La trilogia dei re
Autore Acheng (阿城 Āchéng)
Editore Theria, Roma-Napoli
Prima edizione 1994, 2018
Titolo originale

棋王 Qíwáng (1984) 
Originale in cinese
孩子王 Háiziwáng (1985)
Originale in cinese
树王 Shùwáng (1985)
Originale in cinese

Traduzione di Maria Rita Masci
Pagine 231
Note
N. ISBN 978-8899997434

Su uno sfondo umile e contadino si sviluppano le vicende dei tre “re” che sono stali ispirati dall’esperienza giovanile dell’autore nelle campagne. Le tre opere qui raccolte sono “Il re degli alberi”, “II re dei bambini” e “Il re degli scacchi”. La parola “re”, che funge da collante nell’intera trilogia, rappresenta di volta in volta un povero individuo, ricco soltanto di ciò che conquista con il proprio agire: in particolare nel primo racconto simboleggia il Grumo, ostinato boscaiolo custode della natura; nel secondo identifica con ironia un “”giovane istruito” che deve improvvisarsi insegnante – in Cina gli insegnanti sono chiamati “re dei bambini”; e nell’ultimo rappresenta un giovane estremamente povero che trova il suo riscatto morale nel gioco degli scacchi. Scritti per un’urgenza interiore, e non con la precisa intenzione di essere pubblicati, tramite una scrittura semplice e uno stile che ricorda quello dei cantastorie dell’antichità, Acheng riesce a delineare con precisione i tratti del grande paese negli anni tumultuosi che seguirono la rivoluzione culturale.

Acheng

Pagina dedicata su Wikipedia

Intervista ad Acheng (tratta dal libro Un tè con Mo Yan e altri scrittori cinesi e pubblicato sul sito china-files.

La mia autobiografia
Si tratta di un testo scritto da Acheng in occasione dell’assegnazione del Premio Nonino, nel gennaio del 1992.

