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La situazione politica e sociale in Cina nel '99
secondo Liu Binyan

di Marina Miranda

Liu Binyan (n. 1925) è uno scrittore e giornalista di fama, strenuo difensore della libertà di stampa e di espressione. Il suo impegno politico lo ha costantemente portato a considerare il giornalismo come un'attività di critica politica e sociale: al '56 risalgono i suoi primi reportage di denuncia che causarono la sua prima espulsione dal partito e la forzata rieducazione in campagna, dove rimase fino ai primi anni '60, per farvi nuovamente ritorno nel '69. Riabilitato nel '77, ha continuato a segnalare le ingiustizie subite dalla popolazione a causa delle pratiche corrotte del partito, rimanendo, però, fino all'89, fedele agli ideali socialisti e alla convinzione che il sistema potesse essere riformato dal suo interno.

A differenza di Yan Jiaqi e Su Shaozhi, i cui scritti sono stati indirizzati principalmente a un pubblico intellettuale, gli articoli di Liu sono stati letti da milioni di gente comune sulle pagine delle principali riviste e periodici e sul quotidiano più autorevole, il Renmin Ribao. Nell'87, in seguito alla campagna contro la "liberalizzazione borghese", Liu è stato nuovamente espulso dal partito, unitamente allo scrittore Wang Ruowang e all'astrofisico Fang Lizhi. Dopo la repressione di piazza Tian'anmen, unitamente a Yan Jiaqi, Su Shaozhi, Chen Yizi, Wan Runnan e Wu'er Kaixi, è stato tra i membri fondatori del "Fronte per una Cina Democratica" (Zhongguo Minzhu Chenxian), costituito a Parigi nel settembre 1989. Attualmente vive negli Stati Uniti.

Questo saggio di Liu Binyan, apparso sul numero di dicembre '98 della rivista di Hong Kong Zheng Ming, appare particolarmente interessante per gli spunti interpretativi che offre di una realtà politica e sociale molto complessa e in rapida evoluzione.

Liu si colloca come osservatore esterno di tale realtà e, presentandosi come un giornalista ormai costretto a ritagliare giornali nei suoi ozi forzati, sembra quasi sorridere di se stesso. Tuttavia, da spettatore lontano ma attento, denuncia gli innumerevoli squilibri e contrasti sociali provocati dalle riforme avviate da Deng Xiaoping e continuate dall'attuale leadership: sia nelle campagne, dove il forte disagio dei contadini è sfociato in scontri diretti con le autorità, che nelle aree urbane, dove è ormai insostenibile il peso sociale dei milioni di lavoratori licenziati nel processo di ristrutturazione delle imprese statali. Il fondersi insieme di tali fermenti potrebbe provocare una situazione esplosiva di grande caos, difficilmente gestibile da qualsiasi regime e che porterebbe al collasso del potere centrale.

I successi conseguiti in vent'anni di politica di apertura e riforma, celebrati grandiosamente in questi ultimi mesi dalla stampa e dai media, non appaiono ormai sufficienti: le riforme devono essere portate avanti perché il pluralismo sociale ed economico prodotto nella società possa esprimersi anche in campo politico.

Ma ci sono molte forze contrarie a una reale trasformazione della situazione attuale: i vari gruppi di interessi costituiti e molto differenziati, chiaramente individuati da Liu. Si rende necessaria anche una ridefinizione degli schieramenti "riformista" e "conservatore", le cui connotazioni politiche sono molto diverse rispetto sia al periodo iniziale delle riforme che a quello immediatamente precedente alla scomparsa di Deng Xiaoping. Inoltre Liu manifesta i propri dubbi sulle concrete possibilità di modificare l'attuale situazione di crisi da parte della leadership attuale, la corrente del partito che appoggia Jiang Zemin e Zhu Rongji; i fenomeni di corruzione e abusi di ogni genere, che le autorità sembrerebbero voler combattere, sono ormai talmente radicati nel sistema che la loro totale eliminazione metterebbe in crisi il regime stesso.

