lingua cinese, generalmente il figlio impara la lingua o pur non parlandola ne comprende il significato; ma se la coppia possiede uno solo dei suoi membri di madre lingua cinese allora generalmente il figlio o i figli imparano solamente la lingua italiana.
Tentativi di aprire una scuola cinese per i figli degli emigrati sono stati fatti dalla parrocchia della S.S. Trinità (zona Sarpi) nel periodo in cui era presente nella stessa un prete di origine cinese.
Detti tentativi non hanno però avuto molto seguito; la difficoltà della lingua anzitutto, quindi la dipartita dalla parrocchia del prete che si occupava della scuola hanno rappresentato due forti limiti all'iniziativa, provocandone la fine.
La mancanza di una scuola che insegni il cinese è un problema nei confronti del quale la sensibilità dei cinesi varia grandemente; da un atteggiamento di rassegnazione si passa a un atteggiamento di accorata partecipazione.
In generale, però, la giustificazione che viene data è che le piccole dimensioni della comunità non possono giustificare la creazione di una scuola che dovrebbe essere aiutata finanziariamente dall'ambasciata della Rpc, e d'altro canto all'interno della comunità sono poche le persone sensibilizzate al problema in possesso degli strumenti, della volontà e dei mezzi finanziari adeguati a sostenere una simile iniziativa.

La città:: i luoghi dell'insediamento cinese a Milano

L'area dell'originario insediamento della comunità cinese in Milano è quella che attualmente è delimitata dalle vie: Procaccini, Londonio, Melzi D'Eril, Canonica, C.M. Maggi, Montello, Ceresio.
Nei primi decenni del secolo la zona considerata era al limite dell'area urbana milanese e si presume avesse le caratteristiche di periferia cittadina.
Con la graduale espansione della città, l'area considerata (che chiameremo «zona Sarpi» dal nome della via Paolo Sarpi, una delle più importanti e conosciute vie del quartiere) è venuta gradualmente a inserirsi sempre in maniera più profonda nel tessuto cittadino sino ad assumere attualmente una grande importanza dal punto di vista commerciale e artigianale.
La zona è caratterizzata da forti contrasti; accanto a palazzi costruiti nei primi anni del secolo con cortili interni, piccoli locali e botteghe artigiane, sono presenti nuovi edifici che propongono lussuosi negozi e boutique. Nel fulcro cinese dell'area, l'incrocio tra via Rosmini e via Giusti, i negozi-laboratorio dei cinesi sono uno accanto all'altro.
La residenza è generalmente localizzata nelle vicinanze del negozio, laboratorio o ristorante1.
Se la zona Sarpi ha rappresentato negli anni passati un'area in cui tradizionalmente alloggiavano e lavoravano i cinesi di Milano, ciò non è più completamente vero oggi.
Molti dei laboratori e negozi gestiti da cinesi si sono insediati in aree della città differenti, a volte più redditizie dal punto di vista commerciale e meno congestionate se esaminate in una prospettiva urbanistica.
Anche alcuni ristoranti che inizialmente erano concentrati sia nella zona Sarpi che nella zona di Milano che sta a ridosso della Stazione Centrale delle FF.SS. hanno ampliato la rete dei locali aperti al pubblico a tutto il territorio metropolitano ed anche in alcuni casi alla provincia. L'espansione verso l'area metropolitana nel suo complesso è avvenuta gradatamente e possiamo dire che ancora non sia conclusa; dopo aver saturato le aree sopraccitate, ormai storiche per quanto riguarda gli insediamenti dei primi ristoranti cinesi a Milano, l'imprenditorialità cinese si è spostata verso altri settori della città aprendovi nuovi locali tipici.
Pur rimanendo quindi la zona Sarpi un'area a forte presenza cinese, in nessun modo essa possiede le caratteristiche del «ghetto».
Riferendosi ai problemi posti dalla concentrazione in particolari aree urbane di gruppi razziali e alle loro dinamiche culturali con la società ospitante Lieberson S. in un suo saggio afferma quanto segue:

