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Trattati ineguali

Sommario - I. Definizione e problemi - II. La Cina vittima dei trattati ineguali - III. Prospettive e prassi della Rpc.

I. DEFINIZIONE E PROBLEMI

Gli storiografi cinesi recenti denunciano aspramente i trattati ineguali imposti alla Cina nel periodo della massima espansione coloniale europea. Con particolare acredine sono condannati i trattati di confine imposti dagli zar all'impero cinese; sono infatti gli unici di tale tipo ad essere ancora in vigore

All'epoca dell'espansione coloniale europea e del conseguente allargamento della comunità internazionale, l'ordinamento giuridico europeo viene esteso e imposto ad altri Stati. L'impero cinese, e altri Paesi, non vengono anzi considerati a pari livello di sviluppo civile con gli Stati d'Europa e si teorizza così una loro istituzionale subordinazione a questi ultimi; per cui le potenze coloniali ritengono di avere il diritto di chiedere ai governi di tali Paesi, considerati inferiori a causa della "debole" struttura interna, numerosi impegni e garanzie, che non sono tenuti a dare a loro volta.

La nozione di trattato ineguale indica un accordo internazionale caratterizzato da una rilevante sproporzione nei diritti e negli obblighi reciprocamente assunti dai contraenti; sproporzione che può comportare addirittura una totale unilateralità di vantaggi, ottenuti da una parte contraente facendo valere una maggior forza contrattuale. Questa nozione ricorre anche nei secc. XVII e XVIII all'epoca classica del diritto internazionale.

Si veda la definizione datane da Grozio nel De iure belli ac pacis (1646): "Trattati eguali sono quelli in cui vi è un'assoluta eguaglianza o le cui condizioni sono egualmente vantaggiose per l'una e l'altra parte ... Da quanto detto sulla natura dei trattati eguali è facile definire un trattato ineguale. L'ineguaglianza delle stipulazioni può aversi sia dal lato della potenza più consistente, sia di quella inferiore. Il primo caso si ha quando chi ha una posizione più elevata promette aiuto all'altra, non prevedendone alcuno da parte di quella, o quando l'aiuto che promette è più consistente di quello che ne esige. L'ineguaglianza dal lato della potenza inferiore si ha quando l'altra potenza esige da questa condizioni svantaggiose o troppo irragionevoli. Tali trattati possono anche comportare dei pregiudizi alla sovranità della potenza inferiore".

Questa definizione corrisponde in sostanza a quelle proposte in epoca contemporanea, anche per quanto riguarda la distinzione tra i due aspetti della diseguaglianza, e cioè nella imposizione di obblighi alla potenza più debole, oppure nella assunzione di obblighi verso la stessa senza corrispettivo; in entrambe le ipotesi, con il sostanziale effetto di condizionare l'indipendenza dello Stato più debole.

La rilevanza giuridica e la stessa distinzione teorica fra trattati eguali ed ineguali erano venute meno nella prassi e nella dottrina del sec. XIX e, in parte, del secolo attuale. All'impostazione del pensiero giuridico, complessivamente giusnaturalista (portata cioè a derivare principi e norme dell'ordinamento internazionale da valutazioni di ragionevolezza e validità etica), si sostituisce una concezione positivista, tendente a limitare la fonte del diritto internazionale alla sola volontà o consenso degli Stati.

Con questa impostazione si afferma che l'accordo è la fonte esclusiva, o comunque prevalente, delle norme internazionali. La distinzione fra trattati sulla base dei moventi che potevano aver indotto i contraenti alla stipulazione, o in considerazione del diverso peso delle obbligazioni contratte, è ritenuta inopportuna; anzi teoricamente impossibile da configurare. Viene quindi in tutto abbandonata, come pericolosa per la certezza del diritto, salvo nei casi limite di invalidità degli accordi conclusi attraverso l'esercizio di violenza fisica sui negoziatori, per dolo o errore.

La posizione della Cina popolare a riguardo dei trattati ineguali è ferma e coerente. Il governo della Rpc ha affermato costantemente la nullità ab initio di trattati imposti con qualunque tipo di violenza e in cui non ci sia tra le parti piena eguaglianza e reciprocità di vantaggi, individuando in queste caratteristiche l'espressione di principi di diritto internazionale necessariamente comuni a tutti gli Stati, quale che ne sia l'ordinamento politico.

