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SAGGI

Cose di poco conto; alcune riflessioni sulle cosiddette "arti minori" in Cina.
Il caso dell'arte dell'intaglio dei sigilli

di Elisabetta Corsi

La maggior parte dei libri di arte cinese scritti in occidente fino a pochi anni fa rivelava una spiccata preferenza per la pittura, a tutto svantaggio della scultura e, ancor più, delle cosiddette "arti minori".
La porcellana rappresentava forse l'unica eccezione, ma ciò era dovuto principalmente all'effetto prodotto dall'immenso successo che i manufatti in porcellana avevano avuto nel mercato europeo sin dal '700. Eppure, anche in questo caso, gli artisti erano stati costretti ad adattarsi ai gusti dei loro clienti stranieri, "occidentalizzando", per cosi dire i loro prodotti. Ma questa, come dicevamo, era una eccezione.

"Arti minori" è un termine infausto, che indica appunto una discriminazione qualitativa tra arti cosiddette "maggiori" e "minori".

La sua storia è lunga e complessa e le sue origini possono in qualche modo farsi risalire al famoso detto di Leonardo, che la pittura è superiore alla scultura per il fatto che lo scultore nell'esercizio dell'arte sua "si sporca le mani".

Successivamente la questione si complica col sopraggiungere delle estetiche illuministe e romantiche, alle quali si associa anche una concezione dell'artista come elemento avulso dalla società, distaccato dai problemi pratici della vita, restio al contatto coi committenti e riluttante al rapporto diretto col danaro. È chiaro che, per converso, colui il quale si dedica alle "arti applicate", l'artigiano, proprio a causa di questo suo rapporto diretto con la clientela, coi venditori di materie prime, e per la natura stessa dell'arte sua, si vede screditato ad un ruolo secondario.

Questa ideologia si ritrova nell'Ottocento associata alla concezione estetica della assoluta inutilità o non-utilità dell'arte, quella con la "a" maiuscola, art for art's sake, cui si oppongono le "arti applicate", che si dicono "applicate" proprio perché associano alla finalità estetica, che pure viene loro riconosciuta, una finalità pratica.

Questa in breve la situazione. Una situazione che potrebbe esser stata facilmente condivisa dai cinesi. È nota la tradizionale repulsione degli artisti cinesi per la mercificazione della loro arte. Quando verso la fine dei Song Settentrionali (960-1126) si sviluppa il paesaggio monocromo, si abbandona gradualmente il naturalismo che aveva caratterizzato la pittura di paesaggio del primo periodo ed essa si fa sempre più astratta e dipendente dai modi del passato. Questo cambiamento coincide con la ideologia del wen ren, del letterato-funzionario, che rifugge ogni specializzazione, che se è inquadrato nella carriera dello Stato, dichiara che la sua attività principale è, appunto, la pittura o la calligrafia, ma che odia i professionisti, gli accademici, coloro i quali cioè sono costretti a vendere le proprie opere per vivere1 . Questa tendenza troverà il suo culmine nelle estetiche di Mo Shilong (f.1552-1587), e del suo più famoso amico, Dong Qichang (1555-1636), volte ad una esaltazione quasi narcisistica della espressività individuale.

Nel caso di quest'ultimo, sul quale vale la pena soffermarsi per un istante, data la larga influenza che le sue concezioni estetiche hanno avuto, l'autoesaltazione di sé viene spinta ad un tale parossismo che il semplice titolo di "paesaggio" viene preferito a qualsiasi titolo che indichi un luogo in particolare, non essendo più il riferimento con la realtà di alcuna importanza. L'opera è solo un pretesto per parlare di sé stessi, è quasi un monologo o comunque un dialogo tra i membri della ristretta cerchia degli amici di Dong che ne condividono gli ideali. In realtà, essendo stato iniziato tardi all'arte, ma non solo per questo, Dong doveva essere consapevole di non possedere doti tecniche particolari, quelle doti che caratterizzavano invece lo stile sciolto e minuzioso di Zhao Mengfu (1254-1322), stile che egli criticava nella sua troppo famosa suddivisione tra Scuola Settentrionale e Scuola Meridionale. Quando un giorno qualcuno dei suoi gli disse che il dipinto che aveva appena terminato non somigliava affatto al suo modello, egli ebbe a dire che era sciocco ricercare una assoluta fedeltà al modello; anche copiando dai grandi maestri del passato l'obiettivo principale era esprimere se stessi!

