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Translating Western Knowledge into Late Imperial China
(Göttingen, 6-9 dicembre 1999)

di Alessandra Brezzi

Tra il 6 e il 9 dicembre si è svolto a Göttingen il convegno dal tema "Translating Western Knowledge into Late Imperial China", organizzato da M. Lackner e dal Dipartimento di East Asian Studies dell'Università George August di Göttingen. Le tre giornate di lavori hanno visto avvicendarsi 44 oratori, provenienti da diverse università e istituti di ricerca di tutto il mondo.
Due i fili invisibili che hanno diretto e orchestrato il susseguirsi dei numerosi e interessanti interventi, il tempo e la lingua, e due i percorsi immaginari che hanno attraversato e unificato i diversi panels in cui il convegno è stato strutturato, umanistico e scientifico. B. Elman (Los Angeles) ha inaugurato il convegno tracciando un excursus delle condizioni sociali, politiche, culturali in cui avvenne lo scambio di saperi e conoscenze tra cinesi e occidentali a partire dal XVI fino al XX secolo; un intervento che è stato punto d'inizio e d'arrivo del dibattito e che è stato poi sviluppato ed articolato in ogni singola sezione dei lavori.
Nel primo dei panels dedicati alle problematiche linguistiche, "Historical Linguistics (I)", Uchida Keiishi (Osaka), partendo dalla traduzione delle favole di Esopo, ha evidenziato come venne recepita e concepita dagli occidentali nel XIX secolo la lingua cinese; E. Kaske (Berlino) ha sottolineato, invece, aspetti squisitamente terminologici della lingua, quali la creazione, agli inizi del XX secolo, di neologismi che potessero soddisfare l'introduzione di nuovi concetti linguistici e sociali, attraverso un processo di affiancamento prima e di adozione poi di parole come baihua e guoyu, rispetto al vecchio guanhua.
Il secondo panel "Historical Linguistics (II)" ha offerto nuove chiavi di lettura, dando luogo a dibattiti vivaci ed affascinanti su questioni metodologiche, linguistiche ed ideologiche, alla ricerca di risposte e soluzioni che rivelassero la formazione terminologica e lessicale della lingua cinese, in quel determinato contesto storico, politico, culturale. Tale dibattito è stato stimolato dall'intervento di Zhou Zhenhe (Shanghai), che ha esaminato la creazione di alcuni neologismi nella lingua cinese: quelli che vennero utilizzati solo transitoriamente e quelli che, invece, si affermarono nel cinese moderno. Arakawa Myohide (Tokyo) ha, invece, focalizzato il suo discorso sulla creazione della terminologia "geografica" in cinese e giapponese, mentre B. Tsou (Hong Kong) ha analizzato le innovazioni e i cambiamenti lessicali da un punto di vista non solo diacronico ma anche sincronico, attraverso la comparazione di alcuni termini legati alla meccanica in diverse realtà linguistiche della Cina contemporanea.
Le stesse finalità, metodologiche e linguistiche, hanno caratterizzato anche gli interventi dell'altro panel dedicato alla linguistica, "Terms and Terminologies", dove le riflessioni degli oratori vertevano principalemente su discipline scientifiche: Zou Zhenhuan (Shanghai), partendo dai precedenti lavori di Arakawa, Masini e Zhou Zhenhe, ha rintracciato l'origine di 138 neologismi geografici in uso durante l'ultimo periodo della dinastia Qing. L'intervento di Zhang Baichun (Pechino) ha analizzato, invece, il lavoro che affrontarono i missionari nel XVII secolo, per coniare nuove espressioni atte a spiegare l'utilizzo e la funzione degli strumenti astronomici che andavano introducendo in Cina.
Il tema centrale del convegno è stato il problema del translating, non solo in senso letterale, ma anche metaforico, come trasmissione, trasposizione di conoscenze da una cultura all'altra, in uno scambio faticoso, a volte complesso, ma mai unilaterale. Ogni relatore ha evidenziato come nel proprio campo d'azione il linguaggio, o meglio la lingua, non fosse un mero strumento di comprensione, certamente indispensabile, utilizzato e manipolato da missionari gesuiti o protestanti, da burocrati o da traduttori cinesi, ma un nuovo medium, l'incipit di un dialogo, di una comunicazione reale tra mondi così lontani. E il convegno ha voluto in qualche modo ricreare quel dialogo tra discipline diverse: i titoli stabiliti per i diversi panels erano semplicemente un tentativo di delimitare un soggetto, che in realtà sconfinava in un complesso interscambio di conoscenze e di saperi, dimostrando, ancora una volta, il bisogno e l'importanza dell'interdisciplinarità tra campi diversi del sapere, per lo studio e la comprensione della lingua e dei suoi processi.
Gli approcci a tematiche ed interpretazioni sulla teoria della traduzione sono stati i più svariati: nella sezione "New Disciplines", Han Qi (Pechino) ha effettuato una comparazione tra il testo di Aristotele, De Coelo, e il corrispettivo cinese, evidenziando i contributi teorici e stilistici dei due traduttori, Furtado e Li Zhizao; I. Amelung (Göttingen) ha, invece, dimostrato come la confusione generata da una teminologia non sempre precisa, usata dai missionari nel XIX secolo per le scienze moderne, abbia spianato la strada a prestiti linguistici dal giapponese, come nel caso di wulixue (fisica). W Behr (Bochum) ha invece ripercorso la storia dell'espressione e del processo intellettuale del "tradurre", dalle origini al primo periodo Qing, da un punto squisitamente lessicale, e Wong Wang-Chi (Hong Kong), al contrario, ha affrontato il problema da un punto di vista politico più che linguistico: la traduzione vista non solo come processo di trasmissione da una lingua all'altra, ma come una scelta consapevole di ciò che si voleva mantenere e ciò che si voleva tralasciare; scelta politica, sociale, economica finalizzata alla realizzazione di obiettivi ben precisi da parte dei responsabili di tale atto.