Il giudizio sulla società cinese attuale espresso da Liu non è positivo rispetto alla situazione di dieci anni fa, sebbene l'atmosfera sembrerebbe paragonabile alla sensazione diffusa nell'88 tra gli intellettuali e la gente comune, che qualcosa di grave stesse per accadere. Che questo '99 dalle inusitate congiunzioni planetarie possa provocare grandi mutamenti anche in Cina?

* * *

Liu Binyan, "1999 nian shi ji shi xiong?", Zheng Ming (Discussione), n. 254, dicembre 1998, pp. 46-49.

Sarà propizio o nefasto il 1999?

Ieri mi ha telefonato un amico, che mi ha raccontato dettagliatamente del suo ritorno in Cina, dove si è fermato per pochi giorni. Espatriato anche lui dopo i fatti del giugno 1989, schedato dal governo locale nelle liste dei ricercati, era stato fermato all'aeroporto quando aveva cercato di rientrare in Cina e non aveva potuto oltrepassare il confine. Questa volta, invece, l'atteggiamento dei servizi di sicurezza è stato tutto considerato buono, dato che egli aveva dovuto affrettarsi a far ritorno per partecipare al funerale di un parente, proprio come era capitato a Chen Yizi. Tutto, quindi, si è svolto con soddisfazione da entrambe le parti. Mi ha chiesto se non dovrei trovare anch'io il modo di tornare; gli ho risposto che non c'è fretta.

In passato ho peccato di ottimismo riguardo alla situazione in Cina

Sai, dopo il 1989, per un certo periodo di tempo, non vedevo l'ora di far ritorno in Cina, tanto che più volte ho calcolato quanto ancora avrei dovuto aspettare, finchè in seguito mi è apparso evidente che ero stato troppo ottimista e mi sono reso conto che allora ero stato fortunato per non essere riuscito a far ritorno. Davvero, se fossi tornato nel '93 o nel '94, non mi sarei depresso tremendamente? Lì, quando sei in casa, c'è sempre uno fuori dalla porta che ti spia; quando esci, uno di loro ti segue e se vai a far visita a qualcuno, lo rovini, perché il giorno dopo sarà convocato dalla polizia. Quindi, per quanto mi riguarda, che fretta c'è?

In questi ultimi dieci anni, ogni volta che mi accingevo a preparare un lavoro importante, la maggior parte del materiale si trovava all'estero. Una volta rientrato in Cina, la prima cosa che non avrei sopportato sarebbe stata proprio quella di non poter leggere ogni mattina un vero giornale. Sebbene la stampa cinese sia migliorata, resta sempre difficile seguire dalla Cina quel che avviene nel resto del mondo. Recentemente pare vi siano state riportate notizie curiose, tra cui quella di un appello lanciato negli Stati Uniti per la riabilitazione di McCarthy: in esso si suppone che l'anticomunismo di McCarthy avesse una sua giustificazione, poichè l'apertura degli archivi del KGB, dopo la disintegrazione dell'Unione Sovietica, ha dimostrato che in quegli anni l'U.R.S.S. ha davvero svolto attività di spionaggio in America.

Ritagliare ogni giorno giornali per me è diventato un peso, ma è anche una sorta di passatempo. Se qualche volta non li ritaglio subito, dopo pochi giorni mi si accumulano sul divano, il che è assai fastidioso. Zhu Hong mi dice spesso che ritaglio troppo, ma, quando qualche tempo fa, dovendo scrivere un articolo importante, ho sistemato tutto il materiale ritagliato dalla stampa straniera, solo una minima parte di esso meritava di essere scartata. Sebbene non abbia poi tanto tempo a disposizione, ogni giorno impiego una o due ore in questa attività e questo non mi piace; ma se non lo facessi, non mi sentirei tranquillo.

Insomma, non bisogna forse aver ben compreso le cause e gli effetti di un dato problema per poterne poi scrivere con sicurezza? Io non ho una così buona memoria e neppure sono tanto dotato, ma, se la spremo, questa mia testa qualche idea brillante con qualche migliaio di caratteri la sa pur tirar fuori!