Nel Manuale sui trattati di commercio, edito nel 1958 e di impiego ufficiale da parte dell'Istituto per il commercio estero della Cina popolare, si argomenta: "A proposíto dei trattati, i classici del marxismo-leninismo affermano un importante principio: la genuina eguaglianza sovrana tra tutte le parti interessate deve divenire il fondamento dei trattati internazionali. Secondo il marxismo-leninismo vi sono quindi trattati eguali ed ineguali, e perciò l'umanità progressista assume diversi atteggiamenti nei confronti dei diversi tipi di trattati. I trattati eguali devono essere strettamente osservati. I trattati ineguali contrastano con il diritto internazionale e sono privi di autorità giuridica".

II. LA CINA VITTIMA DEI TRATTATI INEGUALI

L'apertura dei rapporti tra la Cina imperiale e le potenze occidentali viene imposta con il trattato di Nanchino del 1842, che segue la guerra dell'oppio. Si aggiunge presto una serie di accordi con numerosi Stati: il contenuto è spesso analogo e si richiamano l'un l'altro, grazie al funzionamento della clausola della nazione più favorita. Gravi limitazioni alla sovranità della Cina, e vere e proprie perdite di territori, sono la conseguenza dei trattati, scanditi tutti da varie vicende belliche a cui è soggetto lo Stato cinese.

Tradizionalmente le autorità cinesi avevano messo in atto per vari secoli, nelle località destinate agli scambi commerciali con l'estero, vari istituti miranti a limitare e tenere sotto controllo la presenza e l'attività di mercanti stranieri; confinandoli tra l'altro in "residenze" loro riservate. L'apertura della Cina al commercio internazionale e alla penetrazione economica occidentale comporta un sempre più diffuso ricorso a questi istituti, sorti e utilizzati in contesti storici diversi. Per la più consistente entità dell'interscambio e per la diversità dei rapporti di forza, ciò diede luogo al formarsi di estese situazioni di extraterritorialità.

L'autogoverno delle colonie di mercanti stranieri, previsto nell'istituto tradizionale, si sviluppa infatti nella sottrazione degli stranieri alle leggi e alla giurisdizione cinese anche nei rapporti con sudditi cinesi. All'autorità giudiziaria cinese si sostituisce la competenza di appositi tribunali consolari o misti. Ne consegue la creazione di "concessioni": aree urbane vengono date a potenze estere per lo svolgimento di attività commerciali e finanziarie, e per la residenza degli operatori: l'amministrazione vi è esercitata da autorità municipali dipendenti dai consolati.

Altre garanzie per gli interessi del proprio commercio vennero ottenute dagli Stati occidentali con la sottrazione al pieno controllo delle autorità cinesi delle dogane marittime e con l'imposizione di una tariffa esterna indifferenziata e fissa nella misura del 5% ad valorem.

Sul finire del sec. XIX, considerazioni strategiche si aggiunsero a quelle commerciali, inducendo le grandi potenze ad ottenere in affitto dalla Cina territori (per lo più città portuali) da adibire a basi navali. Iniziò questa pratica la Germania guglielmina nello svolgimento della sua nuova Weltpolitik, ottenendo nel 1898 il territorio di Jiaozhou nella penisola dello Shandong. Altre potenze vennero indotte a procurarsi vantaggi corrispondenti, atti a controbilanciare le posizioni ottenute da altri. La Gran Bretagna ebbe Weihaiwei e Kowloon; la Francia Guangzouwan; la Russia Port Arthur e Dairen.

La repressione della rivolta dei Boxer nel 1901 divenne poi l'occasione per esigere nuove garanzie di sicurezza: le potenze occidentali impongono la presenza di propri presìdi militari nel quartiere delle legazioni a Pechino (nel 1900 rimaste assediate dai Boxers in rivolta). Altri presìdi vennero poi consentiti a difesa delle linee ferroviarie russe date in concessione in Manciuria, sulle vie di comunicazione tra la capitale e il mare.

Dal termine del primo conflitto mondiale, lo sviluppo del diritto internazionale e dell'organizzazione mondiale, assieme al processo dì decolonizzazione e alle affermazioni di eguaglianza tra Stati a ordinamenti diversi e con differente grado di sviluppo, conducono al superamento delle concezioni che sembravano giustificare i trattati ineguali. Portano inoltre a cercare garanzie affinché le differenze nelle posizioni di forza tra gli Stati non si traducano nella imposizione, sia pure contrattuale, di oneri gravosi agli Stati più deboli, o di condizionamenti e limitazioni alla loro indipendenza sovrana. Ma questo processo è di lenta attuazione.