Altri interventi, ancora, hanno ripercorso in modo cronologico e compilativo trasformazioni e trasmissioni di saperi e discipline: Shen Guowei (Osaka) ha affrontato l'evoluzione della terminologia medica e anatomica durante le ultime due dinastie; Su Rongyu (Pechino) ha, invece, illustrato la nascita dell'archeologia in Cina come moderna disciplina di studi.
Spunti e stimoli interessanti sono stati sollecitati anche dalla componente più giovane degli oratori: H. Heroldová (Praha) ha ricercato la creazione di neologismi nella narrativa fantastica di fine epoca Qing; A. Janku (Berlino) ha affrontatato la questione dei periodici di fine epoca Qing, rivolgendo l'attenzione alle trasformazioni subite dall'editoriale (shelun) per arrivare ad essere un commento critico, politico indipendente dalla classe dirigente; N. Vittinghoff (Göttingen) ha voluto analizzare più che l'oggetto, il soggetto del processo di trasmissione e traduzione, fornendo uno studio biografico sui protagonisti del XIX secolo: giornalisti, traduttori, responsabili di case editrici. R. Svarverud (Oslo) ha presentato alcuni risultati del suo lavoro comparativo sulla traduzione di termini e concetti di diritto internazionale, introdotto in Cina con la traduzione di un testo di E. Vattel, nel 1847 e G. Gild (Göttingen) ha affrontato il problema del conflitto tra tradizione e "modernità", in uno dei campi meno conosciuti, quello della musicologia, attraverso l'opera di Wang Guanqi.
A conferma di una tendenza accademica ormai ampiamente teorizzata e prospettata, che individua negli ultimi anni della dinastia mancese un periodo di grande fermento e vivacità, in ogni campo del sapere e che vuole rivalutare e ricollocare quella che da sempre era stata vista come semplice fase di passaggio tra la Cina imperiale e quella moderna, il convegno, come evidenziato dal titolo, ha voluto fornire nuovi spunti e suggerimenti su quel periodo storico caratterizzato, e non in modo irrilevante, dalla presenza e dall'opera degli occidentali in Cina e dalla graduale consapevolezza da parte cinese dell'urgenza di creare una nazione moderna. Interessanti spunti sono stati proposti in questo senso dai tre interventi che hanno dato forma al panel "Health and Nation": S. Stevens (Indiana) ha mostrato come alcuni periodici dell'inizio del '900 abbiano strumentalizzato il discorso dell'igiene al fine di giustificare il rafforzamento della razza e della nazione che si andava costituendo; A. Messner (Kiel) ha affrontato l'introduzione in Cina di una delle più giovani discipline, la psichiatria, e il problema dell'utilizzo di una terminologia che adattasse le nuove scoperte scientifiche con i dogmi della medicina cinese tradizonale; Chow Kai-wing (Illinois), focalizzando la sua attenzione su un'analisi prettamente terminilogica, ha affrontato la questione di razza e di nazione.
La sfida teorica più audace è stata lanciata, all'interno della sessione dei progetti per la ricerca linguistica-terminilogica, da Xu Wenkan e da E. Masini. Il primo ha presentato il lavoro che l'Università di Cultura Cinese di Hong Kong e la casa editricie del Hanyu da cidian stanno portando avanti: la compilazione di un Dizionario Etimologico dei Neologismi del cinese moderno (Jin xiandai hanyu xinci ci yuan cidian), che verrà pubblicato entro il 2001. Masini ha, invece, illustrato un progetto di ricerca, che tante discussioni, commenti e contese ha provocato e sollecitato, per lo studio delle prime opere che i gesuiti compilarono a partire dal XVII secolo da un punto squisitamente linguistico e non più di idee e concetti trasmessi e divulgati: una ricerca sulla lingua del XVII secolo, attraverso gli strumenti di cui i gesuiti si dotarono per l'apprendimento della lingua parlata, necessaria per la loro sopravvivenza in terra straniera. Le grammatiche, i dizionari che in quegli anni furono prodotte, ha suggerito Masini, possono essere un'utile bussola per riscoprire elementi lessicali e risalire a costruzioni linguistiche altrimenti non trasmissibili.
Il convegno è stato anche l'occasione per presentare i risultati del progetto avviato nel Dicembre del 1996 e che ormai si avvale della collaborazione di esponenti del mondo accademico internazionale, finalizzato alla creazione di database di neologismi scientifici e filosofici di derivazione occidentale. Il progetto, "Modern Chinese Scientific Terminologies Project" (MCST-project), diretto da M. Lackner dell'Università di Göttingen, in collaborazione con H. Poser dell'Università di Berlino, sta schedando più di 7.000 opere cinesi, alla ricerca dei neologismi coniati a partire dalla metà del XIX secolo agli inizi del XX, per la trasmissione di conoscenze scientifiche e filosofiche occidentali. Il database presentato dai ricercatori dell'Università di Göttingen ha già raggiunto un numero sorprendentemente elevato di composti, circa 99.000.

MONDO CINESE N. 103, GENNAIO 2000

 

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