« ... non solo i modelli residenziali dei gruppi etnici possono essere visti come un elemento significante nello studio della loro assimilazione e come un indicatore di altri elementi di assimilazione ma ulteriormente la segregazione razziale ha effetti su altri aspetti dell'assimilazione.
Hawley ha ipotizzato che 1'isolamento fisico sia la necessaria condizione per mantenere subordinato lo status di un gruppo etnico, e più oltre dice: "La ridistribuzione di un gruppo di minoranza in un modello territoriale identico a quello del gruppo di maggioranza ha come risultato la dissipazione di uno status subordinato e l'assimilazione del gruppo soggiogato nella struttura sociale".
Il ragionamento di Hawley si basa su un duplice effetto della segregazione residenziale che è sia un fattore che mette in risalto le differenze tra i gruppi accentuandone la loro visibilità, che secondariamente un fattore che rende capace la popolazione di conservare i suoi tratti peculiari a la sua struttura di gruppo.»

(Lieberson S., 1961: 52).

L'attività lavorativa

L'attività lavorativa della comunità cinese a Milano è rappresentata da due grossi settori: il settore della produzione di manufatti in pelle e tela (quali borse, cartelle, valige ecc.) e il settore della ristorazione, con la diffusione su tutto il territorio metropolitano di una rete di ristoranti che offrono la cucina tipica cinese.
Lo sviluppo di queste due attività è riconducibile e determinato dai diversi flussi migratori prima descritti.
Al primo gruppo di emigrati è legata l'organizzazione e lo sviluppo della produzione, per la maggior parte basata su strutture artigianali, di manufatti in pellame e tela.
Nel periodo precedente la seconda guerra mondiale l'attività di questi primi emigranti consisteva nella vendita ambulante di piccoli generi: stringhe, mollette, collane ecc.; oltre a ciò questi emigranti, utilizzando le loro capacità di tagliare tessuti e cucire, si misero a confezionare cravatte e borsellini in tela che vendevano sempre nello stesso modo agli abitanti della zona Sarpi.
Durante il periodo terminale della seconda guerra mondiale, il basso costo della mano d'opera cinese e delle merci prodotte favorì l'acquisizione di commesse di lavoro, prima da parte dei tedeschi durante l'occupazione, poi da parte degli americani.
Questi fattori, uniti alla scelta di un'attività lavorativa molto intensa, in molti casi dal primo mattino fino a tarda sera, e ad un modo di vivere frugale determinarono il successo di molte di queste imprese artigiane.
Queste imprese in alcuni casi si strutturavano su un modello di organizzazione produttiva familiare, in altri usufruivano di mano d'opera per lo più femminile e immigrata italiana.
Questo settore produttivo oltre a rappresentare la più importante fonte di reddito e di occupazione per gli emigranti del primo flusso servì anche ad introdurre al lavoro alcuni degli emigranti del secondo flusso.
Gli anni '60 in coincidenza con il nuovo flusso migratorio vedono svilupparsi una nuova attività, l'apertura di ristoranti tipici. Fu la saturazione del settore del pellame a indirizzare inizialmente i nuovi arrivati a operare nel settore della ristorazione. Spesso i cinesi già residenti in Italia concessero ai nuovi arrivati prestiti in denaro.
Queste operazioni erano assicurate e garantite dal fatto che con i primi emigranti residenti a Milano molti dei cinesi del secondo flusso migratorio che aprirono ristoranti o rilevarono botteghe di pellame erano legati da vincoli di parentela con cui impostare questa nuova attività.
Un ristoratore, analizzando il fenomeno della crescita di questi locali ci disse: «Oltre che una possibile occupazione per gli artigiani del settore della pelletteria, il ristorante tipico serve anche a soddisfare i bisogni primari del cinese di più recente emigrazione. Con il ristorante, questi ha garantito il cibo per sé e la sua famiglia, oltre a ciò il ristorante è anche un luogo fisico dove stare e dove incontrarsi con gli altri cinesi della comunità. Le preoccupazioni per la clientela, in questo primo periodo, seguono in ordine d'importanza il soddisfacimento di questi bisogni primari».
Più che nei laboratori di pelletteria è nell'attività della ristorazione che si manifesta il carattere familiare nella conduzione dell'attività.
La necessità di mantenere un'immagine tipica nei confronti del consumatore italiano non permette l'assunzione di personale locale ma bensì coinvolge nella gestione della attività il gruppo cinese.
Generalmente se il ristorante non ha a disposizione una persona in grado di svolgere la mansione di cuoco essa viene contattata e richiesta in Cina o ad Hong Kong.
Inizialmente erano presenti difficoltà nell'approvvigionamento dei cibi per cui i pochi ristoranti presenti a Milano agli inizi degli anni '60 erano costretti a rifornirsi dei cibi particolari della cucina cinese presso le comunità cinesi di Londra o Parigi.
Ora con l'accrescersi del numero dei locali si è creato anche un mercato di supporto che fornisce le materie prime.
Ai pochi ristoranti presenti agli inizi degli anni '60, che fornivano al consumatore italiano una proposta culinaria a carattere esotico disponibile ad un prezzo medio-alto si contrappone ora, per l'aumento del numero dei locali, l'esigenza di ampliare la fascia sociale dei possibili consumatori con l'adozione di prezzi bassi e di menù a prezzo fisso. Diversi ristoratori cinesi valutano nel numero di 60 i ristoranti tipici attualmente in funzione a Milano.
