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POLITICA INTERNAZIONALE

L'adesione della Cina al WTO

di Romeo Orlandi

Dopo la positiva conclusione degli accordi con gli Stati Uniti (Novembre 1999) e con l'Unione Europea (Maggio 2000) sembrava che l'ingresso della Cina nell'Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) fosse una pura formalità, una sequenza di adempimenti procedurali affinché i corpi legislativi ratificassero quanto gli sherpa avevano negoziato e le autorità di governo successivamente firmato.
Da allora l'adesione della Cina è stata progressivamente posposta, ingabbiata nei laboriosi tentativi di convertire gli aspetti politici in regole precise e cogenti. Le parti interessate hanno peraltro sempre precisato che erano state trovate soluzioni per problemi irrisolti piuttosto che ammettere l'esistenza di opinioni differenti su quanto in precedenza concordato1
Al di là delle affermazioni di prammatica che accompagnano i comunicati congiunti, l'ingresso è stato in realtà sottoposto ad ulteriori reciproche concessioni. È un segnale evidente che erano validi gli inviti ad una lettura prudente degli accordi, sostenendo con ciò che la loro messa in atto era più importante delle firme apposte2.
È aspettativa comune che l'ingresso formale abbia luogo nel primo semestre del 2002. Sono stati infatti superati tutti gli ostacoli, sia nelle trattative con i singoli Stati che in quelle a carattere multilaterale tenute a Ginevra.
Tra tutti i membri del Wto solamente 37 hanno richiesto negoziati diretti con la Cina. L'ultimo accordo è stato siglato con il Messico il 12 Settembre, dopo una lunga impasse dovuta alla difesa delle proprie industrie tessile ed elettronica da parte dei 2 paesi.
L'accordo finale con gli Stati Uniti, il più importante tra quelli bilaterali, si è avuto dopo la chiusura della Conferenza Apec (Asia Pacific Economic Cooperation), svoltasi a Shanghai lo scorso Giugno. In quell'occasione il Presidente G.W. Bush aveva espresso il suo sostegno politico ad una rapida adesione della Cina, accelerando così la chiusura della lunga trattativa tra l'amministrazione statunitense e quella cinese sugli aspetti salienti dell'accordo iniziale.
Il consenso è stato raggiunto sul grado di apertura che la Cina è disposta a concedere all'attività delle società di assicurazione, sul limite alla diffusione dei negozi monomarca (single brand producer) e della grande distribuzione, sull'assenza di ogni divieto al commercio internazionale delle società straniere dopo un periodo di 3 anni di attività3.
L'ostacolo maggiore era tuttavia rappresentato dall'ingresso nel mercato dei prodotti agricoli statunitensi4. La Cina, pur essendosi già impegnata a rinunciare ai sussidi all'export, ha cercato invece di essere considerata ancora "developing country" per avere maggiori margini nella concessione dei sostegni alla sua produzione agricola (fino al 10% del suo valore). Gli Stati Uniti hanno richiesto un limite del 5% (destinato ai paesi industrializzati) ed un articolato compromesso è stato raggiunto, posizionato tra il 7 e l'8,5 % del valore della produzione, in dipendenza dei prodotti e delle aree coltivate.
Il lungo round negoziale con il Wto è stato scandito da 18 Gruppi di Lavoro. Quello finale ha dichiarato chiusa con successo la trattativa ed ha espresso la raccomandazione ai Governi per un immediato ingresso della Cina. "La cooperazione economica internazionale ha reso possible questo momento decisivo nella storia delle relazioni economiche internazionali" ha dichiarato con soddisfazione il Direttore Generale del Wto, Michael Moore5.
Il sigillo finale per l'adesione è previsto abbia luogo alla Conferenza dei Ministri del Commercio Estero, in programma a Doha, nel Qatar, il prossimo Novembre. La Cina entrerà dunque a far parte del Wto dopo più di 2 anni dall'accordo con gli Usa e dopo 15 anni dall'avvio dei negoziati con il Gatt.
Questo avvicinamento puntuale ma lento non contrasta con l'interpretazione generale degli analisti che avevano giudicato sostanzialmente positivo l'accordo con gli Usa e l'Ue. Era prevalsa allora, tra il 1999 ed il 2000, la percezione di un passo avanti significativo verso il pieno riconoscimento del valore della libertà di commercio e dunque dell'accoglimento a pieno titolo della Cina nel processo di globalizzazione.
La lunghezza delle procedure ha tuttavia consentito un esame più analitico e realista delle implicazione dell'adesione. Ne sono emerse con nettezza le 3 maggiori caratteristiche: l'accordo è fortemente voluto da Cina e Wto; non sarà indolore; in Cina le ripercussioni negative sono meglio avvertite che in Occidente. Seguendo questa impostazione ottimista ma non unidirezionale si possono delineare alcune considerazioni da 3 differenti angoli di visuale.

