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CULTURA E SOCIETA'

Il riso ambiguo di una Medusa in qipao:
una lettura critica de La Regina di Shanghai

di Marco FUMIAN

Chi ha paura di Hong Ying?
Perché più di tutto è il sesso, nella nostra vita, a intrecciarsi con ogni sorta di questioni, culturali, di classe, etniche1.

Chen Xiaoming, il critico che negli anni ’80 divulgò il postmodernismo fra gli scrittori cinesi, nel 2002 scriveva: “Nel wentan cinese, Hong Ying è sempre stata una scrittrice alquanto controversa”2.
A meravigliarlo era il fatto che, nonostante l’autrice fosse già da tempo consacrata in Occidente, la critica autoctona continuasse per lo più a snobbarla.

Hong Ying, da parte sua, pur definitasi in un’occasione la scrittrice più bella della Cina3, respinge recisamente ogni sovrapposizione fra lei e il fenomeno pop-narcisista delle meinü zuojia4. La sua poetica nasce nella Pechino idealista e highbrow degli anni ’80, eppure i suoi romanzi hanno fatto spesso l’occhiolino all’effetto e al pittoresco della narrativa popolare. Scrittrice émigrée e cosmopolita, non ha però mai rinnegato i legami intellettuali e creativi con la madrepatria, sempre – e soffertamente – presente nella sua opera.

Sono dunque queste le sue contraddizioni? O sarà forse la sua liminalità, il suo pendolare fra due poli culturali che si immaginano l’uno il contrario dell’altro, Oriente e Occidente, a decretarne la condizione
di apolide nell’aristocratica repubblica delle lettere cinesi?

Hong Ying, emigrata a Londra nel 1991, fa capolino nel wentan cinese nel 1992, ma l’opera del suo esordio narrativo, L’estate del tradimento5, benché pubblicata a Taiwan viene bandita nella Repubblica popolare. Il romanzo racconta la storia di una giovane poetessa originaria della campagna, alter ego dell’autrice, la quale, nello scenario di una Tian’anmen insanguinata dai carri armati, scopre che l’unica sfida possibile contro lo stato autoritario, repressivo e fallocratico, è combattere una rivoluzione individuale, tesa a liberare la propria sessualità. Nel 1997 esce La figlia del fiume6, autobiografia romanzata che ricostruisce la crescita della scrittrice in un “natio bassofondo selvaggio”, personalissima e crudelissima educazione sentimentale marchiata dal connubio di eros e thanatos e affrescata con le infernali violenze della Cina comunista. Il romanzo raggiunge il successo soprattutto all’estero e Hong Ying, per conquistare l’attenzione della critica conterranea, deve attendere la pubblicazione di K7, raffinata soffusa rievocazione del rapporto amoroso fra Julian Bell – poeta minore del circolo di Bloomsbury e nipote di Virginia Woolf – e la seducente, intelligentissima, imperscrutabile Lin, ove aleggia ancora un trascendentale binomio di sesso e rivoluzione. Ciò che sembra piacere ai critici8, però, è che almeno per una volta, nel romanzo, la tradizionale gerarchia Oriente-Occidente viene rovesciata e dei due personaggi è Lin quello dominante.

Si arriva così a La Regina di Shanghai9, parabola di una donna avvenente e tenace che capovolge il suo destino segnato dall’infamia e diventa il simbolo della rutilante Shanghai prerivoluzionaria.

Sebbene sia K che La Regina di Shanghai abbiano ormai abbandonato i riferimenti diretti al vissuto dell’autrice, non è difficile scorgere in essi una certa proiezione autobiografica. Inoltre, l’excursus delle opere qui menzionate mostra una continuità evidente: l’emancipazione solitaria della donna dalla gabbia della Storia cinese dominata dal sesso maschile. Ecco quindi che il mistero della “malcelata insofferenza”10 da parte della critica cinese verso l’autrice sembra diradarsi: Hong Ying, come suggerisce il titolo di questo paragrafo11, costituisce una figura ingombrante, una femminilità inquietante e minacciosa che la critica cinese, in buona parte maschile e maschilista, ha preferito rimuovere. Né è questa l’unica rimozione cui si accennerà nel presente lavoro, che intende condurre una breve disamina del romanzo La Regina di Shanghai, ripartendola su due livelli. Il primo accoglierà gli scarni apporti della letteratura critica sull’autrice e le sue enunciazioni poetiche, atte ad avallare una lettura femminista dell’opera trattata; il secondo sarà invece un tentativo di individuare nelle pieghe nascoste del testo le tracce che confutano la sua auto-interpretazione e mostrare che i suoi aspetti più sovversivi sono in una certa misura corrivi con le pratiche ideologiche dominanti nella Cina contemporanea.