Sono nato il 5 aprile 1949 in un sobborgo a ovest di Beiping (l’attuale Pechino).
Più tardi mio padre mi disse che, poiché ero nato nella località della miniera di carbone chiamata Chengzi, aveva deciso di darmi nome Chengzi. Il nome Acheng è venuto dopo, e se è stato conservato il carattere “cheng” (che in italiano significa “città”), è perché mio padre voleva testimoniare il successo della politica di Mao Zedong, «accerchiare le città partendo dalle zone rurali e poi conquistarle».
Mio padre non era un minatore. A quel tempo era membro del Partito comunista cinese, cui aderiva già da dodici anni. Nel 1949 il Partito comunista conquistò il potere. Fu un grande avvenimento, sia per l’Asia che per il mondo intero. Ma nel mese di aprile l’Esercito popolare di liberazione era ancora all’assedio di Beiping e cercava di entrare in questa città famosa nella storia della Cina. Mio padre e mia madre erano con le truppe che assediavano la città. Ci si può immaginare le loro difficoltà, e per questo mi avevano affidato a una famiglia di contadini. Due anni prima, anche mio fratello era stato affidato ad una famiglia di contadini, mentre loro erano in marcia con l’esercito. I miei hanno avuto cinque figli, dopo di me sono nati altri due maschi e una femmina.
Quando avevo poco più di un anno, i miei genitori mi ripresero con loro, ma dovetti lasciarli immediatamente, e poco mancò che li lasciassi per sempre. Infatti, poiché in campagna non avevo avuto da mangiare a sufficienza, mi ero ammalato di tubercolosi e venni ricoverato in ospedale. Secondo la diagnosi dei medici ero senza speranza, così venni messo nella camera mortuaria e sistemato in un cassetto riservato ai bambini. Più tardi mia madre mi raccontò che avevo l’aspetto di un pollo spennacchiato. Il Paradiso è probabilmente un posto troppo bello perché i bambini così brutti vi siano ammessi. Deve essere per questo che, quando due giorni dopo gli infermieri aprirono il cassetto, mi trovarono ancora vivo, e da allora continuo ad esserlo.
Mio padre era originario della regione del Sichuan, ma quattrocento anni fa i nostri antenati erano della regione del Fujian. Al tempo in cui alla dinastia Ming (1368-1644) succedette la dinastia Qing (1644-1911), il capo di una delle grandi rivolte contadine dell’epoca, Zhang Xianzhong, mise a ferro e fuoco la regione del Sichuan, compiendo massacri terribili che non risparmiarono nemmeno i polli e i cani. I campi rimasero incolti e allora ci fu una grossa emigrazione dalle regioni orientali verso il Sichuan. Così diventammo sichuanesi. Oggi il Sichuan conta duecento milioni di abitanti.
Io sono cresciuto a Pechino fin da piccolo, i miei discendenti potranno esser considerati dei pechinesi. Quando avevo otto anni, mio padre scrisse un articolo di critica cinematografica – al tempo era un celebre critico d’arte del Partito comunista –che non piacque al Presidente del Partito in persona, Mao Zedong. Il suo destino era segnato: venne espulso dal Partito e mandato a riformarsi in un campo di lavoro. Per la Cina era come se fosse morto.
Come figlio di un controrivoluzionario, benché continuassi ad andare a scuola ero completamente isolato dalla società che mi circondava. Ho sempre pensato che sia stata questa condizione a determinare la mia abitudine di osservare dall’esterno la società cinese. Anche se non potevo partecipare a quello che accadeva nel mondo esterno, avevo però più energie degli altri da dedicare all’osservazione.
Quando avevo diciassette anni, scoppiò la Rivoluzione culturale. Al tempo ero al primo anno della scuola media superiore, e a tutt’oggi il mio curriculum scolastico si è fermato al primo anno di media superiore. Due anni dopo, quasi tutti gli studenti medi della Cina furono mandati in campagna. Alla fine del 1968, come prima destinazione andai nella zona settentrionale della regione dello Shanxi; la povertà e il forte vento di quei luoghi mi hanno lasciato un’impressione profonda. Poi passai nella zona orientale della Mongolia interna, il luogo di origine di Gengis Kan. Infine andai a lavorare nella regione dello Yunnan, nelle foreste subtropicali vicine al confine con la Birmania. Ho girato per quasi tutta la Cina, ho incontrato un numero infinito di persone e mi sono capitate un numero infinito di cose. Talvolta le annotavo su un pezzetto di carta che mi trovavo addosso, ma poi me lo perdevo subito.
Ricordo che una volta, mentre ero in una piccola stazione, avevo scritto chissà che cosa su un foglietto, quando un uomo, vedendo che avevo della carta, mi pregò di dargliela per fàrcisi una sigaretta. Alla fine da quel pezzo di carta uscì una sigaretta per ciascuno. Quando ho incominciato a scrivere non pensavo a pubblicare, perché quelli non erano anni in cui si pubblicava. Mi sentivo un po’ come certi pescatori che non pescano per mangiare il pesce e che quando questo abbocca lo rigettano in acqua.