IL WTO 

Se il Wto può contare tra i suoi membri la Cina risulta più forte ed importante. Ha maggiore capacità negoziale e politica, marginalizza il ruolo degli esclusi e spinge verso una loro futura adesione, soprattutto se si tratta di paesi significativi come la Russia e l'Arabia Saudita. 
I 142 paesi membri del Wto detengono più del 90% del commercio mondiale. Il 90% dei flussi commerciali della Cina è con i paesi Wto. L'acquisizione della 7^ potenza commerciale è un processo "naturale", inevitabile e redditizio. Sul versante delle esportazioni la Cina nel 2000 ha superato l'Olanda e l'Italia ed ora occupa il 7° posto nella graduatoria mondiale con una quota del 3,9%.
Gli accordi con gli Stati Uniti e l'UE sono dunque classificabili come "win-win deal" nel quale il Wto cresce, la Cina si integra, si coinvolge di più e si apre con vantaggi per tutti i sistemi produttivi nazionali. 
Quest'ultimo punto è tuttavia ancora controverso. La "open door policy" della Cina, per quanto scontata, è ancora da verificare nelle sue ripercussioni sul commercio con gli altri paesi. È probabile che ci sia una sopravalutazione delle capacità, e forse delle volontà, del paese ad aprirsi a merci, investimenti e mentalità internazionali.
L'aspettativa prevalente è che ci sia coerenza tra le dimensioni del paese e quelle del mercato. Nonostante gli spettacolari successi economici degli ultimi 20 anni la Cina non è ancora il più grande mercato del mondo. Per trasformare il paese più popoloso in un mercato conseguente, per rendere le opportunita' reali e non potenziali, occorre la trasformazione radicale di un impianto sociale che ancora, inevitabilmente, risente delle arretratezze accumulate. 
L'accordo con l'UE, che riprende ed amplia quello con gli Usa, conferma l'auspicio che la Cina possa progressivamente eliminare le proprie barriere al commercio ed agli investimenti internazionali. È quindi all'insegna del "constructive engagement" che si assisterà all'ingresso del paese nel Wto.
Verrà cosi' registrata una crescita del settore privato, sia nel campo della produzione che dei servizi. Ciò dovrebbe comportare una gestione dell'economia meno ideologica e tesa al rispetto dei parametri di efficenza. Di conseguenza il ruolo dei partner stranieri aumenterà, proprio per la loro maggiore esperienza in settori cruciali come quelli dell'agricoltura, delle telecomunicazioni o dei servizi assicurativi e finanziari. Anche la progressiva diminuzione dei dazi determinerà spazi maggiori per le merci straniere, compresi i beni strumentali che ancora costituiscono la porzione di gran lunga più consistente dell'import cinese. 
Al di là comunque degli aspetti commerciali c'è nell'accordo con la Cina la consapevolezza che esso indurrà il paese ad omologarsi alle regole del business internazionale. La Cina è stata esente dalla crisi asiatica; dunque non le sono state rivolte critiche alla gestione economica, come invece è stato fatto per il "crony capitalism" di altre paesi della regione. È tuttavia vero che la Cina è ancora non assimilabile agli standard riconosciuti ed attesi per quanto riguarda la cornice legale, la tutela degli investimenti, la protezione dei marchi. 
È questo il problema più impellente da risolvere per il paese per entrare a pieno titolo nel consesso dell'economia internazionale e trarne i vantaggi relativi. Non a caso la maggiore insistenza dei governanti cinesi è tesa verso la piena affermazione del concetto di "rule of the law", finora carente e dunque causa di tensioni con gli investitori stranieri e di conseguente rallentamento degli investimenti, come quello registrato nel '99. 
Un cambiamento del "business environment" è dunque l'aspettativa maggiore e lo strumento del Wto è assecondare l'apertura del paese, nella convinzione che i settori nuovi e dinamici dell'economia debbano necessariamente far prevalere le regole universalmente riconosciute. 