2. La coscienza del corpo
Il romanzo narra dell’ascesa di una donna di successo. Ma cosa rende la storia qualcosa di più che una semplice favola? Cosa ci autorizza a considerarla un legittimo esempio di ciò che Hélène Cixous12 chiama écriture féminine? Cosa vuole scrivere Hong Ying, cosa de-scrive la protagonista del romanzo, Xiao Yuegui, con la sua parabola?

All’inizio Xiao Yuegui non è nulla: un foglio bianco, uno degli innumerevoli fogli bianchi destinati a non essere mai scritti. Oltre che donna è contadina, e quindi incatenata materialmente a una condizione immutabile. Il suo legame con la terra si spezza solo per essere sostituito da un altro giogo: la schiavitù in un bordello. A questo punto, però, se da un lato a sovrastarla è la tradizione cinese ormai all’impasse simboleggiata da Xin Daiyu, ex cortigiana fiera di zoppicare con i suoi piedi fasciati, i loti dorati, dall’altro si apre una possibilità, un’aporia nella stessa tradizione, una fessura nelle maglie della Storia. Questa fessura è Shanghai, “lo stretto passaggio, lastricato d’acciaio, attraverso cui s’infilava il mondo che voleva entrare in Cina”13. Shanghai non è però un castello delle fiabe, ma una frontiera insidiosa
e inesplorata dove vengono gettate le fondamenta del brave new world della modernità cinese. Shanghai, nel romanzo, è ben più di una dimensione contestuale: possiamo dire che ne è il deuteragonista.

Mettere piede a Shanghai, per Xiao Yuegui, vuol dire mettere piede nella Storia. Ed è proprio questo ciò che rende il romanzo un esempio di scrittura femminile: il fatto che la protagonista scriva la propria storia e (ri)scriva la Storia della Cina moderna mediante il proprio corpo.

Hong Ying, con un’intuizione fortunata, prende il piede come metafora di una differente fisicità, che è nello stesso tempo la condizione immanente di una differente soggettività. Xin Daiyu dapprincipio deride Xiao Yuegui per i suoi piedi grandi e ridicoli, la umilia per il suo corpo imponente, la chiama mostro. La mostruosità fisica, però, è un tutt’uno con la sua forza, il coraggio, l’abnegazione, che la rendono una “strana creatura”, una “bestia rara”14. Xiao Yuegui, per via dei suoi piedi grandi, non può diventare cortigiana (e quindi acquisire uno status invidiabile, benché subalterno). Tuttavia, in possesso del proprio corpo (l’unico capitale che può spendere all’inizio della sua avventura), può agire. Il suo corpo è uno scudo quando corre a pararsi davanti a Chang Lixiong colpito dai proiettili. È un’arma quando seduce Huang Peiyu ed è disposta a mettere a repentaglio la propria incolumità nell’attentato che architetta per ucciderlo. Ed è voce: non a caso è tramite il canto e grazie alla sua voce “di petto, argentina e profonda”15, alla sua presenza teatrale sul palco, che i suoi potenti sentimenti trovano sfogo.

Differenza, secondo Cixous, è quanto sarebbe inscritto nel corpo della donna, perché la donna è sinonimo di pluralità, tolleranza, prodigalità. Il corpo della donna è sede cosmica e disinteressata delle pulsioni, dell’inconscio libidinale, un territorio misterioso e inesplorato “traversato da fiotti canori”16. Il corpo, pertanto, non determina soltanto l’agire di Xiao Yuegui; ne determina il suo stesso esserci. Xiao Yuegui, incontrando in un episodio del romanzo un’oratrice del movimento di liberazione, la rimprovera di aver dimenticato nella sua arringa sulla parità dei diritti fra uomo e donna la liberazione del piacere femminile. Senza piacere, senza abbandono dei sensi, Xiao Yuegui è “un uccello ferito che non riesce a spiccare il volo”17, a cui sembra di non esistere. E dunque, a fronte di una sessualità maschile incentrata sul dominio, dove “godere è potere”, come nel caso dell’ambizioso Huang Peiyu, Xiao Yuegui nel fare l’amore vola, perché “volare è il gesto della donna”18.

Se possiamo leggere nell’emancipazione dal piede fasciato la metafora dell’incedere della donna cinese nella Storia moderna, nel seno prosperoso di Xiao Yuegui troviamo l’altro segno testuale con cui interpretare la sfida al terzo personaggio allegorico messo in scena nel romanzo (dopo l’io-donna Xiao Yuegui e Shanghai): il maschio cinese. Mentre Xin Daiyu disprezza il corpo di Xiao Yuegui, Chang Lixiong, l’unico personaggio maschile progressivo, se ne invaghisce con un solo sguardo perché lo associa inconsapevolmente ai famosi dipinti di nudi occidentali che ha visto per caso a Shanghai. Huang Peiyu, sopraffatto dalla bellezza e dal magnetismo di lei, la loda: “Il tuo è davvero un corpo moderno”19. È l’idea più originale e affascinante del racconto: Hong Ying, nel riscrivere al femminile il nesso fra modernità cinese e occidentalizzazione, dà corpo alla Storia. Detto altrimenti, se modernità è occidentalizzazione, il corpo moderno deve essere un corpo occidentale, come se il progredire storico di soma ed ethnos fosse unitario, comune il loro fato. E infatti è nel suo corpo occidentale che Xiao Yuegui trova l’energia per cambiare il mondo, il dinamismo per lottare e sottrarre all’uomo il potere conservatore da questi detenuto illegittimamente. Un personaggio secondario del romanzo, il drammaturgo Liu Ji, vede addirittura in lei un’icona che prefigura la rivoluzione, un simbolo culturale in grado di mettere occultamente in moto le ruote della Storia, capace di evocare le forze dell’inconscio collettivo.

