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Radicali

Sommario - I. Gruppo di Shanghai - II. Attacchi alla vecchia guardia del Pcc - III. Lotta contro Deng Xiaoping - IV. Debole incisività nell'economia e nella difesa - V. Psicologia politica - VI. L'ultra-sinistra.

I. GRUPPO DI SHANGHAI

Con l'appellativo di "radicali" vengono indicati sulla stampa occidentale quegli esponenti del Pcc che nel 1966-'76, e con maggior impegno propagandistico nel 1973-'76, hanno propugnato misure politico-sociali, che se attuate avrebbero portato a una radicalizzazione del socialismo cinese. L'appellativo è improprio, e non lo si riscontra nei documenti cinesi; ma è di uso corrente, e lo si trova anche in altre voci riguardanti la storia contemporanea cinese (Pcc, Mao ecc.), assieme all'espressione equivalente, il "gruppo di Shanghai".

Il gruppo di Shanghai è il prodotto più tipico della Rivoluzione culturale del 1966, concepita e preparata proprio a Shanghai. Quello che venne chiamato "il primo colpo di cannone" della Rivoluzione culturale è stato sparato da Yao Wenyuan (uno del gruppo) nel novembre 1965 sul quotidiano Wenhui del grande centro industriale.

Come è nato questo gruppo? Si è preformato tra il 1963 e il 1965, in sordina, come nucleo di un'operazione di rilancio politico della Cina popolare in termini di "rivoluzione continuata". Alla sua formazione ha contribuito personalmente Jiang Qing (la moglie di Mao), Mao l'ha avallato nell'estate 1966, chiamando i due principali esponenti, Zhang Chunqiao e Yao Wenyuan, a far parte della Commissione speciale che nel 1966-'68 ha sostituito la segreteria del partito.

Il momento di gloria del gruppo si chiama "Rivoluzione di gennaio". Ai primi del gennaio 1967, i "ribelli rivoluzionari" si impossessano di due giornali locali, Wenhui e Jiefang, e li fanno diventare i portavoce dei loro proclami. Segue poche settimane dopo l'occupazione della stazione radio-televisiva della città, e infine il colpo di mano contro il comitato cittadino del partito, arrestato in blocco e sottoposto a giudizio popolare in nome della Rivoluzione culturale. In questa operazione si distingue Wang Hongwen, giovane ufficiale dei reparti di sicurezza nelle fabbriche.

Il momento di gloria del gruppo culmina il 28 febbraio, con la proclamazione della Comune di Shanghai, intesa come la copia cinese della Comune di Parigi del 1870 e il prototipo di altrettante "Comuni" in tutta la Cina. La lista dei responsabili della Comune di Shanghai è aperta da tre nomi: Zhang Chunqiao, Yao Wenyuan e Wang Hongwen.

Tuttavia Mao si lascia convincere da Zhou Enlaí a non approvare l'idea delle Comuni, governate da "rivoluzionari ribelli": sono premature per la Cina. E così il gruppo riceve l'ordine di modificare non solo il nome ma anche la struttura della Comune, chiamandola Comitato rivoluzionario e organizzandone la direzione secondo una coalizione di ribelli, militari e funzionari rivoluzionari, in armonia con la formula preferita a Pechino.

Ciò segna una battuta d'arresto per la dinamica del gruppo, ma non compromette il suo avvenire. Zhang e Yao sono intanto ben inseriti a Pechino e il loro potere si va consolidando, specialmente nel campo della informazione-propaganda e in quello artistico-letterario. Il gruppo poi rafforza la propria posizione a fine 1968, grazie all'estromissione, dalla Commissione per la Rivoluzione culturale, degli esponenti della "Brigata 16 maggio", accusati di estremismo di sinistra. Da allora funziona come un vero centro di potere.

La caduta di Lin Biao nel settembre 1971 vibra un colpo severo anche alla credibilità del gruppo di Shanghai, che ha collaborato con lui dal 1965; gli è stato anzi un prezioso alleato nella lotta contro la vecchia guardia, nell'intento palese di mettere in difficoltà anche il potente e abile Zhou Enlai. Il gruppo dal 1970 ha preso le distanze da Lin Biao; ma per oltre un intero anno dopo l'incidente che fece scomparire quest'ultimo (settembre 1971), il gruppo si trova ugualmente in difficoltà. Riguadagna però terreno dai primi mesi del 1973, durante la preparazione del X Congresso, grazie all'appoggio di Mao.