LA CINA 

Contrariamente ad una diffusa visione occidentale, l'ingresso nel Wto non trova unanime consenso in Cina. Il dibattito nella classe dirigente è stato lungo ed aspro ed ha contribuito all'inconsueta durata delle trattative. Non è stato un semplice scontro ideologico tra le due anime del PCC. E non è stato neanche solo un contrasto tra una concezione autarchica (erede del millenario nazionalismo cinese) ed una tendente all'apertura dispiegata con il mondo esterno. 
Pur se queste considerazioni sono state presenti, il discrimine è stato essenzialmente pragmatico ed ha prevalso la considerazione che, alla fine di un percorso lungo e doloroso, i vantaggi derivanti dall'ingresso nel Wto saranno maggiori dei prezzi da pagare. In particolare, la salvaguardia delle realtà economiche più deboli -sia produttive che territoriali- verrà ridimensionata dalla loro inclusione nel mercato globale. L'immenso entroterra del paese non sarà dunque solamente un mercato di destinazione dei prodotti industriali, non costituirà la valvola di sicurezza per fronteggiare crisi regionali come quella del '97-'99, ma sarà chiamato sempre di più a generare la propria ricchezza.
È quindi probabile che si assisterà a 2 fenomeni economici di rilevanti dimensioni. Il primo è l'aumento degli investimenti diretti esteri che trasformeranno presto la Cina in uno sterminato opificio mondiale. Il secondo, di conseguenza, sarà l'aumento delle esportazioni, soprattutto di beni a maggiore valore aggiunto ma pur sempre con bassi costi di produzione. Ne risulterà un maggior sostegno alla domanda globale da parte delle esportazioni. Il loro peso in relazione al Pil tenderà a raggiungere la quota precentuale delle altre Tigri Asiatiche, ben oltre l'attuale valore del 23% della Cina6.
Con inusuale schiettezza le dichiarazioni delle autorità cinesi hanno messo in evidenza il rischio di perdere, a causa della concorrenza internazionale, posizioni consolidate e di innescare tensioni sociali. Più volte è stato ripetuto, a livello ufficiale, che "nessun paese ha economicamente sofferto dall'adesione al Wto". Alla fine ha dunque prevalso l'audacia di una scommessa epocale che si preannuncia articolata e piena di implicazioni. 
Quando le autorità cinesi affermano che il loro paese è ancora in via di sviluppo, non lo fanno solamente per strappare migliori condizioni al Wto. Affermano una verità oggettiva ed esprimono il pericolo di un crollo della loro economia. La Cina è infatti ancora arretrata e protetta. Due decenni di ininterrotto sviluppo economico hanno solo parzialmente modificato un panorama produttivo ancora 
scarsamente industrializzato, un'agricoltura poco meccanizzata, un'economia non monetizzata, un settore dei servizi con molti margini di miglioramento.
Un tale sistema economico deve essere protetto con dazi, con regole che limitano l'intervento straniero, con l'aumento del numero delle industrie considerate strategiche e dunque inaccessibili, con una differente etica da lavoro. Queste barriere sembrano tuttavia aver non solo protetto ma anche ingessato il paese, impedendogli un fruttuoso scambio con l'estero. È insomma presente la drammatica consapevolezza che la Cina per progredire deve aprirsi, con il pericolo che un'apertura non misurata possa minare le basi della società stessa.