Tu mi chiedi quale sia la prima cosa da fare nei confronti della Cina d'oggi: la prima cosa è certamente quella di comprendere le condizioni del Paese, ma anche se ciò fosse veramente possibile, ci sarebbe bisogno di qualche altra cosa ancora, come, ad esempio, l'ideologia ivi dominante. Dopo che a una manifestazione degli studenti di Jakarta di alcuni giorni fa la polizia ha aperto il fuoco uccidendone almeno dodici, il New York Times ha riportato i commenti dei diplomatici accreditati sul posto, secondo i quali il problema degli studenti sarebbe la mancanza di una leadership e l'eccessiva esasperazione della loro ideologia; per esempio, l'indonesiano medio non considererebbe giusto il volere, da parte loro, la caduta del presidente Habibie. Io credo che naturalmente una leadership debba esserci (non è sbagliato ciò che alcuni sostengono, che al popolo cinese manchi proprio un personaggio guida); ma il leader su che cosa si basa per guidare se stesso?

In Cina può verificarsi un grande caos?

La mancanza di ideologie pare sia già un fenomeno di portata mondiale. Per esempio, la Russia ha subìto questa crisi economica in maniera così pesante proprio perché nessun partito o corrente è stato in grado di formulare un programma risolutivo appropriato. Il Giappone è sprofondato in una fase di decadenza economica già da alcuni anni, il Brasile ha appena iniziato; poi c'è il Sud-Est Asiatico, terra di origine delle recenti calamità finanziarie: diverse generazioni di economisti, politologi e consulenti, tutti senza eccezione, sono stati incapaci di elaborare un metodo di risoluzione delle diverse crisi. Attualmente si discute di voler porre delle limitazioni alla libera circolazione dei capitali a livello internazionale: ciò non è contro i principi del "laissez-faire" dell'economia di mercato del liberismo di vecchia maniera ed è presentato come un'opinione ricorrente del grande maestro del liberismo Von Hayek (recentemente in Cina sono state pubblicate le sue Opere Scelte ed è ovvio che sia diventato alquanto famoso).

Si dice che in Cina l'umore della gente comune e quello dei circoli intellettuali rassomigli un po' a quello del 1988, quando tutti sentivano che stava per succedere qualcosa di brutto; ma mentre dieci anni fa si sperava vivamente che ciò accadesse, tanto meglio poi se di grosse proporzioni, adesso si è carichi di ansie, ci si preoccupa di come riuscire a fronteggiare un grande caos nel Paese, nel caso in cui l'attuale regime possa crollare.

A partire dallo scorso anno sono aumentate enormemente non solo di numero, ma anche di intensità, le proteste dei contadini e le manifestazioni degli operai, i cui animi sono esacerbati... Nelle campagne scontri violenti tra funzionari e contadini si verificano con sempre maggiore frequenza. Questa tendenza era evidente fin già dagli anni '80, ma era stata in qualche modo frenata dalla repressione del 4 giugno 1989, nonché dal fatto che milioni di contadini, pur di trovare una via di uscita ed evitare così questo tipo di scontri, avevano preferito trasferirsi lontano dai propri villaggi. Ma dal progressivo aumento dei recenti scontri tra funzionari e contadini si può individuare una sorta di regola generale: a causa dell'esaurirsi dell'autorità del regime e del progressivo aggravarsi, ai limiti della sopportazione, del peso da essi sostenuto, i contadini sono cambiati e sono sempre meno addomesticabili; disprezzano il regime attuale e si muovono verso l'opposizione a esso.

Già a partire dall'88-'89, sono stati sempre più numerosi i quadri locali che hanno scoperto come sia difficile tenere sotto controllo "la popolazione indisciplinata" e "la folla disordinata". Di conseguenza, allora, essi hanno fatto ricorso all'aiuto della malavita locale, che in brevissimo tempo, grazie alla protezione e all'appoggio delle autorità, ha legalizzato la prepotenza esercitata con la forza bruta, come, ad esempio, con le arti marziali, le armi da fuoco e da taglio; spadroneggiando allora nel villaggio, la malavita locale è diventata così il potere reale e ancor più brutalmente depreda e opprime i contadini. Ciò in maniera inversa provoca progressivamente la resistenza dei contadini, che ricorrono anch'essi alla violenza...