A questo Congresso, nell'agosto del 1973, ha luogo una promozione imprevista che sembra preludere a nuove glorie per il gruppo. Wang Hongwen, sulla quarantina ma assai giovane a confronto dei massimi dirigenti, sempre per scelta di Mao diventa di colpo il numero tre del Pcc. Non è, come allora certuni lo interpretano, la designazione a successore; ma costituisce certo una nuova vittoria per i radicali di Shanghai, sebbene incompleta: infatti quel terzo posto sarebbe spettato piuttosto a Zhang Chunqiao, il più capace e influente del gruppo.

La IV Assemblea nazionale del popolo (gennaio 1975) elegge Zhang Chunqiao uno degli undici vice primi ministri. All'indomani dell'Assemblea i radicali promuovono una campagna politica, che fa seguito alla campagna anti-Confucio. La imperniano su affermazioni di Mao, che contengono un giudizio critico a proposito del socialismo cinese ancora incompleto, e un invito a tutti, dirigenti e masse, per un approfondito "studio della dittatura del proletariato" nelle sue implicazioni concrete.

II. ATTACCHI ALLA VECCHIA GUARDIA DEL PCC

I propositi della nuova campagna politica sono ancor più battaglieri della campagna anti-Confucio del 1973-'74. Le movenze della campagna sono volte con evidenza anche maggiore alla lotta per il potere. In nome della purezza ideologica che si attribuiscono, i radicali ripropongono la propria candidatura alla guida del Pcc. Lo si può illustrare con alcuni punti salienti tratti da due documenti.

Il primo è un articolo di Zhang Chunqiao pubblicato su Bandiera rossa dell'aprile 1975, con il titolo: "Dittatura totale sulla borghesia". (N.B. Ricordiamo che il "diritto borghese", di cui parla Zhang, è nella terminologia leninista quello inerente ai rapporti sociali in un sistema di proprietà privata e che permane almeno in parte durante la fase "socialista" di transizione al comunismo). Lo riassumiamo con qualche citazione:

"La Cina si trova in una fase importante del suo sviluppo storico", scrive Zhang. I principi politici che guidano l'azione del partito in questo periodo devono venir capiti dalle masse, e non esclusivamente da alcuni pochi individui in alto. In particolare, se si vuole che "la Cina diventi entro il sec. XX un forte Stato socialista moderno" , bisogna star fermi in questo periodo sulla dittatura del proletariato: "ne dipende l'avvenire della Cina".

Lenin ha parlato della dittatura del proletariato sulla borghesia, prosegue Zhang, sottolineando che deve essere una dittatura "totale" su tutti i settori, in quanto la forza delle abitudini e della piccola produzione dà vita spontaneamente a capitalismo e borghesia. In Russia nuovi borghesi sono nati a profusione; i revisionisti Kruscev e Breznev sono arrivati a realizzare quello che Hitler sognò di attuare senza riuscirvi: la dittatura borghese sul proletariato. Anche in Cina sussiste tuttora il pericolo del revisionismo: nuovi borghesi nascono in continuazione.

"Alcuni compagni dicono che nell'esigere una dittatura proletaria completa, Lenin si riferiva al periodo precedente alla trasformazione cooperativa in Russia. Questo è evidentemente falso". Basta rileggere gli scritti e le direttive del presidente Mao; ci insegnano che in Cina nel periodo socialista esistono ancora classi e lotta di classe, e che la Cina di oggi è pressappoco quella pre-1949 per quanto riguarda salari e scambi; è cambiato solo il sistema di proprietà. Diciamo dì aver risolto fondamentalmente il problema del sistema di proprietà: il che vuol dire che non l'abbiamo risolto completamente. I beni di produzione non appartengono ancora all'intera società... Non dobbiamo quindi sottovalutare il difficile compito della dittatura del proletariato in questo rispetto".

Il problema comunque sta nella dirigenza, afferma Zhang. I rapporti di produzione possono essere stati risolti nella forma; ma bisogna chiederci come sono stati risolti in realtà, e cioè nei rapporti umani, che possono continuare ad essere burocratici. Esiste inoltre il problema degli scambi, inerente alla differenziazione tra proprietà statale e collettiva, e alla differenza di gradi nelle collettive: diversità per le quali non si prevede "un cambiamento fondamentale nel prossimo futuro".