Ha prevalso per ora la linea del primo ministro Zhu Rong Ji, portavoce del versante ottimista di questa scommessa7. Saranno creati sicuramente nuovi posti di lavoro nel settore dei servizi, nell'information technology, in alcune industrie non tradizionali come l'elettronica e le telecomunicazioni. Contemporaneamente dovrà radicalizzarsi la ristrutturazione di impianti industriali che non sono fonte di profitto e che non potrebbero sopportare la concorrenza internazionale. Si tratta quasi sempre di grandi complessi di proprietà statale, mantenuti in vita da sussidi governativi e da un mercato senza rischi. 
Nel paese sono già in atto altri cambiamenti strutturali di grande impatto per la popolazione e per l'economia nel suo complesso. L'accesso ai consumi è aumentato vertiginosamente e sono in via di riforma vecchi capisaldi della vita sociale. Vengono immesse sul mercato le abitazioni, la sanità inizia a non essere totalmente gratuita, l'istruzione privata trova i primi sostenitori. 
Per alcuni aspetti si tratta di una rivoluzione, silenziosa ma efficace. Il suo impatto sulla società è immediato e le conseguenze immaginabili per un paese adagiato da decenni su uno stile di vita non eclatante ma assicurato. I governanti della Cina hanno dunque di fronte un problema di ampiezza storica: calibrare un aumento della ricchezza che renda meno dolorosi gli inevitabili sacrifici. L'adesione al Wto è strumentale a questa politica. Si tratta in sostanza di ampliarne gli effetti innovativi senza che questi colpiscano una struttura economica ancora fragile. 
Alcuni vantaggi deriveranno dalla concorrenza. Nelle telecomunicazioni le società straniere potranno detenere fino al 49% di equity, abbastanza per stimolare la crescita tecnologica, la raccolta di fondi sul mercato, un management adeguato, un marketing aggressivo. Sono tutti aspetti estremamente rilevanti, perchè finora pressoché sconosciuti in Cina. 
Il settore bancario si aprirà a nuove e più sofisticate forme di intermediazione e di investimento, cosi' come richiesto dalle imprese nascenti. Sarà un'operazione ineludibile ma non facile per un sistema praticamente instauratosi solo da pochi anni e dedito prevalentemene alla raccolta del risparmio od al finanziamento con criteri differenti da quelli occidentali. 
Vantaggi ancora più immediati dovrebbero rivelarsi quelli derivanti dall'entrata in scena di società straniere attive nella distribuzione. Quest'ultima è infatti praticamente inesistente in Cina, in base ai criteri valutativi dei paesi industrializzati. Soprattutto nell'accordo con l'UE è prevista l'abolizione delle restrizioni all'operatività per i Grandi Magazzini stranieri e le catene di negozi, anche se rimane tuttora non definita la fisionomia legale della distribuzione commerciale tipica svolta da agenti e rappresentanti.
Tra i principali svantaggi, l'impatto di una progressiva liberalizzazione all'importazione di prodotti agricoli potrebbe avere pesanti conseguenze sulle campagne cinesi, dove ancora vive l'80% della popolazione. Un effetto analogo potrebbero svolgerlo le riduzioni tariffarie previste ad esempio per il settore automobilistico (dall'80-100% al 25%) in vista della prossima massiccia motorizzazione del paese. 
Secondo stime del Consiglio di Stato l' "effetto Wto" dovrebbe comportare, dopo l'ingresso, un aumento del Pil dell' 1,2-1,5%. È in generale diffusa la convinzione che tale effetto dovrebbe ripercuotersi più che positivamente sulle Provincie più progredite (quelle costiere centro meridionali), sui settori con tecnologie e gestioni più moderne, sulle aziende private. La preoccupazione del governo sarà di bilanciare questi effetti, temperando la vastità delle dismissioni di aziende statali e soprattutto stimolando, attraverso una politica nazionale già in atto, l'imprenditoria pubblica e privata nelle zone centrali ed occidentali meno sviluppate del paese. 