Il Partito Comunista è perfettamente a conoscenza di tutti i punti caldi del Paese in cui si accumulano situazioni esplosive e, nel timore che in tal modo possano scoppiare violenti disordini, ordina costantemente alle proprie forze dell'ordine di adottare un comportamento repressivo, evitando, però, di uccidere e ferire la popolazione. Tuttavia è difficile tenere sotto controllo una situazione in cui si confrontano esseri umani con le armi in pugno, gente armata che conta sull'appoggio del governo; perciò è difficile evitare che tra i funzionari e la popolazione scoppino improvvisamente dei disordini.

Non molto tempo fa, nel distretto di Yulin, nel Guangxi, si è verificato appunto un incidente, per una faccenda di poco conto: l'obbligo di pagare per usufruire dei gabinetti. Operai utilizzati in lavori di pubblica utilità, venuti da fuori, si sono scontrati con la polizia, che ha aperto il fuoco, uccidendone e ferendone molti. Gli operai del Sichuan, presenti nel Guangxi, appresa la notizia, fuori di sé dalla rabbia, sono accorsi tutti verso Yulin. Situazioni come questa possono verificarsi in ogni momento in qualsiasi zona del Paese e, una volta verificatesi, non si possono riportare sotto controllo. Quando la situazione arriva a un certo punto, va bene se le autorità non arrestano la gente? Va bene se non fanno ricorso alle armi? Ma se si spara, la situazione degenera ulteriormente e anche quelli che non c'entrano affatto, ma sono privi di mezzi di sussistenza e non hanno modo di sfogare il proprio malcontento, vanno ad ingrossare le fila degli oppositori del regime. A partire dal '93, il malcontento popolare, che ha messo il governo in un imbarazzante stato di incertezza, con il passare del tempo si è esteso dovunque con alterne vicende.

Le città, se grandi, ancora riescono a date fisse o a tempo indeterminato ad erogare sussidi per aiutare i disoccupati. La depressione del mercato, la diminuzione delle entrate fiscali, accompagnate dal progressivo aumento della disoccupazione, ovviamente hanno fatto aumentare i problemi delle amministrazioni locali, che non sono riuscite ad incamerare i fondi da erogare, provocando le proteste dei pensionati, dei disoccupati e dei quadri. In breve tempo, una volta che la mancanza di ordine nelle città e il fermento delle campagne si saranno fusi insieme, la Cina, che è già passata attraverso svariati anni di innumerevoli piccoli disordini, finirà inevitabilmente per precipitare in una situazione di grande caos.

Jiang Zemin, in quanto capo della fazione principale del partito, è ben al corrente di quanto succede, di conseguenza egli non può non fare tutto il possibile per evitare questa prospettiva. L'allentamento delle restrizioni in campo politico e ideologico da un anno a questa parte è allora, probabilmente, solo una parte della strategia generale. Il problema è quanta autorità hanno in definitiva Jiang Zemin e Zhu Rongji. Indipendentemente dalle loro intenzioni, essi sono in grado di realizzare ciò che vogliono?

Una sconfitta di Jiang Zemin

Non è per niente corretto ciò che fanno alcuni, sia in Cina che all'estero, i quali valutano la forza reale di Jiang Zemin nel controllare il partito, il governo e l'esercito in base alle cariche da lui ricoperte, alla propaganda che gli fanno i media e alle esagerazioni all'estero sulla cosiddetta "cricca di Shanghai". Per esempio, sebbene sul Quotidiano del Popolo (Renmin Ribao) non siano stati ridotti i titoli a grandi caratteri, i lunghi reportages sulle attività e i discorsi di Jiang Zemin, tuttavia questa testata non è ancora, fino a questo momento, sotto il controllo di Jiang. L'importante giornalista Zhou Ruijin, già redattore-capo del Quotidiano Liberazione (Jiefang Ribao), che sotto lo pseudonimo "Huangfu Pin" ha scritto articoli assai significativi, già da alcuni anni è passato al Quotidiano del Popolo; siccome egli appartiene alla "cricca di Shanghai", fino a questo momento è soltanto vice redattore-capo, mentre l'autorità sul personale di questo giornale e sul suo orientamento politico è ancora nelle mani di Shao Huaze, della fazione dei militari, che ne ha assunto il controllo dopo il giugno 1989. E tra poco Zhou Ruijin raggiungerà l'età della pensione.