"La nostra base economica non è ancora stabile e solida". Il diritto borghese "è ancora forte nei rapporti umani" e "la riforma in questo campo non è ancora consolidata". Ne segue che la dittatura del proletariato deve essere "totale", se vogliamo attuare il programma marxista; altrimenti i proclami diventano una " parola vuota".

"Alcuni compagni sono entrati nell'organizzazione del partito, ma non nella mentalità del partito". Si rallegrano per qualche buon risultato ottenuto, si godono le comodità, si sentono arrivati e lasciano che altri vadano avanti, se ne hanno voglia. "Diciamo loro: È pericoloso fermarsi a metà strada!".

La borghesia, come in Russia così anche in Cina con Liu Shaoqi e Lin Biao, ha saputo travisare la dittatura e il programma del proletariato, lamenta Zhang. I profittatori e i ladri della pubblica proprietà parlano di socialismo; i corruttori dei giovani si presentano pieni di premure per la gioventù. Dobbiamo scoprire le loro tattiche, per attuare meglio la dittatura "totale" del proletariato.

Una di queste tattiche sono le dicerie messe in giro recentemente. Ci attribuiscono l'intenzione di "far soffiare un vento di comunismo" [frase del 1958-'59, al tempo del Balzo in avanti e delle Comuni]. Rispondiamo che non intendiamo affatto far soffiare di nuovo questo vento, scatenato allora da Liu Shaoqi e Chen Boda; allo stadio attuale dello sviluppo economico si può solo tollerare infatti che esista ancora il diritto borghese. Ma questo va limitato".

"Sta soffiando piuttosto un vento borghese", apostrofa Zhang, in quanto dilaga il costume borghese di quanti vanno in cerca dei propri interessi individuali, e non se ne vergognano: sono tutti neo-borghesi, tutti spazzatura, che rincara il proprio prezzo quando si vende. Sono loro che sentono soffiare il "vento di comunismo", quando il popolo si prepara a far ridiventare "comune" quello di cui si sono appropriati. Nella presente campagna politica, loro potranno forse far soffiare qualche preteso "vento di comunismo", oppure cercheranno di impadronirsi dei nostri slogan per confondere i due tipi di contraddizioni [tra il popolo e con il nemico]. Stiamoci attenti".

Il secondo documento, che riassumiamo, è un articolo di Studio e critica (il mensile radicale di Shanghai) del marzo 1975. Vi si enumerano le caratteristiche attribuite ai "neo-borghesi", e cioè ai rivali che i radicali si propongono di abbattere:

1 - non leggono libri né giornali; non s'interessano di problemi concreti; alteri e boriosi, burocrati e mandarini;
2 - hanno perso la volontà rivoluzionaria, mangiano e bevono dalla mattina alla sera, non s'impegnano in niente; ipocondriaci, si mettono in cura per malattie immaginarie, fanno una gran messa in scena per piccoli disturbi; si danno al turismo sui monti e sulle acque;
3 - aborrono fatiche e difficoltà; avidi di piaceri e benessere, mettono le mani su tutto, in cerca di privilegi;
4 - soddisfatti dei propri meriti, litigano per procacciarsi onori; l'interesse personale va in testa a tutto;
5 - creano clientele, con gusti meschini, allettando con favori e favoritismi;
6 - nepotismo dilagante; amicizie, con favori vicendevoli; incuranza dei principi del partito e delle sue direttive;
7 - si appropriano di quanto più possibile; ingrassano il privato con danno del pubblico, se ne impadroniscono illegalmente;
8 - sotto l'etichetta di collaborazione, baratti privati e manovre ispirate dall'interesse personale;
9 - megalomani, vanitosi, stravaganti e spreconi; e ciò sempre a spese dello Stato.

"E non contenti di godersela, ritengono di essere nel giusto e di averne il diritto: con tanti meriti rivoluzionari, che male c'è a godere un poco? la situazione è cambiata: qualche privilegio non è forse indispensabile per un buon lavoro? le abitudini di vita sono piccola cosa: perché prendersela tanto calda? E dicono: se uno non pensa a sé, il cielo finisce per distruggerlo!".