La sconfitta degli imperi centrali nella prima guerra mondiale (a cui la Cina partecipa a fianco dell'Intesa) e la rivoluzione russa fecero sperare al nuovo regime repubblicano cinese l'abolizione delle concessioni e dei regimi extraterritoriali e la rinuncia completa ai privilegi goduti dagli Stati stranieri. Vengono stipulati nuovi trattati di commercio su basi paritarie. Tuttavia venne largamente delusa la speranza di ottenere da altri Stati l'abbandono delle posizioni di privilegio acquistate in Cina, in forza dell'ormai avviato rinnovamento delle istituzioni e dell'ordinamento interno. Il trattato di pace di Versailles trasmetteva infatti al Giappone i possedimenti tedeschi nello Shandong.

Con la Russia sovietica furono inizialmente allacciati buoni rapporti. Nel 1924 i sovietici ripudiarono i trattati ineguali imposti alla Cina dall'impero zarista, proponendo di sostituirli con nuovi accordi ispirati a principi di eguaglianza ed equità; tuttavia non venne raggiunta nessuna revisione pratica, per la lentezza e la inconcludenza dei lavori della conferenza che avrebbe dovuto concretizzare la revisione. La conferenza anzi venne definitivamente aggiornata nel 1930.

La conferenza di Washington sul Pacifico (1921-'22) segnò un passo avanti, grazie all'affermazione di garanzie internazionali per l'integrità territoriale della Cina, e in seguito alla rinuncia da parte del Giappone al possesso delle concessioni ex-tedesche nello Shandong. Tuttavia anche questa conferenza affrontò la questione della revisione dei regimi extraterritoriali solo con la nomina di una commissione di studio che concluse i lavori appena nel 1926, raggiungendo per giunta soltanto conclusioni interlocutorie, respinte poi dal governo cinese. Questo intraprese quindi un'azione più decisa, denunciando al momento del rinnovo nel 1926 il trattato con il Belgio del 1865 e dando avvio unilateralmente alla revisione di altri accordi sull'extraterritorialità.

Decisiva fu l'azione del regime nazionalista del Guomindang. Nel programma enunciato il 7 luglio 1928 in merito alla revisione degli accordi, il ministro degli esteri Wang affermava: "I trattati ineguali tra Repubblica cinese e altri Paesi saranno ipso facto abrogati se venuti a scadenza, e nuovi trattati verranno eventualmente conclusi. Il governo nazionalista avvierà immediatamente le procedure per porre termine ai trattati ineguali non ancora scaduti e concluderà nuovi trattati con i Paesi interessati. Per i trattati scaduti e non sostituiti, il governo nazionalista imporrà un'apposita disciplina provvisoria, per fronteggiare detta situazione". Nel 1929 un decreto governativo cinese decise la soppressione, a partire dal 1° gennaio 1930, dei regimi di extraterritorialità; seguì nel 1931 un regolamento di attuazione che spostava il termine al 1932.

Negli anni tra il 1928 e 1930, con una serie di nuovi accordi, il governo nazionalista ottenne la piena autonomia in materia doganale, l'abbandono delle concessioni di Amoy, Hankou, Jinjiang e del territorio in affitto di Weihaiwei da parte della Gran Bretagna (1930) e delle concessioni ferroviarie da parte del Belgio (1931). Seguì la rinuncia ai privilegi di extraterritorialità da parte di numerosi Stati, che avevano promesso di rinunciarvi subordinatamente ad un'analoga condotta delle grandi potenze (1930-'31). Dal 1932, l'aggressione giapponese interruppe le trattative dirette alla soluzione negoziata dei problemi.

Il 10 gennaio 1943 il Giappone, che occupava buona parte del territorio cinese, annunciò la rinuncia ai propri diritti extraterritoriali a favore del governo pro-nipponico (con a capo Wang Jingwei) di Nanchino, autorizzandolo inoltre a imporre la propria piena sovranità su tutte le concessioni internazionali. Il giorno seguente, 11 gennaio, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti rinunciavano ai diritti di extraterritorialità, rendendo così operanti anche le precedenti rinunce condizionate, già espresse da altri Stati. Le dichiarazioni anglo-americane avevano lo scopo di sostenere in Cina la resistenza anti-giapponese e di controbilanciare nell'opinione pubblica l'impressione positiva destata dall'iniziativa del Giappone. Queste mosse si inserivano comunque nel pieno del conflitto e in una situazione politica complessiva che aveva superato la controversia.

