Nel novembre 2012 i membri del Comitato permanente del Politburo eletti dall’ Assemblea Nazionale del Popolo della RPC, nominarono il nuovo segretario generale del PCC, Xi Jinping, esponente della quinta generazione di leader che si apprestava a governare la Cina per il decennio successivo. Due lustri dopo, al XX Congresso del Partito Comunista Cinese svoltosi nell’ottobre del 2022, parve chiaro a tutti che in Cina c’era un solo uomo al comando: Xi Jinping.
Già nell’ottobre del 2017, l’Economist aveva pubblicato in copertina la sua immagine accompagnata dal titolo di “uomo più potente del mondo”, affermazione che parve quasi un’iperbole evidenziando quanto ci piaccia, da osservatori esterni, collegare intimamente i leader cinesi al potere, considerazione confermata l’anno successivo quando toccò alla rivista Forbes, collocarlo al primo posto, davanti a Putin e Trump. Tuttavia, la leadership di Xi rappresenta per la Cina una rottura col passato di grande valore simbolico, spezzando l’equilibrio proprio dell’architettura di potere che la saggezza di Deng aveva disciplinato. Con Xi è cambiato il funzionamento del vertice del PCC, dalla leadership collettiva si è tornati a quella dell’uomo forte, gia personificata da Mao Zedong e da Deng Xiaoping decenni prima.
Ma quali sono le radici del disegno egemonico del Presidente cinese? Secondo l’autore, l’aiuto per la comprensione giunge, almeno in parte, dallo stesso Xi o meglio, dall’analisi dei suoi discorsi raccolti nei tre volumi che lui stesso ha dato in stampa (Governare la Cina, I, II, III), nei quali i riferimenti alla millenaria civiltà cinese, passando dal “secolo delle umiliazioni” sino alle personali e drammatiche esperienze della “Rivoluzione Culturale”, sono così ripetitivi da consentirgli di trarne di volta in volta stimoli sempre maggiori per il conseguimento dei suoi obiettivi.
La narrazione squisitamente cronologica del saggio si conclude con una costatazione: oggi la Cina è Xi e Xi è la Cina, il Mondo dovrebbe opportunamente tenerne conto.
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