Un altro segnale è l'avvicendamento del personale ai vertici dell'Accademia delle Scienze Sociali: mentre Liu Ji, di idee progressiste, appartenente al gruppo di Jiang Zemin, che ha quasi 60 anni ed è vicino alla pensione, è vice-presidente, invece un personaggio della fazione di sinistra che ha più di 65 anni, Wang Renzhi, è diventato il primo vice-segretario del comitato del partito. Ru Xin, il famoso studioso dalle idee politiche alquanto progressiste, ha perso il posto di vice-presidente, mentre Li Tieying, della fazione di sinistra, personalità mediocre, il quale non ha lasciato un buon ricordo quando era Presidente della Commissione Statale per l'Istruzione, è senza dubbio il presidente più ignorante che l'Accademia delle Scienze Sociali abbia mai avuto.

Insomma in tutto questo avvicendamento, alcuni posti di vice-presidente sono stati assegnati a personaggi per niente qualificati. Non è questa una sconfitta di Jiang Zemin? E la proposta di riorganizzare e ricollocare il personale è venuta fuori proprio da uno dei più importanti dipartimenti del Comitato Centrale del Partito Comunista, il Dipartimento Organizzazione! E il Presidente di un altro dei dipartimenti più importanti, il Dipartimento Propaganda, è Ding Guangen, il quale condivide le stesse posizioni politiche di Deng Liqun, molto diverse da quelle della fazione di Jiang Zemin.

Le forze che si oppongono al progresso della Cina

Se le personalità più influenti della fazione principale di Jiang sono morte una dopo l'altra e se la fazione di sinistra, rappresentata da Deng Liqun, ha al momento relativamente scarsa influenza, allora chi è che si oppone al progresso della Cina? Nella nuova combinazione delle influenze politiche in Cina, le forze di questa nuova fazione e il suo leader non hanno fretta di manifestarsi. Tale fazione molto probabilmente è il risultato dell'amalgama di varie forze: essa dovrebbe essere composta principalmente da quelli che sono stati colpiti nella campagna contro la corruzione nella sfera finanziaria e che hanno fronteggiato la minaccia dei figli degli alti quadri; da quelli che sono stati danneggiati nel taglio degli organismi di governo, che contrastano Zhu Rongji nei vari comitati del Consiglio degli Affari di Stato e negli organismi sotto il controllo di Li Peng; dagli ufficiali militari di alto rango che si oppongono con le armi in pugno al Comitato Centrale del partito per i divieti imposti all'esercito di intraprendere attività imprenditoriali; dai nuovi signorotti a livello locale.

Tuttavia questa non è una descrizione completa: bisogna inoltre considerare tutti i quadri di alto e basso rango, dal Comitato Centrale ai livelli di base, che sono stati puniti per aver ottenuto grandi vantaggi da pratiche corrotte o che temono di perdere i propri introiti, nonché gruppi e criminali di ogni sorta. Non è forse molto ampia questa fascia di individui legati da interessi comuni?

Facendo un paragone con le forze conservatrici del periodo iniziale delle riforme, ciò che in quegli anni preoccupava i vecchi quadri era la possibilità di perdere i benefici già acquisiti e ancora disponibili in quel momento (questa era una cosa fissa e immutabile), mentre ciò che i diversi gruppi di interessi costituiti vogliono oggi salvaguardare sono i benefici acquisiti nel corso della rapida espansione economica. Ciò che la fazione conservatrice di allora avversava era la suprema autorità di Deng Xiaoping e le potenti e dinamiche spinte verso le riforme provenienti dall'intera società (compreso l'interno del partito).

La fazione reazionaria di oggi ha motivo di biasimare Jiang Zemin; venti anni di riforme hanno spinto in posizione contrapposta al potere costituito cinesi di ogni strato sociale, soprattutto gli operai, i contadini e le fasce urbane a basso reddito. Jiang Zemin e Zhu Rongji hanno difficoltà a trattare determinate questioni; non possono, assumendo una posizione ben definita, criticare e correggere gli abusi delle riforme di Deng Xiaoping, modificando lo status-quo attuale e considerare come obiettivo il miglioramento delle condizioni degli innumerevoli cinesi insoddisfatti della situazione del momento e che ardentemente desiderano le riforme.