Come si vede da queste due invettive, i radicali si autoeleggono grandi inquisitori e vindici del costume politico. Lo ripete convinto Yao Wenyuan: "Il nostro compito costante è quello di eliminare il terreno ove germoglia borghesia e capitalismo, e insieme di riconoscere in tempo i neo-borghesi del tipo di Lin Biao, quelli che sono già venuti fuori e quelli che stanno per nascere". E giudicare chi siano neo-borghesi e simili spetta ovviamente a loro, ai radicali. Neo-borghesi sono in effetti tutti quelli che non la pensano come loro; e cioè la maggioranza.

La maggioranza presa di mira è disposta ad ammettere che nei ranghi del Pcc si verificano "episodi anche gravi di malcostume politico e di corruttela amministrativa"; ma è decisa ad impedire con fermezza che una minoranza di Catoni interessati strumentalizzi queste manchevolezze, additandole come una caratteristica comune ai veterani, del primo ventennio del partito. Il contenuto provocatorio della campagna di "studio della dittatura del proletariato" suscita così resistenze ancora più decise. In concreto la maggioranza, che detiene buoni posti chiave nell'amministrazione periferica, insiste sul carattere altamente teorico della campagna, indigesto per le masse, e nella tarda estate ne blocca le discussioni al livello di base.

III. LOTTA CONTRO DENG XIAOPING 

I radicali hanno pronta una campagna di rincalzo, più pittoresca e fantasiosa: la critica politica dell'eroe di un romanzo popolare (Shuihuzhuan, "In riva alle acque" o "I Briganti"), passato alla leggenda come il "bandito buono", dal nome Song Jiang. La critica promossa dai radicali ne propone invece una valutazione negativa: non sarebbe un Robin Hood cinese, ma un traditore della rivoluzione contadina dei suoi tempi.

Attraverso trasparenti allusioni e sottintesi, diventa sempre più chiaro con il passare delle settimane in quest'estate 1975 che il bersaglio della singolare campagna non è Song Jiang, vissuto quasi mille anni fa; sono invece Zhou Enlai, in persona e con lui il suo stretto collaboratore Deng Xiaoping, che "tradiscono la rivoluzione". Deng è in celere ascesa, nella previsione della prossima scomparsa di Zhou Enlai, affetto da male incurabile. Risorto dalle ceneri della epurazione, Deng sta per prendere le redini del governo. I radicali, che hanno contribuito a defenestrarlo nel 1966, vogliono farlo sparire per sempre.

Neppure questa operazione radicale dell'estate-autunno 1975 ha grande successo. Mantiene gli animi in apprensione e contribuisce all'approfondimento ideologico di massa, ma non ottiene quello che si propone: la ascesa di Deng Xiaoping non viene fermata. Così, Deng si muove con sempre maggiore disinvoltura come il più atto a succedere a Zhou Enlai; anzi estende progressivamente l'orbita della propria autorità anche alle Forze Armate, assumendo anche la carica di capo di Stato Maggiore. Nel 1975 fa poi compilare e mettere in circolazione una serie di memorandum e di regolamenti, che affrontano sotto una prospettiva prammatica il problema della "Cina del 2000", che si vuole forte e moderna.

I radicali però riescono ad allarmare Mao sul contenuto ideologico dei documenti, sull'eterodossia dell'impostazione da lui promossa. Scelgono poi come primo bersaglio di un rinnovato attacco il progetto di riforma educativa previsto nei regolamenti programmatici di Deng: un settore cioè particolarmente delicato, dove Mao Zedong ha investito emotivamente il proprio prestigio di rivoluzionario, nel sogno di creare in Cina una scuola "proletaria", completamente nuova. Nel tardo autunno, il ministro dell'Educazione, un collaboratore di Deng, viene accusato di affossare la riforma della scuola, proponendo invece un ritorno alle posizioni educative del pre-1966.

Il vero bersaglio della nuova incursione radicale è Deng Xiaoping, che è infine messo apertamente sotto inchiesta all'indomani della scomparsa del suo amico e protettore Zhou Enlai (8 gennaio '76); e viene infine nuovamente estromesso da tutti gli incarichi, dopo i disordini che turbano la piazza Tian'anmen di Pechino, ai primi di aprile 1976. Questi disordini vengono imputati allora sulla stampa ufficiale agli uomini di Deng, ma i drappelli fedeli al gruppo di Shanghai vi fanno la parte di agenti provocatori.