Anche se la Cina non ha mai conosciuto una discriminazione netta tra arti cosiddette "maggiori" o "minori", tuttavia si riconosceva alla pittura e prima ancora alla calligrafia, un primato assoluto sulle altri arti. La Cina è il paese che, se può vantare schiere di Leonardo e di Raffaello, non possiede un Michelangelo Buonarroti, e forse neppure un Leon Battista Alberti. Ciò non perché non abbia avuto scultori e architetti di valore, ma semplicemente perché non ne ha conservato la memoria. E che ciò accadesse in una civiltà che aveva il culto della memoria storica, della parola scritta, è certamente dovuta non al caso ma ad una scelta ideologica.

Il culto della parola scritta si diceva, e ciò ci riporta al punto di partenza.
Quando nei capitoli di opere come il Mo jing, "Classico dell'inchiostro", o il Wen fang si pu, "Trattato sui quattro tesori dello studio del letterato" o il Kao pan yu shi, "Note di poco conto sugli oggetti del letterato nel suo eremo", troviamo liste di fabbricanti di inchiostro e persino brevi biografie dei più famosi; se pensiamo che noi conosciamo il nome dell'inventore del pennello in Cina, Meng Tian, e che sappiamo qual era la carta preferita dalla poetessa Xue Tao (768-831) che ella stessa voleva fabbricare da sé, ci vengono alla mente una domanda e una considerazione.

La domanda è: "Perché dare alla posterità la memoria, a volte nei più minuziosi dettagli, della vita e dell'attività di questi "artigiani", includendo le loro biografie nelle storie dinastiche, sovente fianco a fianco con quelle dei pittori più famosi, e non invece darci i nomi degli architetti dei più grandi palazzi e templi, o degli scultori, che so, di quelle belle statue di Guan Yin che si ammirano nei maggiori musei del mondo?"

La considerazione è: se i letterati e gli artisti che scrivevano questi trattati conoscevano così dettagliatamente le ricette per la fabbricazione di certi tipi di inchiostro o di carta, non potevano non avere una conoscenza diretta di questi procedimenti. Così come i nostri artisti avevano quasi sempre ricevuto i primi rudimenti dell'arte a "bottega", sapevano fare da sé i colori e, pur non volendo "sporcarsi le mani" o dichiarando di ignorare i limiti e il volere imposti dalla committenza alla propria arte, erano costretti ad una realtà ben diversa da quella ideale che essi stessi avevano creato e che propagandavano, nello stesso modo i letterati-artisti cinesi non rifuggivano da queste pratiche, anche se, chissà forse per tema di essere considerati poco ortodossi, le chiamavano yu shi, "cose di poco conto".

La intrinseca unicità della pittura e della calligrafia in Cina, ha fatto sì che non solo le concezioni estetiche che presiedevano le due arti fossero simili, ma che anche gli strumenti coi quali queste arti si attuavano fossero gli stessi. La considerazione nella quale tali strumenti venivano tenuti è tale da potersi in alcuni casi considerare vera e propria venerazione. Ciò ovviamente si deve in primo luogo al loro rapporto con la scrittura.

Sugli strumenti fondamentali, i wen fang si bao o wen fang si you, "i quattro tesori dello studio del letterato" o "i quattro amici dello studio del letterato" - e cioè la carta, l'inchiostro, il pennello e la pietra - esiste una letteratura "per addetti ai lavori", che durante l'epoca Ming si fa particolarmente abbondante. È una letteratura tecnica che contiene prescrizioni circa la manifattura di questi strumenti, alla quale, come abbiamo già detto, sovente i letterati si dedicavano, nonché indicazioni circa i criteri di giudizio che informavano il collezionismo di tali oggetti, pratica anch'essa assai diffusa tra i membri dell'intellighenzia. Non erano dunque semplicemente oggetti d'uso ma possedevano una qualità estetica per sé. Lo studio di tali oggetti, così come dei trattati che li descrivono, è di grande utilità non solo ai fini della storia della cultura materiale, ma soprattutto per il bagaglio di informazioni che può offrire allo storico dell'arte, spesso alle prese con problemi di difficile soluzione, come quello, noto, delle attribuzioni. Attraverso queste fonti possiamo infatti ottenere notizie inedite circa le preferenze di pittori famosi per certi tipi di carta o inchiostro.