Molti dei locali che successivamente agli anni '60 sono stati aperti al pubblico hanno avuto come proprietari ex cuochi che lavoravano nei primi ristoranti cinesi di Milano. L'excursus che possiamo considerare comune a buona parte di questi ristoratori è il seguente:
a) il cuoco giunge in Italia proveniente dalla Cina su richiesta di un ristorante cinese,
b) svolge la mansione in un ristorante per diversi anni,
c) dopo aver accumulato un capitale di base, da solo o in società con altri cinesi o con parenti, apre un ristorante,
d) a sua volta questo nuovo proprietario al manifestarsi di scarsità di mano d'opera in rapporto alla mole di lavoro richiesto dalla clientela richiede in patria altri cuochi o lavoranti.
È difficile stimare le caratteristiche produttive e occupazionali dei due settori lavorativi sopraccitati; a tale proposito non esistono dati.
Sia da parte dei proprietari dei negozi di pelletteria che dei lavoratori come dei ristoratori vi è un comprensibile riserbo nel comunicare informazioni sui caratteri economico-finanziari e produttivi della loro attività.
Nei settori della pelletteria e della valigeria la maggioranza delle imprese di proprietà cinese o italo-cinese è a carattere artigianale, poche sono le imprese che superano i quindici addetti, in generale si ha una polverizzazione dell'attività produttiva e distributiva.
La produzione di queste imprese è generalmente destinata al mercato locale o italiano, sono poche quelle che esportano prodotti finiti in altri paesi.
La qualità di questi prodotti è grandemente variabile, si passa da manufatti a basso costo che utilizzano per la produzione derivati di materie plastiche, quali lo skai o il nylon ecc., a raffinati prodotti in pelle.
Anche per il settore della ristorazione cinese a Milano non sono disponibili dati. Le considerazioni che riportiamo sono fatte in base alle visite a ai colloqui fatti con i ristoratori cinesi e ai pochi dati fornitici sull'intero settore dal comune di Milano.
Come per l'area della pelletteria, anche qui la maggioranza delle imprese sono a carattere familiare ed artigianale, i dati medi su tutto il territorio comunale indicano in 4,6 il numero degli addetti impiegati per impresa lavorativa. I ristoratori cinesi sono ormai presenti in tutti i quartieri della città; e se la primitiva ubicazione degli stessi nel quartiere Sarpi o nelle sue vicinanze poteva suggerire che gli stessi fossero più ad uso della clientela di origine cinese, ciò oggi non è più vero.
L'adesione di molti di questi locali ad un sistema di ristorazione convenzionato e a basso prezzo richiama in questi locali sempre maggior pubblico di Milano; inoltre i ristoranti cinesi rimangono il luogo privilegiato dove molti asiatici in visita a Milano preferiscono mangiare, molti dei giapponesi presenti a Milano per lavoro vi si recano regolarmente.
L'aumento di pubblico italiano, spiegabile oltre che per i bassi prezzi di molti di questi locali e dalla qualità della cucina cinese, è da collegarsi anche alla tendenza ad occidentalizzare i gusti e i caratteri originali di questa ultima in modo che sia più facile per il commensale italiano, digiuno di cibo e cultura cinese, accettarne i gusti e le caratteristiche.
Questa tendenza si nota anche nella adesione ai criteri occidentali nella divisione del pasto che in genere tutti i ristoranti cinesi a Milano e probabilmente in Europa hanno adottato.
Da una cucina in cui la divisione delle portate è determinata dal gusto di ogni singolo piatto (dolce, agro-dolce, agro ecc.), si passa ad un menù che prevede per il cliente occidentale antipasti, primi piatti, secondi piatti ecc. Non fa quindi meraviglia che accanto a tè o ai bastoncini, indispensabili elementi della cucina cinese, siano presenti ora posate occidentali, il vino e la birra.
Il settore della vendita e della rappresentanza di prodotti artigianali cinesi è un'altra area occupazionale di questi emigrati. Con l'espansione della comunità sono sorte necessità di procurarsi cibi e oggetti della cucina classica cinese, difficilmente rintracciabili in occidente. In un primo tempo questo mercato era gestito esclusivamente da poche persone ed esigue erano le richieste; con l'aumento sia di cinesi che dei ristoranti a cucina caratteristica, le richieste di prodotti tipici sono andate via via aumentando tanto che ora vi sono degli importatori che si occupano esclusivamente della fornitura ai ristoranti sia degli utensili tipici per la cucina sia dei cibi. Accanto a questo settore si è sviluppato più tardi un'area per la diffusione dei prodotti caratteristici dell'artigianato cinese. Attraverso la proposizione di questi oggetti prima nelle mostre specializzate quindi più direttamente al pubblico attraverso negozi, questa varietà di prodotti ha trovato una sua area di diffusione specifica tanto che attualmente l'apertura di un negozio per la vendita di prodotti artigianali rappresenta una valida alternativa commerciale a occupazionale al settore della pelletteria e a quello della ristorazione.
Questi modelli lavorativi sono comuni a buona parte della comunità cinese; pochi, invece, sono i cinesi impiegati nei grandi complessi industriali milanesi.
Ng Kwee Choo in uno studio della comunità cinese di Londra, in relazione al problema occupazionale, riporta le seguenti considerazioni:

«Al contrario degli emigranti provenienti dal Commonwealth, pochi o quasi nessun cinese è impiegato come lavoratore manuale nelle industrie o nei pubblici servizi. Questa mancanza di partecipazione degli emigranti cinesi nelle industrie britanniche o nel settore dei servizi può essere attribuita a molti fattori. I due più importanti sono: molti cinesi emigranti non parlano inglese e questo limita severamente la loro opportunità di impiego; secondo, e forse più importante per molti di essi, è stato un loro parente che ha reso possibile l'emigrazione. Da quando molti di questi parenti sono impiegati in ristoranti cinesi non sorprende che i nuovi emigranti scelgano di unirsi a loro. »
(N'g Kwee Choo, 1968: 27).

Riteniamo che la storia delle tipologie occupazionali della comunità cinese di Milano si accordi con queste considerazioni, in virtù di quanto esposto in precedenza.
La definizione di aree molto precise di lavoro definisce anche un modello occupazionale che si è andato costruendo nel tempo all'interno della comunità e che ha visto la tendenza a conservare almeno per alcuni settori occupazionali la matrice culturale cinese.
La conservazione della propria matrice culturale ha in alcuni casi (questo vale soprattutto per il primo e secondo flusso di emigrati) come contropartita la tendenza ad isolarsi dalla società ospitante.
Alla richiesta se i ristoratori avessero assidui rapporti con italiani oltre l'orario di lavoro, rapporti che fossero di amicizia, pochi hanno risposto in senso affermativo. Ng Kwee Choo riprende lo stesso fenomeno nella comunità cinese di Londra, mettendo in luce un graduale isolamento degli stessi cinesi «da ogni contatto sociale con i membri della società ospitante eccetto la simbiotica relazione tra cameriere a cliente».
(Ng Kwee Choo, 1968 : 35).