Di conseguenza, si manifesta questo tipo di anomalia: da una parte l'attuale regime è abbastanza determinato nel combattere le forze corrotte, dall'altra, invece, la possibilità per queste forze di nascondersi proprio sotto l'ala protettiva del regime va contro gli sforzi di Jiang e di Zhu nel combattere la corruzione e risolvere la crisi. Ma il malcontento della popolazione nei confronti dei corrotti e delle forze che vogliono tornare indietro si riversa invece sul regime che ha intenzione di modificare la situazione attuale, non prendendo in considerazione le vere forze reazionarie.

Tali forze reazionarie della Cina attuale, rispetto a quelle del periodo iniziale delle riforme, non solo sono più forti, ma si sono anche diversificate, oltre che per i componenti e per le organizzazioni, anche per le modalità di azione. Per esempio, può capitare che un consolato all'estero, ritenendo che a una certa o a più persone debba essere permesso di entrare in Cina, conceda i visti, mentre il Ministero della Pubblica Sicurezza e quello della Sicurezza Statale adottino un orientamento diverso, rifiutando loro l'ingresso.

Un ulteriore esempio: uno scrittore scrive un libro che, in base alle norme in vigore qualche anno fa, non sarebbe potuto essere pubblicato, ma che, in seguito all'allentamento delle restrizioni da parte dell'attuale leadership, si scopre possa svolgere un ruolo utile per la continuazione delle riforme in Cina; proprio quando le autorità sembrano intenzionate a non ostacolare questo scrittore, appaiono misteriosi personaggi non identificabili che interferiscono nella faccenda. Ci sono poi altri che sopprimono delle organizzazioni che le autorità ritengono non dovrebbero essere soppresse e che arrestano persone che non dovrebbero essere arrestate, facendo in modo che spesso non si riesca a distinguere se veramente queste azioni derivino dalle decisioni della fazione principale di Jiang Zemin o dai sabotaggi perpetrati dalle forze reazionarie nei confronti di quest'ultima. La fazione di Jiang è così messa in difficoltà; si trova nella condizione in cui è difficile sia avanzare che tornare indietro, subendo gli scossoni dell'ulteriore avanzamento delle riforme e non si rende conto di essere costretta a fare cose in contraddizione tra loro. Pertanto il caso recente della riorganizzazione dell'Accademia delle Scienze Sociali non è certo frutto della volontà di Jiang Zemin o Zhu Rongji.

La ridefinizione delle posizioni dello "schieramento riformista" e di quello "conservatore"

La dicitura "schieramento riformista" e "conservatore", che cominciò a essere in voga dalla fine degli anni '70, adesso appare ancor più inesatta. Infatti, verrebbero a essere classificati come "riformisti" quelli che, in base ai criteri di differenziazione di quegli anni, venivano chiamati parassiti del mondo finanziario, condannati o ancora in attesa di giudizio, mentre alcuni, che in quegli anni avevano un atteggiamento di resistenza nei confronti delle riforme, adesso forse possono dare un parere positivo dell'attuale situazione dei cambiamenti verificatisi.

In ogni caso, c'è un punto che deve essere chiarito: le persone che hanno ottenuto i massimi benefici dalle riforme con mezzi illeciti e basandosi su privilegi sono quelle che adesso più si oppongono ad ulteriori riforme. Invece, i gruppi che, nel corso delle riforme di Deng Xiaoping, sono stati danneggiati, molto probabilmente costituiranno d'ora in poi la forza propulsiva delle riforme politiche.

Questi ultimi ritengono che le riforme inevitabilmente danneggeranno gli operai delle imprese statali e che meriti di essere messa in dubbio la tesi secondo cui la classe operaia cinese è una forza conservatrice. II Partito Comunista teme enormemente che la classe operaia sia coinvolta nelle riforme, perciò adotta metodi corrotti e immorali per ammansirla.