I radicali non perdono tempo a scatenare un'ennesima campagna politica, diretta contro le idee di Deng Xiaoping e intesa a provocare l'epurazione di tutta la vecchia guardia. La stampa che dominano crea con scaltrezza un'atmosfera di urgenza. Dall'aprile 1976 all'inizio dell'autunno, con una intensità che rispetta a malapena i dieci giorni di lutto per la morte di Mao, gli attivisti legati al gruppo di Shanghai chiedono che cadano nuove teste. Alla fine di settembre si delinea anzi la possibilità di colpi di mano contro i dirigenti locali, soprattutto nei centri di provincia, da parte di "ribelli" legati al gruppo di Shanghai.

Sembra la vigilia di un nuovo 1966, violento e antiapparato. Ma un'intesa al vertice mette improvvisamente fuori combattimento il gruppo. Il 7 ottobre vengono arrestati quelli che da allora vengono denominati collettivamente la Banda dei quattro: l'accusa è di complotto contro il partito e contro lo Stato.

IV. DEBOLE INCISIVITÀ NELL'ECONOMIA E NELLA DIFESA

La subitanea caduta di Jiang Qing, vedova di Mao, insieme agli altri tre del gruppo di Shanghai è dovuta prossimamente a un'azione di forza, decisa al vertice del partito. Ma questa si inserisce in un complesso di fattori, che la rendono assai comprensibile.

Nel 1973-'76 i radicali incidono negativamente sull'andamento dell'economia, senza peraltro riuscire a crearsi con le loro incursioni nel settore un potere economico consistente. La direzione delle imprese, quasi uniformemente "moderata", tiene testa all'urto delle campagne radicali. In alcune fabbriche e miniere, dove il gruppo ha forti punti d'appoggio, scoppiano disordini particolarmente gravi nelle estati del 1974 e 1975; ma proprio questi disordini offrono alla maggioranza bersagliata il movente per esigere un ridimensionamento delle campagne contestatrici (Campagna anti-Confucio).

Inoltre il gruppo di Shanghai calca la mano di preferenza su aspetti che si prestano meglio a manovre di potere. Tiene così vivo il problema della socializzazione delle imprese, con la partecipazione dei lavoratori nella gestione, la mobilitazione di massa nell'ammodernamento tecnologico, e l'integrazione dei tecnici con gli operai. Si inserisce invece meno bene in altri problemi più complessi; ad esempio nella controversia, tutt'altro che secondaria, sul rapporto tra sviluppo locale e piano economico statale, che è uno dei problemi più gravi del modello cinese di sviluppo, affrontato con alterne vicende da vent'anni. I radicali appoggiano dapprima la centralizzazione, per diventare poi paladini del decentramento, quando si accorgono che a Pechino non riescono a prendere loro in mano le cose. Finiscono così per aggravare maggiormente la situazione, mentre il problema si complica, con lo sviluppo accelerato delle imprese periferiche, la conseguente dispersione di materiali e manodopera, il pericolo di sviluppi caotici ed il rafforzamento del potere locale ai danni dell'autorità centrale.

Un altro settore dove i radicali non sfondano è quello delle Forze Armate, sebbene anche in questo trovino adesioni, anche ai livelli superiori. Dal confronto tra la rivoluzione culturale e gli avvenimenti degli ultimi anni, si deduce che le campagne politiche lanciate a ripetizione dopo la caduta di Lin Biao non ottengono molto, proprio perché i militari non partecipano in pieno o addirittura vi si impegnano per poi ridimensionarle. Vi prendono parte con convinzione solo alcuni reparti isolati, che la stampa dominata dai radicali addita come modelli. Al contrario si trovano dappertutto reparti militari sempre pronti ad agire contro gli interessi dei radicali. Nel 1974, in tutte le grandi aree militari, le truppe compiono opera di "pacíficazione" (ossia di repressione), in occasione di disordini nei trasporti e nella produzione mineraria. Nel 1975, quando inconvenienti simili si ripetono nelle fabbriche, sono nuovamente le truppe a rimettere l'ordine.

