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Ricci, un gesuita alla corte dei Ming

Forse ancor oggi padre Matteo Ricci è l'italiano più popolare in Cina, di sicuro è uno dei pochi che ha cercato di capire davvero la cultura e la società di quel Paese, in un'epoca in cui l'Asia e l'America erano semplici territori di conquista coloniale. E questa triplice mostra, che gli dedica la sua città natale (approderà poi a Roma), a cura di Filippo Mignini, ripercorre l'avventura del gesuita, che come dice il titolo, riuscì a portare l'"Europa alla Corte dei Ming" ed ebbe l'onore di essere sepolto a Pechino.
Figlio di una famiglia nobile di Macerata, dove nacque nel 1552, Ricci, a 19 anni bussò alla Compagnia di Gesù per diventarne novizio. Ricevette gli ordini a Goa e attese anni il permesso per poter entrare in Cina. Dovette tagliarsi barba e capelli e assumere le sembianze di un bonzo buddista, solo così agli stranieri era permesso di avvicinare la corte dell'Imperatore. Ricci studiò lingua e costumi della Cina, si fece chiamare Xitai, "maestro del grande occidente", portò in dono all'imperatore strumenti musicali e meraviglie della tecnologia come il prisma o i meccanismi ad orologeria dei campanili. Tradusse per i cinesi le mappe del Nuovo e del Vecchio Mondo che le conquiste coloniali rendevano ogni giorno più particolareggiate, imparò i metodi di stampa che in quel paese erano già diffusi. Mise a confronto la medicina orientale e quella occidentale, scrisse lettere che sono documenti eccezionali.
Il percorso della mostra (meglio non chiederlo agli uffici di informazione turistica della città, che curiosamente la fanno visitare a ritroso) parte dalla Chiesa di San Paolo. Qui ci sono mappe e documenti, testimonianze dell'epoca, strumenti scientifici, riproduzioni dei doni che Ricci portò in Cina. A Palazzo Ricci ci sono invece statue di Budda e ceramiche, vestiti e monili, dipinti e oggetti che fanno comprendere il livello di raffinatezza cui era giunta la Cina nei primi anni del '600. Infine alla pinacoteca comunale dipinti dell'epoca di Ricci, manoscritti e riproduzione di testi cinesi.
La mostra non indulge sul fascino dell'esotico e aiuta a capire una straordinaria avventura intellettuale, rimasta ahimè incompiuta: poco dopo la morte del gesuita, tra le due culture si alzeranno gli steccati, con le scomuniche da un lato e l'espulsione dei gesuiti dall'altro. Per molti anni a Pechino rimarrà solo il corpo del "maestro del grande occidente".

Rocco Moliterni

 

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