Liu Ji, vedendo nei cortei di Shanghai quelle donne impavide che lottavano con più audacia degli uomini, mostrando le loro forme sotto i vestiti bagnati senza un briciolo di vergogna, aveva pensato istintivamente al quadro di Delacroix “La Libertà guida il popolo”, in cui gli uomini sulle barricate, guidati dai seni superbi della Dea della Libertà, andavano a morire per i loro ideali con centuplicato ardore.§

Anni dopo, quando avrebbe cominciato a scrivere romanzi, a ispirarlo sarebbe stata l’immagine di una rivoluzionaria dal corpo bello e dai seni procaci20.

Occultamente, perché Xiao Yuegui, ancorché creatrice di un nuovo genere teatrale che opera un’ideale fusione fra il teatro popolare cinese e il dramma borghese europeo, e quindi artefice di quell’incontro
culturale fra Oriente e Occidente che costituisce la radice della modernità cinese, viene dimenticata dalla Storia. Quando, a conclusione del romanzo, la narratrice dichiara di aver condotto una ricerca storica per riportare alla luce la verità sulla biografia della sua eroina, rivela: “Dei letterati della vecchia Shanghai, da me interpellati, dissero che ne avevano sentito parlare: era una donnaccia, una delinquente, una svergognata; alcuni la chiamavano la ‘sgualdrina della mala’. Nessuno però aveva materiale concreto da darmi”21. La procacità di Xiao Yuegui attira su di lei i pregiudizi della superstizione, secondo cui è una donna che conduce il maschio alla rovina, una specie di mantide, o meglio, attingendo all’immaginario classico dei letterati cinesi, uno spiritovolpe22. In un passo del romanzo, d’altra parte, ci viene curiosamente detto che nella tradizione poetica cinese il corpo della donna è assente, come se “i poeti il corpo non lo avessero mai guardato”23. Sull’apparire della sessualità femminile aleggia quindi un che di sinistro, come ci segnala l’invenzione apocrifa dell’etimologia della parola “moderno”, che Hong Ying mette in bocca a Liu Ji: l’equivalente cinese modeng non sarebbe un calco derivante dalle lingue occidentali, ma si riferirebbe alla “perversa Modengjia del Sutra Surangama, colei che, trascinando a letto il novizio Anan, per poco non ne corrompe la virtù”24.

Chiara è la seconda rimozione più sopra anticipata: la donna nella sua (demonizzata) corporeità, la cui materializzazione è esorcizzata dai mandarini. La Regina di Shanghai afferma di voler riportare alla luce una tradizione “altra” omessa dai libri di Storia, una sorta di “tradizione degli oppressi” benjaminiana25, la “costellazione di pericoli” rappresentata da coloro che la Storia dei dominatori ha sconfitto e gettato nelle catacombe dell’oblio. Hong Ying d’altra parte dichiara di preferire alle grandi narrazioni storiche quelle degli individui che la Storia ha lasciato ai margini e dice che nel condurre tale operazione il romanziere, se è bravo, è autorizzato a reinventare la Storia, giacché il senso della Storia non risiede nei grandi eventi, ma nel destino dei piccoli personaggi26. In questo modo, anche se Xiao Yuegui è un personaggio fittizio, trasformandosi in allegoria di un destino collettivo acquista una verità poetica che trascende la verità della Storia.

Ma l’operazione non si ferma qui. La cornice diegetica qui congegnata comprende una narratrice che, nel presente, dichiara di voler ricostruire la vita di Xiao Yuegui come un documentario, di cui sottolinea a più riprese l’assoluta autenticità. La narratrice intervista una Xiao Yuegui “eternamente giovane”27, conversa con lei sorseggiando un caffè in un moderno bar di Shanghai, addirittura dotato di connessione internet. Xiao Yuegui, però, secondo i nostri calcoli, sarebbe nata nel 1891, e quindi logica vorrebbe che al momento della narrazione avesse più di cent’anni. È forse questa una contraddizione? E, se lo è, come è risolta da Hong Ying?

