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Gli scritti di Vittorino Colombo riguardanti la Cina

di Giuliano Bertuccioli

I momenti e gli episodi più significativi del lungo, trentennale rapporto di Vittorino Colombo con la Cina, un rapporto iniziato nel 1967, sono stati da lui descritti e ricordati in una nutrita serie di articoli apparsi su "Mondo Cinese" e altre pubblicazioni periodiche. Successivamente, dopo che alcuni di essi sono stati più o meno rielaborati ed ampliati, quegli articoli sono stati raccolti in due libri: La Cina verso il duemila, edizioni del Sole 24 Ore, Milano 1986, pp. 268, e Incontri con la Cina, Istituto Italo Cinese, Milano 1995, pp. 254.

Uomo di azione, impegnato durante tutta la vita in una intensa attività politica, che lo ha portato a ricoprire posizioni di primissimo piano, Colombo, più che esporre in queste opere considerazioni sulla Cina o tentar di fare letteratura, ha narrato soprattutto gli episodi, di cui è stato protagonista, e descritto le personalità cinesi da lui incontrate. I suoi scritti rivestono quindi un valore storico, perché sono la testimonianza della attività svolta da Colombo a favore dello stabilimento prima, del mantenimento poi di sempre più cordiali relazioni tra l'Italia e la Cina, nonché per migliorare la posizione della Chiesa cattolica in Cina. Nessun altro uomo politico italiano della corrente cattolica ha operato nel campo dei rapporti italo-cinesi con l'intensità, l'entusiasmo e la fede di Colombo. Di questa sua attività altri parlerà a lungo in questa sede. Qui ci limiteremo ad accennare solo ad alcune delle pagine più interessanti nelle quali egli ha fornito la propria versione dei fatti di cui è stato testimone.

Uno dei primi saggi, che non ha visto la luce su "Mondo Cinese", perché riguardante un episodio anteriore alla pubblicazione del primo numero di tale rivista (1973), è quello pubblicato in Incontri con la Cina (pp. 39-47), in cui Colombo descrisse l'apertura della cattedrale di Pechino (1971). Insieme all'altro saggio, intitolato «Riscoperta e ricostruzione della tomba di P Matteo Ricci» (ivi, pp. 49-58), costituisce la documentazione di quanto fatto da Colombo in due diversi momenti affinché la storica cattedrale di Pechino fosse nuovamente riaperta al culto e le tombe di M. Ricci e degli altri missionari, situate nell'antico cimitero di Zhalan, fossero restaurate e rese nuovamente visitabili, dopo le profanazioni e gli oltraggi, cui erano state fatte oggetto durante la Rivoluzione Culturale. Sono questi i due maggiori titoli di merito acquisiti da Colombo nella sua attività a favore della Chiesa cattolica in Cina e la soddisfazione per i successi conseguiti traspare dalle sue pagine, nelle quali non si limita, come farà in altre occasioni, a riassumere freddamente i fatti, ma si lascia andare e descrivere ambienti, stati d'animo, a esprimere preoccupazioni e speranze. Ecco come descrive il giorno in cui nella cattedrale venne celebrata dopo tanto tempo la Messa a seguito di una improvvisa e inattesa decisione delle autorità cinesi, che avevano finito per prendere in favorevole considerazione le ripetute richieste di Colombo:

«Quel sabato 20 novembre 1971 la Messa sarebbe stata celebrata alle 6,30 nella cattedrale di Pechino. Da anni la rivoluzione culturale aveva travolto ogni segno di espressione religiosa, distrutto chiese, imprigionato sacerdoti e suore, disperso fedeli. Che accadeva adesso? La decisione presa a Pechino - non a Shanghai, non a Nanchino - risaliva formalmente al comitato rivoluzionario, ma era di tutta evidenza che il segnale di via libera proveniva dal potere politico centrale. Avvertivo un senso profondo di emozione per quanto accadeva e mi raccolsi in un momento di preghiera.