Zhang Chunqiao alla fine del 1974 diventa direttore dell'Ufficio politico generale delle Forze Armate, ma contemporaneamente Deng Xiaoping assume la carica di capo di Stato Maggiore. I trasferimenti di truppe e di alti ufficiali nel 1975 hanno un'andatura confusa e contraddittoria, che rivela la mano dei due rivali; così pure i nuovi regolamenti (generale e di disciplina) dell'Apl, approvati dalla commissione militare del Pcc nell'autunno 1975. Tuttavia proprio nel nuovo incarico militare Zhang conosce le maggiori difficoltà, per la rispondenza lenta e calcolata dei generali ai suoi programmi di lotta politica.

La mancanza di una penetrazione efficace nelle Forze Armate porta i radicali a cercarsi un'alternativa, "riformando" la Milizia popolare. Secondo gli accusatori del dopo-Mao, vogliono farne un "secondo esercito" a proprio servizio. In effetti il principio-guida della riforma è la "esperienza di Shanghai", condensata nella formula: "la milizia operaia prende parte attivamente alla lotta di classe nella società". Nell'ottobre 1976, subito dopo l'arresto dei radicali della Banda dei quattro, le forze regolari si affrettano comunque a disarmare la Milizia, a Shanghai, a Pechino e nei maggiori centri industriali e minerari.

Questi due fronti di debolezza, l'economia e le Forze Armate, rendono abbastanza comprensibile la relativa facilità con cui i radicali vengono decapitati al vertice nell'ottobre 1976. Si aggiunge un terzo elemento, di psicologia politica, a provocare la loro caduta subito dopo la scomparsa di Mao.

V. PSICOLOGIA POLITICA

Il gruppo è ben articolato. Zhang Chunqiao (n. 1912-2005), uomo politico sperimentato, pratico di amministrazione e ben addentro nei maneggi di potere, è il grande organizzatore. Yao Wenyuan (n. 1931-2005), saggista di penna facile, con quel che basta di un'infarinatura di cultura classica e con una vena inesauribile di sarcasmo, cura l'impostazione propagandistica. Wang Hongwen (n. 1936-1992), giovane e aitante, sfrutta debitamente le speranze e le ambizioni della nuova generazione. Jiang Qing (n. 1914-1991) offre la copertura carismatica del marito e si occupa dell'arte "proletaria" attraverso la quale il gruppo idealizza se stesso davanti alle masse.

Il quartetto è indubbiamente brillante e geniale. Sa inventare motivi sempre nuovi di dibattito politico, riesce ad escogitare tattiche svariate per tenere tutti in moto. Specialmente dal 1972 l'inventiva del quartetto si sbizzarrisce in pieno, tenendo i cinesi in continua agitazione, e appellandosi al detto preferito da Mao: "Le fronde vogliono riposarsi, ma il vento non lo permette". Da prova di costanza e tenacia, senza sgomentarsi per contrattempi, rinnovando sempre gli attacchi con vigore indomito.

Il gruppo si fa una bandiera della Rivoluzione culturale, l'operazione politica plurivalente, ideata da Mao per il rilancio della socializzazione. I radicali pretendono in esclusiva di essere paladini della Rivoluzione culturale; stizzosi e gelosi, vogliono essere gli unici esponenti delle istanze progressiste, pretendono di imporre a tutti i propri metodi e il proprio ritmo di azione, e tacciano di contro-rivoluzionario doppio-giochista chiunque sembri scavalcarli a sinistra.

Il gruppo di Shanghai, e Jiang Qing che vi si appoggia e lo sostiene, ha infatti fin dall'inizio grandi ambizioni di potere. Per Jiang Qing il potere è poi la condizione essenziale per sopravvivere politicamente alla morte del marito; e non sa adattarsi all'idea di cadere nell'oblio. La bramosia di conquista del potere oscura progressivamente la forza delle istanze ideologiche di cui sono portatori nel 1966. Il gruppo non ci pensa due volte, quando si tratta di eliminare rivali; specie quelli che avanzano richieste politiche simili alle sue o anche più audaci; forza ad esempio nel 1967 l'epurazione della "Brigata 16 maggio". Né ha ritegno a ricorrere a compromessi quando gli avversari diventano troppo forti, preparando intanto la rivincita.