Esisteva dunque una relazione assai stretta, ed in certi casi, addirittura un'identità tra questi "artigiani" e i pittori-letterati.
Uno dei maggiori centri di fabbricazione di panetti da inchiostro, ove erano anche le cave che fornivano le pietre da inchiostro di tipo she, era Huizhou. Huizhou non era famoso però soltanto per l'inchiostro e le pietre, ma anche e soprattutto per la sua lunga tradizione culturale che aveva dato pittori, illustratori, incisori e "stampatori". Durante l'epoca Ming, Huizhou è il centro ove nasce e si sviluppa la stampa a colori su matrice di legno. Per quanto si sa il primo testo ad essere stato stampato con questa tecnica è il Chen shi mo yuan, un libro che contiene illustrazioni di decorazioni per i panetti di inchiostro, eseguite dal pittore Ding Yunpeng, stampato nel 1606 da Cheng Dayue e Cheng Shifang, due fratelli esperti nella manifattura di panetti da inchiostro a Huizhou. In questo delicato e paziente lavoro di incisione della matrice che doveva servire a fabbricare poi la barretta d'inchiostro, Cheng Dayue assoldò anche artisti e maestri artigiani. Egli rappresenta un caso eclatante di "artigiano" assurto al ruolo di arbiter, la cui posizione sociale gli permise di ricoprire alcuni incarichi governativi, di offrire alcuni dei suoi manufatti all'imperatore Wanli (r. 1573-1619), e di farsi inviare disegni e progetti dai maggiori artisti e letterati dell'epoca, incluso Matteo Ricci (1552-1610), Li Madou, che, come è noto, gli fornì alcune incisioni con "Cristo e i pescatori", "San Pietro e la Pesca miracolosa" e altre2 . Esse furono raccolte in una appendice intitolata Xi zi qi ji, "Scritti e miracoli occidentali", che conteneva anche note esplicative e un post scriptum dello stesso Ricci.

I wenfang si bao non erano però gli unici strumenti della calligrafia e della pittura, giacché esistevano tutta una serie di altri accessori che costituivano l'equipaggiamento completo, gli "strumenti del mestiere", dei letterati. Essi, assai ricercati dai collezionisti, occupano un loro posto nella trattatistica specializzata. Sono: porta-pennelli, bitong, supporti per il polso, bige, (sui quali riposano il polso e l'avambraccio durante la calligrafia), paraventi per l'inchiostro, cha ping (dietro ai quali si ponevano i recipienti con l'inchiostro già preparato per evitare che si seccasse), poggia-pennelli, bishan, incensieri, xiang lu, e dulcis in fundo - poiché il lettore si sarà probabilmente chiesto dove fossero andati a finire, giacché è con essi che dovevamo cominciare la nostra storia - sigilli, yin.

Artisti del "pennello di ferro"

I sigilli - asticciole di varie forme e dimensioni, per lo più rettangolari o cilindriche e di vari materiali, dapprima terracotta e bronzo, successivamente giada e pietra saponaria, o anche bambù e cristallo - cominciano ad essere utilizzati già nel 2000 a.C. dagli sciamani sulle ossa oracolari. Erano noti a quel tempo col nome di xi.

Durante il periodo Zhou (1122-221 a.C.) diventa comune l'uso di siglare documenti ufficiali e resoconti di riti sacrificali con sigilli. Fu solo dopo la dinastia Qin (221-206 a.C.), quando si operò una distinzione tra i sigilli ufficiali e quelli, di dimensioni ridotte, di uso personale, che il termine xi, passò a designare solo il sigillo imperiale o di Stato, mentre per tutti gli altri fu adottato il termine yin.

I sigilli sono associati ad un particolare stile calligrafico in voga durante i periodi Zhou (1050-221 a.C.), Qin (221-207 a.C.) e parte del periodo Han (206 a.C. - 220 d.C.), noto col nome di zhuanshu e tuttora utilizzato nell'intaglio delle legende dei sigilli. Ne esistono due varianti, quella nota come dazhuan o "great seal script", che è la più antica, e la xiaozhuan, o "small seal script", che, come è noto, fu introdotta da Li Si, nel quadro delle riforme volute dal primo imperatore della Cina, Qin Shihuang (221-210 a. C.).

Queste due varianti hanno dato origine col tempo a numerosi stili, utilizzati fino ai giorni nostri e tutti riconducibili all'una o all'altra variante.

Quanto alla legenda dei sigilli e alla tecnica mediante la quale essa viene intagliata, distinguiamo tra yinwen, sigillo "a intaglio", cioè con i caratteri in bianco su fondo rosso, e yangwen, sigillo "a rilievo", cioè coi caratteri rossi su campitura bianca.