Con un’abolizione ulteriore delle linee di confine fra vero, verosimile, finzione e immaginazione. L’autrice immagina di parlare con Xiao Yuegui, di farle delle domande, entra in comunione con lei in maniera telepatica, onirica, mistica. Xiao Yuegui, in quanto iodonna, è una presenza fantasmatica, un’ipostasi della Storia che si frammenta in ogni donna e vaga libera nello spazio-tempo, in un continuum che rompe l’illusoria barriera fra passato e presente. Ciò che Hong Ying ci propone è pertanto ben più che uno spaesante gioco letterario di sapore postmodernista: la sua, piuttosto, è l’enunciazione di una radicale differenza, un esoterismo femminile che scioglie le apparenti contraddizioni della logica, e sfida quindi il logos maschile e razionalista.

3. L’inconscio sociale
Dietro questa libera reinvenzione della Storia, però, potrebbe anche nascondersi dell’altro. Va detto, anzitutto, che la Shanghai del romanzo affastella uno sull’altro una grande varietà di elementi storici, alcuni dei quali sembrano oggettivamente appartenere a un folclore ormai di repertorio – come nel caso del feroce e cavalleresco mondo delle triadi o di quello sensuale e sontuoso delle cortigiane – mentre altri sono anacronistici28 e altri ancora sono diapositive del mondo contemporaneo proiettate nel passato per rispecchiare il presente, come dimostrano la logica del business, dei mass media e dello spettacolo di cui è intriso il romanzo o l’episodio del processo per “diffamazione”29 in cui vengono causati a Xiao Yuegui dei “danni d’immagine”. Elementi, questi ultimi, che pongono il lettore di fronte allo schermo del passato mantenendo intatto lo sguardo familiare del presente.

Perché poi l’autrice ha scelto l’artificio di una narratrice interna che, a mio avviso, lungi dall’incrementare l’effetto di cronaca documentaria apparentemente voluto dal romanzo, con le sue episodiche e maldestre incursioni nella storia ne rompe piuttosto la fluidità e incrina la fiducia del lettore nei confronti della verosimiglianza dell’intreccio? C’era bisogno di collocarla nel presente? Perché fingere addirittura una specie di comunione medianica fra lei e Xiao Yuegui pur di erigere un ponte fra il presente della prima e il passato della seconda?

Un valido ausilio per rispondere a queste domande proviene da un articolo di Zhang Xudong30, secondo il quale, a partire dagli anni ‘90, Shanghai diviene l’oggetto di un ampio revival nostalgico, che porta molti, scrittori compresi, a riscriverne la Storia. Tale processo, tuttavia, in quanto teso a riconnettere l’odierna Shanghai al proprio illustre passato, è inimmaginabile senza la riconquista, da parte della metropoli, della leadership nel mercato nazionale e internazionale, che la rende oggi la più credibile interprete cinese del capitalismo globale e della relativa ideologia neoliberista. Nel recupero dell’età dell’oro shanghaiese, si legge un tentativo di immortalare l’archetipo di una “modernità cinese borghese”31, “esperienza di una modernità poggiante sulla cultura materiale, sociale e quotidiana vissuta da individui autonomi, opposta a un progetto intellettuale o a un programma politico, alla mobilizzazione di massa e al volontarismo della rivoluzione e del socialismo”32.

Su questa interessante osservazione torneremo in sede conclusiva. Per ora sarà sufficiente rispondere alla domanda poc’anzi formulata: il ricorso a una narratrice ubicata nel presente si rende necessario dal momento che ciò di cui parla il romanzo, nel suo dialogo con il passato, è in realtà il presente con la sua ideologia.

Quanto poi a quale sia la natura di questa ideologia, tocca a un altro grande interprete della realtà cinese contemporanea venirci in aiuto. Per Wang Xiaoming, che, nell’articolata prefazione di un libro di cui è curatore33, individua nell’analisi dell’emergente classe dei cosiddetti nuovi ricchi (xin furen) la chiave principale per comprendere i mutamenti della società cinese negli anni ’90: il fulcro della nuova ideologia starebbe nella parificazione dell’originario progetto di modernizzazione al diritto individuale al miglioramento delle condizioni di vita materiale e sarebbe la facciata di un sistema politico pragmatico e
utilitaristico che comprenderebbe i nuovi ricchi quali “rappresentanti”34 del potere economico. Tale sistema, schermandosi dietro a parole d’ordine come profitto, arricchimento, competizione economica e stabilità sociale, mirerebbe in realtà alla propria autoconservazione e, sfruttando i simulacri del mercato, del consumismo, della moda (barbagli di un’unica grande cometa: l’Occidente), modellerebbe i desideri e
gli ideali delle masse, occultandone le frustrazioni, scongiurandone la partecipazione politica e livellandone le contraddizioni sociali. L’eroe che darebbe il volto al manto di tale illusione, secondo Wang Xiaoming, sarebbe il “gentiluomo di successo”35 (sorridente, istruito, occidentalizzato, ricco, consumatore), icona apparsa nei cartelloni pubblicitari di Shanghai all’inizio degli anni ’90 e da lì propagatasi in ogni manifestazione culturale della Cina contemporanea, compresa la letteratura36.