Servilismo verso Mao, strumentalizzazione degli umori senili del vecchio leader, una barriera creata attorno a lui per impedire l'accesso fisico agli avversari politici: con queste e simili tattiche cercano di rafforzare il proprio potere. È inoltre caratteristico l'atteggiamento del gruppo di Shanghai nei riguardi di Lin Biao e di Zhou Enlai. Con il primo forma un'alleanza di convenienza nel 1966-'69, disturbata da screzi mutui, e seguita poi da una rottura improvvisa nel 1970, quando Lin Biao crea dei sospetti in Mao. Verso Zhou Enlaí conduce una lotta sorda, senza tregua e con colpi mancini, e non rispetta neppure le ultime settimane della sua dolorosa malattia. Nei riguardi di Chen Boda, ex segretario di Mao e da lui scelto come capo della Commissione per la Rivoluzione culturale, il gruppo compie un volta-faccia clamoroso nel 1970, sebbene Chen l'abbia protetto negli avventurosi anni 1966-'69.

L'ambizione del gruppo, tenuta malamente a freno nel decennio 1966-'75, non sa resistere alla tentazione di giocare il tutto per tutto, quando i Quattro si rendono conto che con l'elezione di Hua Guofeng a successore di Mao (Banda dei quattro) possono aspettarsi al massimo solo un avvenire incolore di secondo piano. E il loro colpo di testa dell'ottobre 1976, comunque sia stato attuato in concreto, dà mano libera agli avversari, offrendo a questi l'occasione buona per sbarazzarsi una volta per sempre di una mafia indigesta che grava sul domani come un'ipoteca, sempre pronta a farsi forte della familiarità avuta con Mao, per evocarne il fantasma a proprio comodo. Il carattere intransigente e l'atteggiamento di sfida dei radicali non ispira tenerezza, anche perché promettono di essere spietati se l'avranno vinta.

Sono i radicali dei genuini esponenti di sinistra nel Pcc? Sulla vita politica cinese incidono fattori e problemi che sfuggono alla riduzione arbitraria a schemi di destra o sinistra. Tra i fattori che intervengono nelle ripetute crisi politiche, i più rilevanti sono in realtà quelli derivanti dalle accolte di potere e dalle forze regionali. Non è difficile individuarne i segni anche nel ripudio del gruppo di Shanghai; un ripudio che è anche una reazione provinciale contro la prepotenza politica di Shanghai, capitale economica della Cina; ed è allo stesso tempo una ribellione contadina contro il crescente potere industriale. Con l'ascesa di Hua Guofeng, si riafferma invece il tradizionale predominio politico delle province centro-meridionali, le zone "mandarinali" del passato cinese.

L'epurazione del gruppo nel 1976 e la mancanza di ogni riguardo verso la vedova di Mao gettano indubbiamente un'ombra sullo stesso Mao Zedong. Se ne rendono conto i nuovi dirigenti, quando cercano di potenziare l'aureola attorno al presidente scomparso, costruendo un mausoleo per i suoi resti imbalsamati e pubblicando (1977) un quinto volume delle sue Opere.

Il maoismo come tale non viene forse così ridimensionato? In un certo senso, sì; perde di colore e di vivacità, mancandogli la persona di Mao. Tuttavia la dottrina di Mao non ha avuto uno sviluppo omogeneo, né ha creato una struttura lineare: in concreto è stato all'occasione autoritario o remissivo, imperiale o democratico. terribile o clemente. Ad un maoismo svariato nella prassi, corrispondono gli scritti di Mao, che ne riflettono il carattere multiforme. Per cui è difficile individuare quale tipo di maoismo teorico veda il tramonto.

VI. L'ULTRA-SINISTRA

Il crollo dei radicali è forse una svolta a destra? una sconfitta dell'ultra-sinistra? la fine dell'utopia?

I radicali nel 1973-'76 tengono in mano la stampa, e hanno cura di presentare se stessi come promotori di programmi genuini di sinistra, mentre con l'assenza di sfumature alimentano attese utopiche e gettano sugli altri il sospetto di tendere a destra o addirittura di essere di destra. In realtà le differenze sono più che altro di tempi e di modalità. Mao, ossessionato dalla preoccupazione di una possibile involuzione "borghese" della sua opera rivoluzionaria, considera i radicali come uno stimolo e uno sprone; ma è il primo a percepirne l'inclinazione verso pericolose avventure. Sul letto di morte, da vecchio contadino affida la sua Cina alle mani di Hua Guofeng, anche lui venuto dai campi.