Fino a tutto il periodo Ming (1368-1644) i sigilli coi nomi propri degli artisti, cioè quelli apposti immediatamente dopo la firma, erano esclusivamente in yinwen, mentre quelli di "fantasia" erano in yangwen. Questa distinzione non venne più osservata però con l'avvento della dinastia Qing (1644-1911).

Abbiamo chiamato "sigilli di fantasia" tutti quei sigilli che anziché il puro e semplice xingming, riproducono pseudonimi, nomi di località particolari, come ad esempio il luogo di nascita, nomi degli studi degli artisti e persino citazioni letterarie.

Nel periodo Tang (618-905) hanno origine anche i sigilli dei collezionisti, che però raggiungono la popolarità solo in epoca Song. Ci riferiamo qui alla moda dei letterati cinesi di apporre il proprio sigillo sui dipinti collezionati. È noto che taluni dipinti risultano a volte guastati dalla presenza di tanti sigilli di collezionisti, e ciò perché i dipinti passavano spesso attraverso numerose mani. Questo vale soprattutto per i dipinti provenienti dalle collezioni imperiali.

È tipico il caso dell'imperatore Qian Long (1711-1799; r. 1736-1795), il quale, ancora prima di ascendere al trono, diede inizio alla irritante pratica di iscrivere molti dei dipinti del palazzo con calligrafie sue e vergarli con sigilli (Kahn, 1971:135). Si trattava invero di una tradizione vagliata dai secoli, quella di esprimere la propria ammirazione per la grazia e la bellezza di un dipinto facendo ricorso sovente ad un componimento in versi apposto dal suo proprietario su un lato o in cima all'opera stessa. Nel caso di Qian Long però, se si pensa che riuscì a comporre cinquantaquattro iscrizioni su di uno stesso dipinto e che possedeva almeno duecentosedici sigilli, tredici dei quali riuscì ad utilizzare su un solo rotolo (Kahn, 1971:136), ci sono i presupposti per credere che il diligente imperatore fosse affetto da un certo egocentrismo!

Siccome i sigilli di uso ufficiale avevano uno scopo eminentemente utilitario, furono assai pochi i cambiamenti cui andarono soggetti nel corso dei secoli. Per quanto invece riguarda i sigilli personali, il loro intaglio e la loro composizione assursero al ruolo di vera e propria arte. Questo cambiamento sostanziale si ebbe a partire dal periodo Ming, anche se i suoi presupposti si trovano già in epoca Song. È allora che, cessando di essere assoluto dominio degli artigiani professionisti, l'arte dell'intaglio dei sigilli viene, alla stessa stregua della pittura e della calligrafia, ad entrare nel dominio delle attività più consone al wenren, al letterato-funzionario.

È lo stesso destino che tocca alla manifattura della carta o dell'inchiostro, quel riscatto cui abbiamo accennato sopra, per mezzo del quale attività dapprima di esclusivo dominio di sconosciuti artigiani, si elevano a maggiore dignità, si rivestono di nuova importanza, diventando parte del bagaglio di interessi delle classi colte che, praticandole, intendono sfruttarne tutte le potenzialità espressive.

È l'inizio del tiebi, "l'arte del pennello di ferro", della quale Wen Peng (1498-1573)3 e He Zhen (ca. 1530 - ca. 1604), sono considerati i capiscuola. Essi vollero rifarsi ai modelli Qin e Han, dichiarando di voler ritrovare la "rustica semplicità", gusu, di quelle epoche. Essi introdussero inoltre la moda di incidere data e firma dell'intagliatore su uno dei lati del sigillo, unitamente a brevi poesie o dediche. Tali iscrizioni si chiamano kuan, esattamente come quelle aggiunte dai pittori ai loro dipinti.

Il che è certamente indicativo del nuovo status sociale attribuito a questa arte.4 Come già accennato, i sigilli vennero col tempo ad essere considerati come oggetti d'arte veri e propri e, a partire dal sedicesimo secolo, si vollero addirittura codificare quelle qualità estetiche che un buon sigillo doveva possedere. In tal modo, così come in pittura abbiamo i famosi liufa, o Sei Canoni, altrettanti canoni vennero coniati per l'arte dell'intaglio dei sigilli. Essa venne eguagliata ad altre arti quali la prosa, la poesia, la calligrafia e la pittura. Fu proprio la diffusione della moda del collezionismo dei sigilli a dare impulso alla letteratura tecnica ad essi legata, nonché ai cosiddetti yinpu, raccolte di impressioni di sigilli ad uso appunto di esperti e di collezionisti.