E se provassimo allora a comprendere Xiao Yuegui come il correlativo storicizzato di una “gentildonna di successo” contemporanea? Se cercassimo di vedere nella traiettoria che la porta a diventare “la regina di Shanghai” l’adesione al peculiare mito di affermazione che permea l’inconscio politico della Cina di oggi?

È un’impresa in verità alquanto agevole. Xiao Yuegui possiede un’etica che potremmo, parafrasando con libertà Max Weber, definire protestante. È tenace, dotata di spirito di sacrificio, sa risparmiare, accumulare, scrutare nel cielo di Shanghai i segni della propria grazia. Nell’apologo del suo arricchimento si legge l’abc del capitalismo: fonda il suo primo teatro indebitandosi, effettua un investimento rischiosissimo mettendo in mano tutti i suoi capitali a Yu Qiyang (deciso a rilevare i debiti della Hongmen per trasformarla in una banca: un vero pioniere della finanziarizzazione della mafia!). Conquistata la fama, ricama il proprio trionfo con sagacia e spietatezza, innovando e diversificando l’offerta dei prodotti artistici, anticipando i gusti del pubblico, moltiplicando la propria immagine pubblica, manipolando l’opinione dei media e cercando appoggio e protezione presso i potenti. Eppure, nella sua volizione si legge molto dello Zeitgeist cinese attuale: motore del suo implacabile programma è liberarsi dalla povertà, marchio dell’infamia, presupposta inferiorità delle proprie origini. È emblematico che tutto il romanzo trasudi una profonda avversione per il contado, specchio, a mio parere, di un più ampio tentativo di un’ulteriore rimozione, quella delle campagne37, ad opera tanto del contemporaneo immaginario urbano quanto delle strategie politiche del governo cinese. Ed emblematicamente Shanghai, di cui si celebrano lo skyline, i tabloid, i vip e i personaggi potenti, non postula la propria identità in contrasto con le altre città della Cina del tempo, ma in contrapposizione alla campagna.

Un forte senso di compiacimento, narcisistico e materialista, domina inoltre la seconda metà del romanzo, a partire da quando Xiao Yuegui, divenuta alfine autosufficiente, può concentrarsi metodicamente al consolidamento e all’amplificazione del proprio successo. Non pare certo un caso che il capitolo successivo alla morte di Huang Peiyu si apra sull’immagine della protagonista vestita con “un qipao coperto da un maglioncino rosso”38, accanto a cui troviamo Yu Qiyang impegnato alla guida di una Ford T decappottata (modello di automobile che, inaugurando la motorizzazione di massa negli Stati Uniti, diede a ogni americano medio la possibilità di realizzare il sogno che è oggi della nuova classe media cinese: possedere la propria macchina). Il compiacimento si accresce quando la Ford T si trasforma in una “bella Chevrolet”39, o quando Xiao Yuegui, che il lavoro ha reso ormai “una nottambula”40, può glorificare la fortuna dei propri affari accoccolata sull’ottomana della villa all’occidentale comprata a un prezzo “molto ragionevole”41, in compagnia del “mago della finanza”42 Yu Qiyang, che è appena rientrato da una cena di rappresentanza. E raggiunge l’acme quando la protagonista inaugura la prima scala mobile mai apparsa sul suolo di Shanghai, un prodigio d’acciaio made in Germany chiamato eloquentemente Ascesa agli apogei, sulle cui ali dorate l’eroina si fa sospingere per sollevarsi fino all’ultimo piano del grattacielo, dove ha allestito uno dei numerosi uffici della sua holding per poter contemplare lo spettacolo shanghaiese dall’alto. Riappare infine alla festa danzante nella hall adorna di due parafernali che la rendono simile a una dea: il primo è un “qipao bianco tutto bordato di paillette argentate”43, abito alla moda con il quale si reclamizzano tanto la Shanghai di ieri come quella di oggi, il secondo una coppa di champagne, sinonimo dell’edonismo spumeggiante e chic di una Cina orgogliosa di gettarsi nel gaio foxtrot della globalità.

4. Conclusione
C’è un particolare, però, che ho intenzionalmente tralasciato.
Xiao Yuegui, giunta in cima al grattacielo, scavalca il parapetto, si sporge sul cornicione – dolendosi che in una città tanto grande non esista nemmeno un uomo che la ami – e, attratta dalla vertigine del vuoto, accarezza la fugace idea di disertare la sua battaglia per fare ritorno nell’utero rassicurante della grande madre terra Shanghai. Poi si riscuote, pensa evidentemente a tutta la fatica fatta per arrivare fin lì, e si bacchetta: “Piccola cameriera incapace, stai forse compatendo te stessa?”44