Di una possibile "svolta a destra" dopo la sua morte, parla Mao in una lettera del 1966. È troppo presto per verificare l'esattezza della profezia. I nuovi dirigenti cinesi si orientano certo verso posizioni più prammatiche, rallentando il ritmo della trasformazione sociale; si tratta dí una "svolta" suggerita dalle circostanze, voluta dal realismo di chi sa di non ottenere gran cosa solo con imposizioni volontaristiche. Tanto più che il "radicalismo" dei radicali durante dieci anni è stato principalmente un radicalismo di programmi e proclami; il dominio che hanno esercitato sulla stampa ha permesso loro di propagandare ai quattro venti alcune applicazioni sporadiche, ripulendole dalle incrostazioni negative, e presentandole in modo da farle apparire come la "realtà cinese". Questa però è nel complesso nel 1973-'76 molto simile a quella del 1977-'78, a parte accentuazioni e ritmi diversi.

L'eliminazione di Jiang Qing e compagni del gruppo di Shanghai segna allora davvero la fine dell'utopia egualitaria che predicavano? Segna almeno una pausa d'arresto nel proporre in primo piano un certo tipo di utopia. L'indottrinamento millenaristico comunista però non può fare a meno di far balenare in qualche modo il miraggio di "un giorno tutto diverso". L'insidia dell'utopia non scompare solo togliendo di mezzo qualche dozzina di individui che se ne servono con intenti demagogici. E si ritrova infatti sotto nuove vesti nella "Cina del 2000" promessa dalla nuova dirigenza del dopo-Mao.

Sconfitto il gruppo, non è neppure battuta l'ultra-sinistra; per la semplice ragione che gli ultrà in Cina non si identificano con il gruppo. Alcuni settori e circoli oltranzisti arrivano anzi ad odiarlo, accusandolo di aver tradito la spinta iniziale del 1966, dopo essere entrato in pieno nell'ambito del potere. L'ultra-sinistra in Cina non si può sconfiggere con provvedimenti disciplinari o epurativi, perché esiste soprattutto come tendenza e non è organizzata; e sopravvive così al gruppo, rappresentando un'insidia per i dirigenti del dopo-Mao.

L'ultra-sinistra in Cina si consolida nella fase iniziale della Rivoluzione culturale, che scatena gli umori repressi delle nuove generazioni. "Cresciute sotto la bandiera rossa", hanno accumulato una forte carica di insoddisfazione per il ritmo rallentato dell'avvento della società ideale e per le anomalie nella condotta politica del governo "popolare": soprattutto per deviazioni "burocratiche" dell'amministrazione e il diffuso arbitrio del potere. Nel 1966 Mao allenta la morsa, ripromettendosi che l'iniziativa dei contestatori agiti le acque, in modo da spronare il partito a rinnovarsi. Ma quando la piena contestataria minaccia di rompere gli argini, lo stesso Mao si trova costretto nel 1967-'68 a reimporre faticosamente la disciplina.

Sotto l'ordine e la disciplina continua a covare il fuoco dell'ultra-sinistra, un'insidia sempre in agguato che ha radici molto profonde: non è altro che l'edizione ammodernata della reazione popolare attraverso i secoli contro lo strapotere della corte e dei mandarini. £ la ribellione sorda del contadino, quella che ha orientato la rivoluzione cinese moderna, al suo nascere all'inizio del secolo, verso preferenze anarchiche e populiste: quelle appunto che costituiscono il fondo mentale dell'ultra-sinistra cinese. Alla base, una minoranza di cinesi cerca nel radicalismo socialista una soluzione alle esigenze di autenticità di individui e gruppi.

Il problema attuale più urgente e impegnativo nel dopo-Mao è certo quello di scegliere un modello di sviluppo socio-economico consono a una fase delicata di passaggio, mentre la Cina sta per svincolarsi dal sotto-sviluppo e accelera il ritmo di modernizzazione. Proprio all'inizio del dopo Mao, non è parso vero a Hua Guofeng e ai suoi sostenitori di potersi sbarazzare dell'azione di disturbo del gruppo di Shanghai, per intraprendere con spirito unitario l'ambizioso programma di una "Cina socialista, forte e moderna prima della fine del secolo".

G. Melis-1979

 

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