Fino agli anni '80, nelle imprese statali molti operai si sono sostanzialmente allontanati dalla produzione, diventando capireparto e sono stati rimpiazzati da lavoratori a termine provenienti dalle campagne. Per giunta gli operai non sono mai stati i padroni delle imprese e per un lungo periodo di tempo non hanno avuto diritti, percependo salari estremamente bassi, per questo hanno effettuato lunghi scioperi a singhiozzo, i quali hanno avuto un effetto nocivo sulle qualità politiche e morali degli operai. Non è giusto, quindi, tralasciando questo contesto, biasimare la pigrizia e il conservatorismo degli operai.

Fino ad oggi, quando milioni di operai, in condizioni di vita precarie, sono precipitati nelle condizioni degli strati più bassi della popolazione, il Partito Comunista non ha permesso loro di organizzarsi per modificare la situazione di deficit delle imprese statali e di risolvere la propria difficile condizione con spirito indipendente e di cooperazione, preferendo, invece, che rimanessero in uno stato di disaggregazione e che andassero incontro al proprio destino! Quanto è ridicolo battere sempre sullo stesso tasto della "classe operaia come protagonista"!

Così capita che l'attuale schieramento riformista in Cina si appoggi su determinati individui, coloro che rappresentano le forze più attive nella lotta contro la corruzione e, nel caso in cui si verifichino dei disordini, si basi su determinate forze sociali per ripristinare l'ordine.

La prospettiva più temibile è che tutti veniamo dispersi come sabbia al vento oppure che ci riduciamo a fare da spettatori passivi (ancora non bastano i casi in cui, a partire dalla metà degli anni '70, a Shanghai, Taiyuan e Pechino, nelle strade o sugli autobus, la folla si radunava per guardare stupri e violenze sessuali perpetrati su delle donne?). Tuttavia, dato che non viene permesso alle organizzazioni di autogestirsi e neppure di procurarsi gli strumenti dell'ideologia, allora non ci si può rendere conto della propria forza e non si sa più in che cosa sperare: in questa situazione, le eventualità più pericolose e temibili in fondo sono proprio quelle che più facilmente possono verificarsi.

Il movimento di Tian'anmen del 1989 è stato sconfitto a causa dell'insufficienza di preparazione, della mancanza di una strategia, di una teoria, di un'ideologia, basate sulle condizioni peculiari del Paese, che lo guidassero. Nella Cina di dieci anni dopo quali sono in fondo le condizioni della popolazione e degli intellettuali? Giudicando da lontano, sembrerebbero peggiorate in questi ultimi anni. Ma spero che tu, che ti trovi sul posto e osservi quello che oggi veramente accade, non condivida la mia opinione.

(traduzione dal cinese di Marina Miranda) 

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Liu Binyan, Liu Binyan yanlunji (Scritti e discorsi di Liu Binyan), Xiangjiang chubanshe, Hong Kong, 1988, 2 voll.

Id., "Baogao wenxue yu shehui shenghuo" ("La funzione delle sirene d'allarme"), traduzione di Giuseppe Terracina, in Scrittori in Cina - Ventitre testimonianze autobiografiche, a cura di Giuliano Bertuccioli, Helmut Martin, Federico Masini, Manifesto Libri, Roma, 1993, pp. 177-185;

Id., "Baogao wenxue yu shehui shenghuo" ("Is reportage to be excluded from the realm of literature?"), traduzione di Carolyn S. Pruyn, in Modern Chinese Writers Self-Portrayals, a cura di Helmut Martin, M. E. Sharpe Inc., Armonk & London, 1992, pp.128-35.

Id., "Jinggao" ("L'avvertimento"), in Micromega, 1, 1987, gennaio-marzo, pp. 55-64;

Chou S. David, "Liu Pin-yen: the second kind of loyalty", Issues & Studies, vol. XXI, n.11, 1985, pp. 6-8;

Teng Tu-li Jenny, "Liu Pin-yen: the politics of reportage literature in Mainland China", Issues & Studies, vol. XXII, n.9, 1986, pp. 28-49;

Chou Yu-sun, "Liu Pin-yen and Wang Jo-wang", Issues & Studies, vol. XXIII, n.5, 1987, pp. 48-62.

MONDO CINESE N. 99, SETTEMBRE 1998

 

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