Non vorrei però soffermarmi sul luogo comune secondo cui i soldi e il successo non danno la felicità. Vorrei invece tornare alla già menzionata Ford T e specificare che tanto dietro il revival nostalgico di Shanghai rivelato da Zhang Xudong, quanto dietro il successo del gentiluomo smascherato da Wang Xiaoming, si profilano i lineamenti dello stesso substrato sociale: l’emergente classe media. Per Zhang Xudong l’estetizzazione nostalgica di Shanghai è un prodotto di consumo, il modello della “modernità shanghaiese” un’esperienza piccolo-borghese basata sul consumismo. Per Wang Xiaoming il gentiluomo di successo, presentato dalla pubblicità (con la benedizione della propaganda politica) come emblema e precorritore di una moderna classe media, è l’idolum su cui si proiettano le aspirazioni delle colonie di “colletti bianchi” che sciamano quotidianamente negli uffici cinesi. Come illustra il critico Li Tuo, è la piccola borghesia, al giorno d’oggi, a detenere in Cina l’egemonia culturale, ed è questa la classe a cui si rivolge principalmente il mercato dell’editoria45. Naturale, quindi, che l’industria culturale sforni un cofanetto dopo l’altro di levigate cartoline shanghaiesi, o confezioni immagini sorridenti di gentiluomini di successo come cravatte da mettere al collo dei colletti bianchi, in buona parte professionisti istruiti dotati di “potere d’acquisto e curiosità intellettuale”46: ossia una classe di potenziali lettori. La politica li ha esclusi dai suoi palazzi ma li ha incoraggiati, riconoscendo in loro il pilastro su cui poggia il mercato interno, a lavorare duro per diventare più ricchi e poter così esercitare la propria libertà individuale nella sfera dei consumi. Essi, grati di poter prosperare, si tengono alla larga dalla politica e mantengono posizioni conservatrici anche quando comprano un libro, al quale chiedono non la critica dell’esistente, bensì svago, sentimento, conciliazione47.

E’ quindi proprio ai colletti bianchi, e in particolare ai colletti femminili, che si rivolge questo romanzo. I nuovi ricchi che controllano le risorse del paese non hanno certo motivo di autocompiangersi, ma i colletti bianchi, se diamo retta a Wang Xiaoming che li descrive come api operaie prostrate dalla fatica, sembrano avere voglia di piangere, eccome. La Regina di Shanghai offre loro tanto un exemplum edificante che ne sublima le speranze di successo e ascesa sociale, quanto una buona novella compensatrice che ne carezza le frustrazioni consolandone le delusioni affettive. Quest’interpretazione mette in luce l’ambiguità fondamentale del romanzo: se da un lato esso, denunciando la rimozione della donna ad opera dell’ideologia mandarina, scardina l’ordine dell’esistente e lo apre a nuove possibilità, dall’altro, riscrivendo la traiettoria dell’eroina entro l’ordine superiore di un sino-american dream perfettamente intonato al canto dell’ideologia dominante, richiude di colpo quelle stesse possibilità e sconfessa le sue promesse di emancipazione.

Ciò ci riporta alla citata affermazione di Zhang Xudong, secondo cui la modernità shanghaiese incarnerebbe l’ideale opposto “a un progetto intellettuale o a un programma politico, alla mobilizzazione di massa e al volontarismo della rivoluzione e del socialismo”48. Una modernità, in parole povere, che cancella con un colpo di spugna tutta la storia non borghese della Cina. Ed ecco quindi che il motivo per cui Xiao Yuegui scompare dalla S/storia alla fine degli anni ’20, riapparendo, bella ed eternamente giovane, in una caffetteria di Shanghai all’inizio del XXI secolo, diviene all’improvviso lampante e inequivocabile. E’ l’ultima rimozione, quella di cui si rende responsabile la scrittrice stessa: rimozione del Pcc e delle sue istituzioni, rimozione di quella Storia reale che, per quanto aborrita dai nuovi borghesi, rimane nel bene e nel male l’unica verità tuttora vissuta, sulla propria pelle, dai cinesi di ogni classe sociale. Forse la giovinezza di Xiao Yuegui è solo un’operazione di lifting per rendere più gradevole il libro agli occhi dei colletti bianchi, forse è l’ulteriore dimostrazione che anche gli oppressi, quando sovvertono il loro destino, riscrivono la Storia dal punto di vista dei vincitori.