Nell'ultima fase del conflitto alleato contro il Giappone intervenne, come è noto, l'Unione Sovietica. Ciò comportò un passo indietro: il governo nazionalista cinese accondiscese infatti al ripristino dei diritti russi sulle ferrovie mancesi e nei porti di Port Arthur (Lüshun) e Dairen (Dalian); diritti che la Russia zarista aveva ceduto al Giappone con la pace di Portsmouth del 1905. Il trattato russo-cinese di amicizia e alleanza del 1945 disponeva infatti che Port Arthur divenisse base navale comune cino-russa, affidata per la difesa all'Unione Sovietica, e che a Dairen si costituisse una concessione portuale per il commercio russo.

Infine nel 1950, all'atto di porre su nuove basi i rapporti con l'Unione Sovietica, il governo della Rpc ottenne da questa la rinuncia a tali concessioni, con l'impegno ad abbandonare le due basi al momento della conclusione della pace con il Giappone. Tardando tale trattato, anche queste residue limitazioni alla sovranità cinese vennero eliminate nel 1952-'54, di comune intesa tra Rpc e Unione Sovietica.

III. PROSPETTIVE E PRASSI DELLA RPC

In una prospettiva più ampia, il regime della Rpc vedeva la propria presa del potere in Cina come un evento di totale rinnovamento sia interno che nei rapporti internazionali. Pur mantenendo la identità e la continuità dello Stato cinese, affermava la propria volontà di non restare legato da accordi anteriori, se non con il proprio espresso consenso.

All'art. 55 del Programma comune, adottato nel 1949 dalla Conferenza politico-consultiva del popolo cinese, si precisa: " Il governo centrale della Repubblica Popolare Cinese esaminerà i trattati e gli accordi conclusi tra il Guomindang ed i governi stranieri e, a seconda del loro contenuto, li riconoscerà, li abrogherà, li rivedrà o li rinegozíerà".

Tale formula comprende ogni rapporto convenzionale pre-1949; tuttavia la volontà del governo popolare non si è sempre espressa in maniera esplicita, salvo per confermare che riconosceva le situazioni territoriali di fatto esistenti in conseguenza dei trattati sui confini e che non intendeva alterarle se non per via di revisione negoziale con nuovi accordi paritari; senza peraltro rinunciare alla pregiudiziale di principio sulla loro natura di trattati ineguali imposti con la forza.

Non vengono così contestate le situazioni di fatto esistenti a --> Hong Kong e a -> Macao. D'altra parte, una serie di trattati con la Birmania (1960), il Nepal (1961), la Mongolia (1962), l'Afghanistan (1963) e il Pakistan (1963), consentì alla Cina popolare di attuare il proprio programma di delimitazione negoziata delle frontiere, che in pratica restano quelle dei confini prevalsi storicamente tra Cina e Stati limitrofi durante il periodo coloniale. Corrispondenti intese bilaterali mancano tuttora per quanto riguarda i "trattati ineguali" russo-cinesi (di Aigun, 1858, e di Pechino, 1860) e i confini con l'India, fissati (linea Mac Mahon) dall'autorità coloniale britannica. II rifiuto dell'Unione Sovietica di ammettere la "ingiustizia" dei trattati cino-zaristi resta l'ostacolo principale per la conclusione di un accordo di confine; le trattative sui problemi relativi si trascinano infatti senza risultato dall'autunno 1969.

I governi succedutisi in Cina a partire dalla rivoluzione repubblicana del 1911 hanno sempre coerentemente perseguito rivendicazioni miranti alla revisione ed eliminazione progressiva degli accordi, particolarmente urtanti in ogni tempo la sensibilità cinese, limitativi della sovrana eguaglianza della Cina nei rapporti con gli altri Stati. Con questa posizione sono in pieno accordo gli assunti dottrinali accolti nella Cina popolare riguardo alla natura del diritto internazionale della coesistenza, e la critica e la denuncia di trattati ineguali.

In virtù della Carta dell'ONU e della Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati, l'invalidità degli accordi ottenuti con l'esercizio o la minaccia della forza militare contro l'integrità di uno Stato è attualmente un principio accolto dal diritto positivo. Vi è inoltre una forte pressione da parte dei Paesi afro-asiatici perché la condanna del ricorso alla forza si estenda alle pressioni di natura politica ed economica; e nell'atto finale della Conferenza di Vienna venne in effetti inserita una dichiarazione in proposito. La Rpc si fa promotrice anche della denuncia e dell'azione politica di revisione di tutti gli accordi "ineguali", lesivi del pieno esercizio della sovranità degli Stati.

G. Conetti

 

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