Elementi di unità e separazione all'interno della comunità

La comunità cinese di Milano sembra presentarsi agli occhi di un osservatore esterno come un gruppo unito ed omogeneo al suo interno, quale non è completamente.
In realtà sono presenti attriti tra i suoi componenti. Rivalità a carattere commerciale e dissapori familiari definiscono parte delle dinamiche nelle relazioni interne al gruppo.
Al di là di questa micro-conflittualità vogliamo porre l'accento su una più grossa divisione che la comunità ha al suo interno; una parte dei cinesi si riconosce, aderisce ai principi e alla ideologia, o proviene e ne possiede la nazionalità della Rpc, l'altra parte è invece legata con lo stesso tipo di relazione con la Cina Nazionalista.
Tale divisione riproduce l'attuale divisione politica tra la Cina popolare a la Cina Nazionalista.
Prima della seconda guerra mondiale tutti gli emigranti che provenivano dalla Cina, Manciuria esclusa, possedevano un'identica nazionalità2.
A partire dal 1949, con l'apparire dei primi profughi da Taiwan e successivamente con l'arrivo degli emigranti della R.P.C., si è riprodotta la divisione presente nella madre patria.
Il quadro che si compone all'interno della comunità è il seguente:
a) una parte della comunità si riconosce nella Rpc, e ne ha il passaporto;
b) un'altra parte si riconosce nella Cina Nazionalista, e ne ha il passaporto;
c) il gruppo di cinesi che ha acquisito la nazionalità italiana, pur non schierandosi apertamente, divide le proprie simpatie politiche a favore dell'una o dell'altra.
La scelta di campo determinata dall'avere una ben precisa nazionalità, o dall'aderire ad un definito principio politico hanno la loro più evidente espressione nella celebrazione di due feste nell'occasione delle feste nazionali.
Uno dei modi importanti per un emigrato cinese di ricordare il proprio paese è di celebrarne la festa nazionale; ciò aiuta anche a ritrovare un'unità all'interno del gruppo nel comune riconoscersi in una precisa identità. Si hanno così due differenti celebrazioni: una in occasione della festa nazionale della Rpc il 1° Ottobre, una per la festa nazionale della Cina Nazionalista il 10 Ottobre.
Queste ricorrenze vengono generalmente festeggiate in uno dei tanti ristoranti cinesi disponibili con un affollato pranzo a cui partecipano personalità della comunità e rappresentanti delle organizzazioni di amicizia italo-cinesi. Questa divisione pur se riconosciuta da tutti i componenti della comunità difficilmente traspare all'esterno di essa.
Differentemente da questi momenti in cui si esplicitano le tendenze della comunità a frazionarsi vi è tutto un territorio di incontri comuni in cui, per così dire, le divisioni rimangono in sospeso.
Ci riferiamo in specifico agli incontri a cui i cinesi partecipano per festeggiare il capodanno cinese, o matrimoni, o per inaugurare nuovi esercizi commerciali, in genere dei ristoranti.
Per i cinesi un modo di manifestare la loro peculiarità culturale e di rimanere attaccati alle tradizioni è quello di festeggiare il Capodanno cinese, che non coincide con l'omologo determinato dal calendario solare in vigore nel mondo occidentale e cade tra fine gennaio a fine febbraio.
Il capodanno è un'occasione di festa, e in quella data generalmente tutta la famiglia si riunisce per una cena comune; per questa occasione alcuni degli esercizi commerciali cinesi effettuano un'apertura al pubblico limitata e nel caso dei numerosi ristoranti questi chiudono anzitempo e i proprietari o i gestori organizzano per loro e per i loro intimi una preziosa cena a base di piatti preparati espressamente per quel giorno di festa.
Le feste di matrimonio sono un altro momento in cui i cinesi tradizionalmente ritrovano la loro unità.
Agli albori dell'insediamento della comunità cinese a Milano quando qualcuno di questa si sposava generalmente tutte le persone della comunità venivano invitate alla festa di nozze che si teneva di norma in uno dei pochi ristoranti cinesi presenti a quella data a Milano.
Questo risultava possibile dato il limitato numero delle persone facenti parte la comunità, e per il fatto che tutte queste persone si conoscessero e che il legame tra loro fosse molto forte.
Oggi questo non è più possibile perché le dimensioni che la comunità ha assunto non permettono più relazioni cosi estese tra i suoi appartenenti, perché parte della cultura cinese si è persa a contatto con il modo di vivere italiano.
Alcune di queste feste attualmente non trovano più nel ristorante cinese il luogo privilegiato della loro celebrazione ma si aprono alle possibilità offerte dal mercato dei locali italiani.
Succede spesso che in coincidenza di matrimoni tra cinesi e italiani il ristorante italiano venga preferito a quello tradizionale cinese.
Solo feste per il matrimonio di qualche persona molto importante riescono a coinvolgere parte della comunità; in queste occasioni la qualità del matrimonio è determinata dalla importanza delle persone che vi partecipano e dal numero degli invitati.
Nei primi tempi dell'insediamento cinese a Milano, quando questi locali caratteristici erano veramente pochi, ulteriore momento di incontro e di festa era l'apertura al pubblico di un nuovo ristorante cinese. Quando si apriva un nuovo ristorante era d'uso fare una piccola festa in anteprima invitando amici a conoscenti.
La festa serviva al duplice scopo di far conoscere il locale e la qualità della sua cucina ai componenti della comunità, e di far ritrovare gli stessi in un piacevole momento.
Un comune luogo di incontro dei cinesi era il bar al n. 35 di via Canonica che rappresentava un punto di aggregazione importante per la zona Sarpi; il bar era frequentato quasi esclusivamente da cinesi e i cinesi della zona lo ricordano come sempre molto affollato. (vedi Brivio E., 1980 a).