MONDO CINESE N. 133, OTTOBRE - DICEMBRE 2007

Note

1. “Nüren weishenme xiezuo” (Perché le donne scrivono), dialogo fra Hong Ying (Chongqing, 1962) e il critico letterario Wang Gan, in Beijing Qingnianbao, 14 maggio 2002 http://www.china.com.cn/chinese/feature/146583.htm  .
2 Chen Xiaoming, “Zhuanyehua xiaoshuo de kenengxing – guanyu Hong Ying K de duanxiang” (Le possibilità del romanzo professionista, riflessioni su K di Hong Ying), Nanfang Wentan, n. 3, 2002, pp. 34-35. Il termine wentan, che indica in cinese l’establishment letterario, andrebbe tradotto letteralmente con la locuzione altare – o tempio – della letteratura, e mostra quindi l’elettività di chi è ammesso a farvi parte..
3 Vedi “Ai xiezuo jiu xiang ai nanren – Zhuanfang nüzuojia Hong Ying” (Intervista a Hong Ying: amare la scrittura è come amare gli uomini), in Xinwen Zhoukan, 12 gennaio 2004 http://www.chinanewsweek.com.cn/2004-01-15/1/2941.html .
4 L’espressione meinü zuojia (letteralmente “scrittrici belle-donne”, o meglio “scrittrici bambole”) si riferisce soprattutto a un branding editoriale cominciato negli anni ’90 per etichettare una certa tendenza della scrittura femminile. Per essere meinü zuojia però non basta essere scrittrici dalle belle sembianze, occorre piuttosto essere giovani, trasgressive, chic, disinibite sessualmente; il più illustre esempio di letteratura meinü è Shanghai Baby di Zhou Weihui (Shanghai Baobei, Chunfeng Wenyi Chubanshe, Shenyang 1999; trad.it., BUR, Milano 2002). Essendo il fenomeno essenzialmente di tipo commerciale e pubblicitario, è visto dall’elitaria critica letteraria cinese come fumo negli occhi..
5 L’estate del tradimento, Mondadori, Milano, 1997 (Beipan zhi xia, Taiwan Wenhua Xinzhi Chubanshe, Taipei 1997)..
6 La figlia del fiume, Mondadori, Milano 1998 (Ji’e de nu’er, Taiwan Erya Chubanshe, Taipei, 1997)..
7 K, pubblicato dapprima a Taiwan (Erya Chubanshe, Taibei, 1999), quindi nella Repubblica popolare (Huashan Wenyi Chubanshe, Shijiazhuang 2002), esce in italiano per Garzanti nel 2005, con il sottotitolo L’arte dell’amore. Il libro ha avuto in patria lo stesso sfortunato destino de L’estate del tradimento, anche se i motivi per cui è stato bandito mostrano in realtà una Cina molto diversa rispetto a quella che dieci anni prima cercava di eludere la memoria di Tian’anmen (come fa tuttora): il provvedimento fa seguito alla sentenza di un regolare processo civile, scatenato dalla querela per diffamazione (di defunto) sporta dalla nipote di Ling Shuhua (la scrittrice che si maschera dietro il senhal di Lin). Il romanzo, modificato perché potesse comodamente scivolare fra le maglie della censura e ripubblicato con il titolo L’amante inglese (Yingguo qingren, Chunfeng Wenyi Chubanshe, Shenyang 2003), ha avuto in seguito un largo successo di pubblico, a cui ha certo giovato la grande risonanza mediatica data dal processo.
8 Chen Xiaoming e Wang Gan, nei due scritti citati, convergono nell’elogiare la oggezione del personaggio maschile (l’elemento occidentale) alla protagonista femminile (l’elemento orientale)..
9 La Regina di Shanghai, Garzanti, Milano 2007. In Cina il romanzo è stato pubblicato in due versioni leggermente diverse, prima nel 2003, poi nel 2005. La traduzione italiana, di cui sono autore, si basa sulla seconda edizione (Shanghaiwang, Shandong Wenyi Chubanshe, Jinan 2005). La selezione delle opere narrative di Hong Ying qui proposta possiede una parzialità voluta: la traiettoria personale e poetica di Hong Ying è inscindibile dalla diffusione delle sue opere all’estero, per cui ritengo si debba concentrare su queste l’analisi della sua poetica..
10 La Regina di Shanghai, op.cit., p. 364..
11 Shui pa Hong Ying (Chi ha paura di Hong Ying), Zuojia Chubanshe, Pechino 2004. Una miscellanea di confessioni, racconti brevi e ricordi di viaggio della scrittrice..
12 La mia interpretazione “femminista” di quest’opera, si ispira in gran parte alla tesi di dottorato di Silvia Pozzi, Gerenhua xiezuo: una scrittura individualistica? Chen Ran, Hai Nan, Hong Ying, Lin Bai, Xu Kun, Xu Xiaobin e la letteratura femminile cinese degli anni ’90, Università Ca’ Foscari, Venezia 2004. Secondo Pozzi, Hélène Cixous, femminista francese e teorica della scrittura femminile, negli anni ’90 esercita un notevole influsso sulle scrittrici cinesi che esplorano la femminilità e la sessualità della donna (sulla cui produzione i critici cinesi hanno apposto l’etichetta shenti xiezuo, “scrittura del corpo”). Cfr H. Cixous, Il Riso della (in Critiche femministe e teorie letterarie, Clueb, Bologna 1997, pp. 221-245), sorta di manifesto della scrittura femminile il cui titolo sovverte polemicamente la concezione freudiana che interpreta il mitico mostro pietrificatore come metafora della donna castratrice..