Chi volesse approfondire questo argomento dovrebbe leggere in primo luogo il pionieristico, e per molti versi ancora insuperato, testo di R. H. van Gulik (1958). Egli dedica una intera sezione del suo libro a The Connoisseurship of Seals (pp. 417-457): una vera e propria miniera di informazioni relative ai diversi tipi di sigilli e di impressioni di sigilli che compaiono sui dipinti cinesi e giapponesi ed alla terminologia tecnica che si incontra nella letteratura specializzata.

Van Gulik fu senza dubbio il primo studioso ad avvertire la necessità di riportare gli studi dedicati alle arti visive cinesi e giapponesi in occidente "down to earth", essendo essi, ancora verso la metà del nostro secolo, ancorati alle estetiche idealiste e puro-visibiliste, e dunque del tutto scevri di riferimenti storici e filologici. Dotato di un impeccabile bagaglio linguistico, i molti anni passati in Oriente nel servizio diplomatico, gli permisero di apprendere e di praticare non solo la pittura e la calligrafia, ma anche le arti del montaggio dei rotoli, della fabbricazione della carta e dell'intaglio dei sigilli.

Egli sentì che tutte queste arti erano connesse in Oriente, che nessuna prescindeva dall'altra, che non si poteva essere, secondo la mentalità cinese, un buon pittore o un buon calligrafo, senza essere allo stesso tempo un conoscitore di carta e un intenditore di pietre da inchiostro.
Avvertì dunque l'importanza di riportare gli studi di pittura a contatto con la cultura materiale - e la pratica artigianale della quale essa è sorella, tenendo a mente il famoso avvertimento di Benjamin March:

"He who would study a technique without using his hands may be compared to one who would learn to swim without going into the water. Limiting oneself to two means of acquiring knowledge, the eye and the ear, when a third, the band, is available, is like driving an automobile always in second gear. The appreciation of mastery matures in direct proportion to the extent and quality of the understanding of the problems solved in the achievement of mastery."

(1935: IX)


La lezione è stata recepita oggi da alcuni studiosi, come ad esempio Hugh and Paul Moss, i quali dedicano la loro attività di studiosi e antiquari alla diffusione della conoscenza dei cosiddetti scholar's items, cioè quegli oggetti, compresi "i quattro tesori", dei quali i letterati amavano circondarsi e che diedero vita, specie durante la dinastia Ming, ad una vasta letteratura specializzata cui si è fatta menzione all'inizio.

È opportuno a questo punto ricordare l'importanza dei sigilli ai fini della autenticazione dei dipinti cinesi. Anche se, come già avvertiva van Gulik, "the seal does rarely supply conclusive evidence as to the date and authenticity of an antique scroll", tuttavia ci può fornire "valuable secondary clues and nearly always contributes to our knowledge of the artist, and of the scroll's history" (Gulik, 1958: 437).
Una discussione approfondita di queste problematiche ci porterebbe davvero troppo lontano. Basti semplicemente considerare le implicazioni estetiche dell'abitudine cinese di copiare i dipinti antichi, imitare gli stili degli artisti prediletti e sovente realizzare veri e propri falsi. Anche se non era del tutto semplice imitare un sigillo per autenticare un falso, è evidente che un sigillo autentico poteva benissimo essere apposto da un collezionista su un dipinto falso. Ecco perché occorreva spesso che, immediatamente dopo la morte di un artista famoso, tutti i suoi sigilli venissero distrutti.

Victoria Contag e Wang Chi-Ch'ien furono i primi ad accorgersi dell'importanza di operare comparazioni tra le impressioni dei sigilli su diversi dipinti attribuiti alla stessa mano o provenienti da una medesima collezione.