L'ITALIA 

Come noto le trattative con la Cina sono state condotte dall'Unione Europea. L'accordo concluso a Maggio non duplica quello con gli Usa, altrimenti l'Italia ne avrebbe tratto pochi vantaggi. Agricoltura, telecomunicazioni, servizi bancari ed assicurativi nazionali non potranno infatti competere, almeno per i grandi volumi, con i giganti statunitensi, giapponesi od europei.
Migliori posizioni per le aziende italiane potrebbero invece aversi dalla riduzione delle barriere tariffarie, dalla creazione di una rete distributiva efficiente, dalla speditezza nel registrare uffici di rappresentanza, dall'implementazione più compiuta del "rule of the law".
Le concessioni negoziate dall'UE saranno infatti importanti soprattutto per le riduzioni daziarie. Esse hanno riguardato 150 prodotti industriali, per i quali c'è stato un abbattimento di circa l'8% (più precisamente la media dei dazi si èabbassata dal 18,6 al 10,9% ad valorem). I settori interessati sono la cosmetica, la pelletteria, il tessile, il calzaturiero, i materiali da costruzione, il vetro e quelli più tradizionali della meccanica strumentale. 
I prodotti dell'agricoltura hanno rilevato un analogo miglioramento. Il dazio sul vino è sceso dal 65 al 14% e quello sulla pasta dal 25 al 15%. Significativa appare infine la rimozione, da completare entro il 2005, del monopolio statale di export della seta, della quale la Cina detiene il 70% della produzione mondiale.
Innegabili appaiono i vantaggi per le aziende italiane, i cui prodotti potranno godere di prezzi più competitivi sul mercato. Soprattutto nel macrosettore dei beni di consumo è possibile una presenza più consistente del "Made in Italy", ben apprezzato in Cina anche se non attraverso le sue produzioni più tipiche, genuine ed originali.
Si tratta comunque di vantaggi concessi anche ai paesi concorrenti e che, se non affiancati da impegni aziendali specifici, potrebbero lasciare l'andamento delle esportazioni italiane in Cina a fattori ciclici e non ad una effettivo radicamento nel paese. 
L'Italia è risultato nel primo semestre 2001 il 15^ fornitore della Cina. Uno spettacolare aumento del 36% rispetto allo stesso periodo del 2000 ha consentito di recuperare la terza posizione tra i paesi europei, a svantaggio del Regno Unito, a ridosso della Francia e lontano comunque dalla Germania che tradizionalmente vanta la prima posizione. La seconda, fino al 1996, è stata detenuta dall'Italia, la cui composizione merceologica era in efficace sintonia con le necessità della moderna industrializzazione cinese. 
La grande maggioranza dei prodotti esportati è ancora composta da macchinari utilizzati come base tecnologica dell'industria leggera cinese. Anche se non hanno raggiunto ragguardevoli importi monetari, i beni di consumo italiani stanno affermandosi lentamente anche in Cina. Si tratta di un fenomeno in via di consolidamento, grazie al riconosciuto prestigio del Made in Italy, al carattere internazionale della città e all'accresciuto reddito di una parte non marginale della popolazione.
Al di là di queste cifre va comunque registrata una tendenza di fondo che vede gli investimenti stranieri sempre più importanti per la Cina rispetto agli scambi commerciali. È probabile che questa tendenza venga amplificata con l'ingresso nel Wto e che dunque i benefici più grandi siano riservati ai paesi che privilegeranno la produzione in Cina, secondo le differenti forme che il paese è disponibile a considerare.
L'ingresso nel Wto segna un passaggio importante e raddoppia le opportunità nate dalla crescita economica e sociale del paese. Le aziende italiane hanno finora agito con prudenza: il nostro paese ha investito in Cina dal '78 ad oggi lo 0,7% del totale; lo 0,9 nel '99. La quasi totalità degli investimenti è stata opera di aziende di grandi dimensioni e ciò trova spiegazioni nella difficoltà di approccio alla Cina e nella composizione dell'industria italiana, con la predominanza delle piccole e medie aziende. 
Proprio a queste ultime è riservata ora una opportunità senza precedenti. In Cina rimangono infatti immutate le condizioni favorevoli derivanti dalle immense capacità produttive e dalle dinamiche del mercato. Tendono invece a diminuire le difficoltà più tradizionali, con un ritmo uguale a quello con cui la Cina si avvicinerà, indipendentemente dalle sue aspirazioni, alle regole negoziate ed accettate del business internazionale.