13 La Regina di Shanghai, op.cit., p. 81..
14 Ibid., p. 57..
15 Ibid., p. 112..
16 Hélène Cixous, op.cit., p. 229..
17 La Regina di Shanghai, op.cit., p. 148..
18 Hélène Cixous, op.cit., p. 236. Silvia Pozzi nota come il volo (simbolo importante tanto per Freud quanto per la Cixous) sia un topos ricorrente fra le scrittrici cinesi. Lo conferma anche La Regina di Shanghai, in cui la descrizione dei numerosi amplessi è spesso legata all’immagine e all’esperienza immaginaria del volare..
19 La Regina di Shanghai, op.cit., p. 124..
  20 Ibid., p. 263..
21 Ibid., p. 358..
22 Nella tradizione cinese gli spiriti-volpe possono essere creature sia benefiche che malvagie, che talora si incarnano in donne bellissime, capaci, con il loro potere di seduzione, di portare l’uomo alla perdizione. Esse, come sembrano suggerire molti racconti del Liaozhaizhiyi (un classico della narrativa del XVII secolo, tradotto in italiano con il titolo I racconti fantastici di Liao), rappresentavano per i letterati una dolce e proibita ossessione, forse proprio per il loro costituire una sottile minaccia di castrazione, simile a quella che Freud attribuisce a Medusa..
23 La Regina di Shanghai. op.cit., p. 264..
24 Ibid., p. 360..
25 Walter Benjamin, “Tesi di filosofia della storia” in Angelus Novus: Saggi e frammenti, Einaudi, Torino 1982, pp. 72-83..
26 Vedi Li Fengqing, “Shilun Hong Ying xiaoshuo de nüxing lishi xushi” (Congetture sulla narrazione storica femminile nei romanzi di Hong Ying), Dangdai Wentan, n. 1, 2007, pp. 100-102. Vedi anche La Regina di Shanghai, op.cit., p. 243..
27 Ibid., p. 363.
28 È il caso, per esempio, dell’incontro fra Xiao Yuegui e la militante del movimento di liberazione, che Hong Ying fa avvenire all’inizio del 1914; o la realizzazione, da parte della società di produzione di Xiao Yuegui, di un film che descrive un combattimento aereo fra cinesi e giapponesi nel 1925. Entrambi gli eventi, inverosimili per l’epoca in cui vengono rappresentati, avrebbero trovato più giusta collocazione una decina di anni dopo..
29 La Regina di Shanghai, p. 283..
30 Zhang Xudong, “Shanghai Nostalgia: Postrevolutionary Allegories in Wang Anyi‘s Literary Production in the 1990s”, Positions: East Asia Cultures Critique, vol. 8, n. 2, 2000, pp. 349-387..
31 Ibid., p. 355..
32 Ibid., p. 354..
33 Wang Xiaoming (a cura di) Zai xin yishixingtai de longzhaoxia (Sotto il manto della nuova ideologia), Jiangsu Renmin Chubanshe, Nanchino 2000, pp. 1-26. .
34 Non a caso la politica delle “Tre rappresentanze”, idiosincratico contributo di Jiang Zemin alla teoria marxista, nel 2002 legittima l’inclusione dei capitalisti nel Pcc e sancisce implicitamente l’odierna alleanza fra questo e la classe imprenditoriale..
35 Wang Xiaoming, “Banzhanglian de shenhua” (L’altra metà del volto), in Wang Xiaoming, op. cit., n. 38, pp. 29-36..
36 Vedi Liu Xu, “Xiaoshuozhong de chenggong renshi” (Il gentiluomo di successo nel romanzo) in Wang Xiaoming, op.cit., pp. 76-94. Si noti di passaggio che secondo Wang Xiaoming il sorriso del gentiluomo di successo è tale da occultare “l’altra metà del volto”, ovvero i risvolti torbidi con cui questi ha ottenuto il successo..
37 La campagna (assieme a tutto ciò che sia in odore di “proletariato”) è assente dalla maggior parte della letteratura contemporanea cinese, come constatano Li Tuo e Yan Lianke in un interessante dialogo pubblicato nel terzo numero di Dushu del 2004, dal titolo “Shouhuo – chaoxianshi xiezuo de xin changshi” (Shouhuo, i nuovi esperimenti della scrittura metafisica), pp. 44-54..
38 La Regina di Shanghai, p. 229..
39 Ibid., p. 293..
40 Ibid., p. 271..
41 Ibid., p. 246..
42 Ibid., p. 251..
43 Ibid., p. 346..
44 Ibid..
45 Li Tuo, Yan Lianke, op.cit..
46 Kong Shuyu, Consuming Literature: Best Sellers and the commercialisation of Literary Production in Contemporary China, Stanford UP, Stanford 2004, p. 58..
47 Ibid., pp. 58-59...
48 Zhang Xudong, op.cit., p. 354..

 

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