Alle 6,30 di sabato 20 novembre le porte della chiesa dell'Immacolata, la cattedrale del sud, erano spalancate ... La facciata della chiesa appariva visibilmente danneggiata; alcune pietre erano ammucchiate nel cortiletto antistante. Ad accoglierci c'era il presidente, laico, della Associazione Patriottica dei cattolici cinesi. È lui che ci introduce in chiesa. L'interno è spoglio, freddo; alle pareti, le formelle della Via Crucis; sull'altare centrale un grande quadro dell'Immacolata; ai lati, in fondo alle due navate, l'immagine di S. Giuseppe e quella del Sacro Cuore. Sui banchi di destra stanno sedute alcune donne anziane, fra le quali una suora vecchissima; sui banchi di sinistra alcuni uomini, vecchi anche loro. Scorrono il rosario. Le poche persone presenti accentuano il senso di deserto che si percepisce in quella chiesa immensa.

Siamo tutti turbati. Siamo testimoni di un fatto eccezionale: una comunità che è rimasta in vita, che ha resistito in un ambiente difficile tra mille traversie, è sopravvissuta alle tempeste della rivoluzione culturale; questa comunità riemerge oggi, come punto di riferimento, interno alla Cina, di un dialogo che non sappiamo se e quando e in quali termini potrà essere avviato.

Sull'altare pochi fiori sparsi: il sacerdote celebra secondo la liturgia preconciliare, rivolgendo le spalle ai fedeli. Del suo latino si possono cogliere solo alcune frasi. Del Vangelo, appena bisbigliato e incomprensibile, non so quanto può pervenire alla percezione della gente. La celebrazione si svolge nel silenzio più profondo, interrotto soltanto dai tocchi del campanello al momento della elevazione.

Dopo la Messa ... incontriamo il vicario generale di Pechino, monsignor Wang Kiteng Thomas Apostolus, come si è firmato nel mio libretto di appunti. Si trattava di un altro momento di questo programma, non previsto e insolito, nel quale gli amici cinesi aggiungevano ormai di loro iniziativa cortesia a cortesia».

Monsignor Wang si rivelò per Colombo un interlocutore non facile, che nel riassumere agli ospiti stranieri la storia della Chiesa Cattolica in Cina non mancò di rivolgere le solite accuse alla vecchia politica delle potenze occidentali nei confronti della Cina e dure critiche alle attività delle missioni durante l'ultimo secolo, mentre nel contempo esaltava la libertà di cui la Chiesa cinese godeva sotto il regime comunista. Colombo lo ascoltò con molta diplomatica comprensione e pazienza, quindi:

«Lo invitai in Italia; gli dissi che la nostra comunità sarebbe stata felice di accoglierlo e di ospitarlo; avrebbe fatto felice mio fratello, sacerdote anche lui. Mi disse che ci avrebbe pensato e mi avrebbe fatto sapere. Chiedo di pregare insieme. Monsignor Wang inizia la recita del Pater Noster in latino; insieme preghiamo per i cattolici di tutto il mondo e per la chiesa cinese. Sì, Padre nostro. È una verità teologica, è una invocazione. Come trasformarla in realtà?

Delusione? Speranza? Il colloquio con quest'uomo magro, brizzolato, che porta dentro di sé il dramma interiore di una comunità dispersa, ha fatto emergere certamente più interrogativi che risposte, e ha lasciato una traccia ben più profonda di quanto non sia avvenuto in altri incontri di questi giorni. Quale e quanta fede occorre a un uomo in una comunità che sembra destinata ad estinguersi, senza contatti col mondo esterno, isolata in un contesto sociale sconfinato, indifferente quando non ostile al sentimento religioso; sottoposta ad una propaganda massiccia e ossessiva che non lascia margine per tutto ciò che può rientrare nella categoria dello spirito; e quanto forte deve essere in lui il desiderio di stabilire rapporti con, altri uomini della stessa fede e delle stesse idee; il desiderio, la speranza di potere intravedere uno spiraglio in quel mondo chiuso. Conversando, pensavo che monsignor Wang e io avevamo intravisto questo spiraglio lontano. La speranza nasceva dal atto che nello spazio di pochi giorni tante cose nuove e imprevedibili erano accadute, sino a quella conversazione a cuore aperto se non sul piano del confronto dei fatti, certamente sul piano dei sentimenti e della amicizia".

Date le alte cariche costituzionali ricoperte, Colombo ha avuto modo di incontrare le maggiori personaIità della Cina popolare. Con la sola eccezione di Mao le ha incontrate tutte: Zhou Enlai, Deng Xiaoping, Zhao Ziyang, Hu Yaobang, Jiang Zemin, Zhou Rongji. Di ciascun incontro ha scritto un resoconto più o meno lungo, abbozzando talvolta un ritratto dell'uomo politico cinese con cui aveva avuto occasione di parlare.