Tabella n. 1
Principali paesi esportatori di merci 1999 e 2000
8
PAESI/REGIONI Posizione 2000 Posizione 2001 % sul totale
mondo exp. '00
% sul totale
mondo exp. '99
Stati Uniti

1

1 12,3 12,4
Germania 2 2 8,7 9,6
Giappone 3 3 7,5 7,5
Francia 4 4 4,7 5,3
Regno Unito 5 5 4,4 4,8
Canada 6 6 4,4 4,2
Cina 7 9 3,9 3,5
Italia 8 7 3,7 4,1
Olanda 9 8 3,3 3,6
Hong Kong 10 11 3,2 3,1
Belgio 11 10 2,9 3,1

Tabella n. 2
Importazioni 1999-2001 della Cina. Principali Paesi fornitori
9
$ mld

Posiz.

PAESI/REGIONI Gen-Giu
2001
Gen-Giu
2000
Var % 
Gen_Giu
01-00
2000 1999
Totale 116,43 102,13 14,0 225,1 165,7
1 Giappone 21,02 19,11 10,1 41,5 33,8
2 Taiwan 12,63 11,62 8,7 25,5 19,5
3 Stati Uniti 12,51 10,61 17,9 22,4 19,5
4 Corea del Sud 11,50 10,77 6,8 23,2 17,2
5 Germania 6,32 4,87 29,8 10,4 8,3
6 Hong Kong 4,49 4,24 6,0 9,4 6,9
7 Russia 3,56 2,68 32,6 5,8 4,2
8 Malaysia 2,81 2,33 20,5 5,5 3,6
9 Singapore 2,53 2,34 8,0 5,1 4,1
10 Australia 2,42 2,47 -2,0 5,0 3,6
11 Tailandia 2,29 1,93 18,4 4,4 2,8
12 Indonesia 2,02 2,04 -0,8 4,4 3,1
13 Francia 1,98 ,166 18,8 3,9 3,8
14 Canada 1,94 1,91 1,5 3,7 2,3
15 Italia 1,81 1,34 35,8 3,1 2,7
16 Regno Unito 1,74 1,57 10,7 3,6 3,0

Tabella n. 3
Esportazioni 1999-2001 della Cina. Principali Paesi di destinazione
10
$ mld

Posiz. PAESI/REGIONI Gen-Giu
2001
Gen-Giu
2000
Var % Gen-Giu
01-00
2000 1999
Totale 124,57 114,48 8,8 249,2 194,9
1 Stati Uniti 25,03 23,61 6,0 52,1 41,9
2 Hong Kong 21,41 20,68 3,6 44,5 36,9
3 Giappone 21,40 18,79 13,7 41,7 32,4
4 Corea del sud 5,80 5,29 9,4 11,2 7,8
5 Germania 4,47 4,40 1,5 9,3 7,8
6 Olanda 3,55 3,24 9,6 6,7 5,4
7 Regno Unito 3,11 2,87 8,6 6,3 4,9
8 Singapore 2,84 2,74 3,2 5,8 4,5
9 Taiwan 2,36 2,41 -2,1 5,0 3,9
10 Italia 2,12 1,91 10,8 3,8 2,9

Note

1 "Edging closer", The Economist, 16.6.2001, p. 77. 
2 Fabrizio Onida, "La Cina schiude le porte", Corriere della Sera, 21.11. 1999. 
3 China Economic News, Hong Kong, 17.7.2001.
4 Secondo lo Us Department of Agriculture dopo l'ingresso della Cina nel Wto, le esportazioni aumenteranno di un valore di 2 miliardi Usd l'anno, Business Week, Bj 19 giugno 2001.
5 Dichirazione al termine del 18° Gruppo di Lavoro, rip. in China Daily, 18.9. 2001.
6 "East Asia Falling (again)", The Economist, 7.7.2001, p.11. 
7 Rischi ed opportunità sono presenti in molti passi del "Report on the outline of the 10th five-year plan for national economic and social development", presentato alla 4° Sessione della IX Assemblea Nazionale del Popolo dal Primo Ministro Zhu Rongji, il 5 marzo 2001. Xinhua News Agency, 5.3.2001.
8 Fonte: www.wto.org/statistics; "Merchandise Export", The Economist, 9.6.2001, p.118. 
9 Fonte: China Monthly Statistics, 2001.6. Elaborazione dati ICE Pechino
10 Fonte: ibid. Elaborazione dati ICE Pechino

 

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