Conclusioni

Nella luce di quanto esposto in precedenza e in accordo con le informazioni dei cinesi intervistati possiamo affermare che in generale i rapporti dei cinesi, sia individualmente presi che come comunità, con la popolazione locale son sempre stati ottimi. Ciò ha facilitato sia l'instaurarsi di rapporti di parentela attraverso le unioni matrimoniali, sia le collaborazioni di lavoro; molti cinesi hanno sposato donne italiane, mentre negozi e laboratori artigianali cinesi hanno assunto mano d'opera italiana.
Le particolari tipologie occupazionali dei cinesi a Milano hanno avuto come effetto indotto quello di risparmiare la comunità da conflitti nel campo del lavoro.
Più in generale sono assenti fenomeni di razzismo o di discriminazione razziale nei loro confronti.
In conclusione possiamo affermare che questa comunità ha saputo ritagliarsi un suo preciso spazio all'interno della società milanese. Spazio che ha garantito che il modello culturale e di vita di cui sono originari portatori questi emigranti non fosse totalmente disperso o assorbito dalla società che li ospita.

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MONDO CINESE N. 48, DICEMBRE 1984

Note

1 Per maggiori informazioni relative al carattere urbanistico della zona in rapporto alle minoranze insediate vedi: Bacchetta M., 1980/1981. 
2 Alla fine del conflitto ripresero vigore in Cina le lotte tra i comunisti e le forze del Guomindang (Kuomintang). Il 1° ottobre 1949 con la vittoria delle armate comuniste, Mao Zedong (Mao Tse-tung) proclamava a Pechino la nascita della Rpc. Nel dicembre dello stesso anno Jiang Jieshi (Chiang Kai-Shek) si ritirava dalla Cina continentale e si rifugiava sull'isola di Taiwan con le restanti forze del Guomindang e due milioni di profughi. Taiwan divenne la sede del governo della Repubblica della Cina Nazionalista. Questa evoluzione storica si è riflessa sugli emigrati cinesi e sulle comunità che essi hanno formato 

 

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