Dell'incontro con Zhou Enlai scrive che «fu esaltante, uno di quelli che rimangono nella memoria e ti segnano... Era mezzanotte (del 21 novembre 1971) e il colloquio durò fino alle tre del mattino... È abitudine del presidente - mi spiegò la guida - riservare le ore della notte ai colloqui con i «vecchi amici» quale anch'io cominciavo ad essere considerato nella stima degli amici cinesi, al di fuori delle formalità protocollari. Attraversammo le strade deserte, l'immensa piazza Tian’anmen, diretti verso il palazzo dell'Assemblea Nazionale del popolo. Superato il grande portone a cui faceva buona guardia una minuta sentinella, salimmo la maestosa scalinata e mi trovai di fronte a Zhou Enlai. Quanto avevo letto nelle pagine di E. Snow mi tornava ora alla mente e trovavo conferma alle sue acute osservazioni anche se dalla data di quegli incontri da lui descritti erano passati parecchi anni. Notai la difficoltà di movimento del suo braccio destro, conseguenza della lunga milizia rivoluzionaria; i suoi occhi scuri, espressivi; le sopracciglia folte..." (da Incontri con la Cina, pp. 63-64).

Il personaggio su cui si è soffermato di più, anche perché le occasioni di incontro furono più d'una, è stato Deng Xiaoping. "Lo incontrai - scrive Colombo - nel grande palazzo dell'Assemblea Nazionale del popolo il 22 maggio 1978: piccolo di statura anche per la media cinese, fronte alta, occhi scuri, vivacissimi; fumatore accanito, sembra masticare le sigarette anziché fumarle. Estremamente aperto e franco, mai dà la sensazione di voler scantonare su un argomento per rifugiarsi nell'ambiguità di risposte evasive. Le sue vicende politiche e, forse, anche l'aspetto fisico, fanno ricordare subito il «personaggio Fanfani», anche lui l'uomo forte della politica italiana, coraggioso ... Anche lui «più volte nella polvere e più volte sull'altare ...»" (ibidem, p. 70).

Colombo incontrò Deng una seconda volta il 12 dicembre 1981 a Pechino, dove era stato invitato anche nella qualità di vicesegretario politico della Democrazia Cristiana, carica che per sua stessa ammissione influì certamente sul modo come si svolse il colloquio e sui suoi contenuti: un colloquio assai franco, in cui Deng si lasciò andare a sorprendenti giudizi sull'Eurocomunismo, sul terrorismo delle Brigate Rosse, sull'egemonismo dei piccoli paesi come il Vietnam, sull'URSS: segno della fiducia e della simpatia che provava, evidentemente ricambiato, per Colombo.

Più freddo e controllato Colombo è negli articoli di politica, nei quali predominano la prudenza e la riservatezza del politico di professione nel formulare giudizi e avanzare interpretazioni sulle posizioni prese dal governo cinese (ad es. in occasione dei fatti di Tian’anmen) e sui programmi da esso perseguiti. Si tratta per lo più di editoriali scritti per "Mondo Cinese", diretti anche a commentare e a puntualizzare la posizione italiana nei riguardi della Cina. Sono soprattutto articoli scritti negli ultimi anni della sua vita quando Colombo non ricopriva più cariche governative, ma che restano come testimonianza del suo impegno diretto a stabilire e mantenere rapporti di amicizia tra il nostro paese e la Cina: impegno che nella presidenza dell'Istituto Italo Cinese e nella collaborazione alla rivista "Mondo Cinese", da lui fondata e col suo prestigio praticamente sostenuta e diretta, ha trovato la sua maggiore espressione. In un paese come l'Italia, in cui le riviste riguardanti la Cina o sono degli «Annali», dei «Bollettini» eruditi, scarsamente interessati alle realtà della Cina moderna, o hanno vita effimera, destinate ad estinguersi dopo pochi numeri, può apparire come fenomeno eccezionale che "Mondo Cinese" sia stato pubblicato dal gennaio 1973 con metodica, regolare scadenza prima trimestrale ora quadrimestrale, raggiungendo dopo ventitrè anni il numero 92, che è questo con cui si commemora Colombo. E di questo risultato il merito va soprattutto a Vittorino Colombo.

 

MONDO CINESE N. 092, MAGGIO-AGOSTO 1996

 

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