Le circostanze in cui tale convinzione si formò sono raccontate da James Cahill nella Prefazione che questi scrisse alla riedizione del 1966 della monumentale opera Seals of Chinese Painters and Collectors of the Ming and Ch'ing Periods, apparsa intorno alla fine degli anni '30 in tedesco e cinese. Victoria Contag e Wang Chi-Ch'ien si erano ritrovati ad un convegno di esperti finalizzato a stabilire l'autenticità dei dipinti cinesi presenti nella collezione del Museo di Palazzo. Fu quella unica, irripetibile opportunità di avere sotto mano, tutti in una volta, tanti dipinti, a convincerli della necessità di un testo che raccogliesse quanti più sigilli possibili di ciascun autore e collezionista, una sorta di yinpu aggiornato, che potesse servire come strumento di consultazione per lo studioso e l'antiquario. Si misero al lavoro e ciò che risultò dopo cinque anni di amorevole dedizione è un testo utile ancora oggi, un indispensabile strumento di lavoro e di consultazione.

Conclusioni

Abbiamo visto, nel corso di questo articolo, quali sono i caratteri generali delle "arti applicate" in Cina, con particolare riguardo a certe arti legate alla pittura ed in primo luogo alla calligrafia.
La conclusione che possiamo trarre è che i nomi di questi artigiani-artisti si sono salvati dall'oblio proprio in virtù del fatto che l'arte da questi praticata, nel caso specifico l'intaglio dei sigilli, proprio grazie alla sua connessione con le arti calligrafiche e pittoriche, ha riscosso l'attenzione dei letterati-artisti, entrando così a far parte del complesso di attività da questi praticate. Non sono stati pochi gli artisti che, dall'epoca Ming a oggi, hanno deciso di votarsi esclusivamente a questa nobile attività.

Un ultimo impulso al suo sviluppo in epoca Qing fu dato dalla corrente di studi filologici e epigrafici ispirata al Kao zheng xue o "Studio basato sulle evidenze" (Kuo, 1992:31).

Nuove scuole fiorirono e tutte, come le precedenti, si trovavano tra le provincie dell'Anhui, Jiangsu e Zhejiang, ove era l'antico Jiangnan: quella vasta regione che aveva dato la luce ai wenfang si bao, i "quattro tesori" dei quali abbiamo già parlato, e alle arti ad essi connesse ed in fondo da essi dipendenti: la stampa, l'arte del tè, del qin, e, perché no, la pittura e la calligrafia.

Ci sarebbe da chiedersi infine cosa sarebbe stata la cultura cinese senza il culto dei wenfang si bao. Chi non amasse la carta o l'inchiostro era invero un povero di spirito, dal quale non ci si poteva aspettare molto nella vita.
Ne sapeva qualcosa il grande Tao Qian (365-427), che così lamentava la triste sorte di avere avuto dei figli niente affatto devoti ai "quattro tesori":

I miei figli
Capelli bianchi coprono ormai le mie tempie,
I muscoli ho molli e la pelle avvizzita;
E sebbene abbia avuto cinque figli maschi,
Nessuno di loro che amasse la carta e il pennello.

Bibliografia

Abbreviazioni

MS, Ming shi
RMDCD, Zhongguo renming da cidian
CSJC, Congshu jicheng

Fonti

Mo jing, di Chao Shi, in CSJC
Kao pan yu shi, di Tu Long, in Guang bai chuan xue hai
Wenfang sipu, di Su Yijian, in CSJC
Gujin yin shi, di Xu Guan, in Guang bai chuan xrle hai

Studi

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MONDO CINESE N. 90, SETTEMBRE-DICEMBRE 1995


Note

1 ) Sulla questione dell'amatorialismo vedi, J.R.Levenson, 1957: 323 e ss. e un recente articolo di A. Chung, 1994:47-48. Su alcune concezioni estetiche e il loro rapporto con la cultura materiale nel periodo Ming vedi invece, C. Clunas, 1991 e E. Corsi, 1991.
2 Queste riproduzioni sono state per la prima volta discusse da B. Laufer, 1910:7-14 e P. Pelliot, 1927, passim.
3  Su Wen Peng vedi RMDCD, p. 56 e MS: 8/99/2479, 21/251/6495, 24/28/7362. Purtroppo non esiste una biografia ufficiale di He Zhen, ma egli è spesso menzionato nella letteratura tecnica.
4  Coloro i quali volessero proseguire in questi studi, possono riferirsi a Arts from the Scholar's Studio, catalogo di una mostra allestita nel 1986 dalla Oriental Ceramic Society di Hong Kong e dal Fung Ping Shan Museum della Università di Hong Kong, che esponeva anche molti sigilli. Catalogo che, per le tavole e le note esplicative, i riferimenti bibliografici e l'introduzione di Gerard Tsang e dello stesso Hugh Moss, combina una tradizione di eccellenza tutta europea con la maestosità e magnificenza orientali.

 

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