Comunque sia, alcune delle cose che ho scritto in quei dieci anni sono rimaste, come Il re degli scacchi, pubblicato nel 1984; Il re degli alberi e Il re dei bambini, usciti nel 1985, e un numero infinito di annotazioni e appunti. In seguito la mia opera è stata considerata appartenente alla corrente detta della “ricerca delle radici”. Questo è vero, ma solo in parte. A cominciare dal Movimento del 4 maggio del 1919 fino al 1949 e poi al 19662, messa a confronto con il realismo occidentale la maggior parte degli intellettuali cinesi ritenne che bisognasse abbandonare la tradizione. Dopo il 1949 questo diventò il pensiero dominante, al punto che rese possibile la Rivoluzione culturale, una distruzione cieca della nostra tradizione.
Quando ho cominciato a scrivere provavo una sensazione di profonda desolazione.
Da cento anni la cultura cinese continuava ad essere distrutta, ne era rimasto ben poco, ma se uno vuole riflettere ed esprimersi compiutamente non può non riandare indietro di cento anni per crearsi la propria esperienza. Senza dubbio questo è un modo di “cercare le radici”, solo così ho trovato quel che mi serviva per resistere alla cultura dispotica di quel tempo. In qualche modo somiglia all’esperienza del 2 L’anno in cui scoppiò la Rivoluzione culturale. ( N.d.T. ) 11
Rinascimento in Europa che cercava le sue “radici” nella civiltà dell’antica Grecia.
Tale ricerca ha due modalità, una longitudinale che ripercorre la cultura classica ed una trasversale, che indaga la cultura popolare contemporanea. Quest’ultima comprende la ricerca dell’essere più profondo di un individuo.
In generale, tutte le iniziative che nella Cina contemporanea deviano dalla cultura dominante appartengono alla sfera della ricerca, anche il fatto di cercare ancora una volta ispirazione dall’Occidente è frutto di un bisogno reale. Questa è la tragedia, ma anche la commedia e il teatro dell’assurdo, della Cina contemporanea. Non è possibile riprodurre la tradizione, e se oggi è ancora viva, è perché anche l’opposizione alla tradizione di questi cento anni è diventata parte della tradizione.
Suppongo che i miei “re” esprimano un tipo di assurdo, perché l’assurdo è la realtà della Cina di oggi. Dal punto di vista letterario, io incarno soprattutto un tipo di bellezza semplice della tradizione cinese. Forse è per questo che molti lettori cinesi sono attenti alla mia lingua, visto che il linguaggio cinese contemporaneo è rozzo e privo di musicalità (una certa responsabilità sulla povertà della nostra lingua moderna ce l’ha lo stile delle traduzioni che sono state fatte in Cina; ho sempre trovato difficile, ad esempio, capire – leggendo le traduzioni – perché si diceva che Marx usava una bella prosa nei suoi saggi).
Dopo essere stato dieci anni in campagna, sono tornato a Pechino. La mia pronuncia era cambiata e parlavo così lentamente che gli altri credevano che fossi malato. Sono stato molto fortunato: mi sono sposato e ho avuto un figlio. Nel 1984 un amico, dopo aver letto il manoscritto de Il re degli scacchi, lo mandò alla rivista Letteratura di Shangai. Solo quando il redattore capo della rivista mi scrisse che lo avrebbero pubblicato, mi resi conto che il mio passato cominciava ad entrare in rapporto con il mondo letterario. Sulla rivista usarono il mio vero nome. Purtroppo ancora oggi non sono capace di dare un titolo ai miei romanzi, è un’abitudine contratta quando non pubblicavo: alle cose che uno scrive per sé, non c’è bisogno di dare un titolo e note e diari non ne hanno.
Gli anni Ottanta sono stati un periodo in cui si è pubblicato moltissimo in Cina, solo di letteratura c’erano oltre trecento riviste. I redattori di quelle che avevano sede a Pechino aspettavano i miei racconti seduti sul bordo del mio letto, per me era intollerabile alzarmi e infilarmi i pantaloni sotto i loro sguardi, così tirai fuori i manoscritti de Il re degli alberi, Il re dei bambini, alcune note e dei racconti. Mi licenziai e lasciai Pechino, avevo bisogno di tranquillità.
Mio padre è morto nel 1987, la malattia al fegato che aveva contratto nel campo di lavoro lo aveva fatto soffrire fino a portarlo alla morte. Quando è morto era ancora un comunista convinto, non penso che dovesse mutar fede perché neppure io potrei cambiare con leggerezza le mie opinioni sull’umanità e sull’arte.
Sono quasi dieci anni che pubblico, quando ci penso spesso me ne stupisco, perché ho la netta sensazione di non aver ancora scritto niente, anche se ogni giorno dedico allo scrivere dalle sei alle otto ore. Naturalmente ci sono anche periodi in cui non scrivo niente.

 

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